Le indicazioni non obbligatorie presenti sulle etichette alimentari sovente traggono in inganno i consumatori, persuasi all’acquisto del prodotto dalle proprietà vere o presunte. Scopo del lavoro è la comprensione delle caratteristiche che il consumatore attribuisce agli alimenti preimballati in commercio che riportano in etichetta i termini fatto a mano, artigianale, tradizionale o lavorati secondo tradizione. La raccolta dei dati è avvenuta utilizzando un questionario on-line diffuso via social network; le scale Likert sono state usate per rilevare il grado di accordo (1: completamente in disaccordo; 5: completamente in accordo) degli intervistati con le caratteristiche proposte in riferimento ai termini in oggetto. I dati sono riportati come frequenza. Il campione (n. 320) è costituito da italiani (98%), di cui il 69% femmine e per il 41% con titolo di studio superiore che reputano le etichette alimentari utili (82%) e importante l’indicazione del metodo di produzione (83%). Gli alimenti fatti a mano sono costosi (80,4%), buoni (68,5%), freschi, genuini e sani (58,2; 58,7 e 54,4%), senza conservanti (41,3%), con pochi ingredienti (44%) ma la maggior parte degli intervistati (47,3%) non sa decidere sulla sicurezza alimentare. Quelli artigianali sono costosi (74,1%), buoni (68,5%), con scadenza breve e genuini (58,9 e 57,9%), freschi, con pochi ingredienti e senza conservanti (49,8; 45,7 e 41,6%). Sulla sicurezza alimentare il campione è diviso tra incerti e convinti (43,2 e 40,1%) come per l’attributo sano (45,2 e 42,6%). Gli alimenti tradizionali sono costosi (66,3%), freschi, genuini e con pochi ingredienti (48,8; 47,1 e 40,7%) mentre per altre caratteristiche vi è maggior incertezza: il 36,6% li reputa sicuri ma il 33,1% è incerto, sono sani per il 36,6% a fronte di un 44,8% incerto; infine vi è divisione anche sulla scadenza breve, vera per il 32,6%, mentre il 34,9% è incerto. Gli alimenti industriali non sono considerati genuini e sani (64,8 e 59,6%), sono costituiti da molti ingredienti (68,1%) e conservanti (78,4%), economici (43,2%), comunque buoni (45,1%). Sicuri per il 41,3% ma il 30,5% non li considera tali. Gli alimenti industriali sono sicuramente prodotti con sistemi automatizzati (75,6%), non lo sono quelli artigianali e fatti a mano per il 49,2 e il 65,8% rispettivamente, permane l’incertezza per i tradizionali (47,1%). Se l’etica non è una caratteristica tipica dell’industria per il 62,4%, per le altre tipologie il campione tende a non essere in grado di decidere. Il campione sembra avere un’idea abbastanza precisa della superiorità organolettica e qualitativa degli alimenti artigianali, fatti a mano e tradizionali anche se per questi vi è maggiore difficoltà a caratterizzarli e, in generale, a prendere una posizione sulla sicurezza alimentare. Il campione identifica come industriali principalmente bibite, succhi di frutta e prodotti da forno. Benchè vi sia una precisa definizione di prodotti agroalimentari tradizionali e il ministero dell’industria del commercio (Circ. 10 novembre 2003, n.168) abbia disciplinato le condizioni per l’uso di ‘produzione artigianale’ e ‘lavorato a mano’ ribadendo che non devono essere un elemento di garanzia di qualità organolettica, nutritiva o sanitaria superiore, analogamente ad altri termini (es. naturale) è necessaria una migliore definizione dei termini analizzati e un incremento nel controllo delle pratiche di etichettatura.
Etichette ingannevoli? Alcune riflessioni
Enrico Novelli
;Luca Fasolato;Federico Fontana;Lisa Carraro;Barbara Cardazzo;Stefania Balzan
2019
Abstract
Le indicazioni non obbligatorie presenti sulle etichette alimentari sovente traggono in inganno i consumatori, persuasi all’acquisto del prodotto dalle proprietà vere o presunte. Scopo del lavoro è la comprensione delle caratteristiche che il consumatore attribuisce agli alimenti preimballati in commercio che riportano in etichetta i termini fatto a mano, artigianale, tradizionale o lavorati secondo tradizione. La raccolta dei dati è avvenuta utilizzando un questionario on-line diffuso via social network; le scale Likert sono state usate per rilevare il grado di accordo (1: completamente in disaccordo; 5: completamente in accordo) degli intervistati con le caratteristiche proposte in riferimento ai termini in oggetto. I dati sono riportati come frequenza. Il campione (n. 320) è costituito da italiani (98%), di cui il 69% femmine e per il 41% con titolo di studio superiore che reputano le etichette alimentari utili (82%) e importante l’indicazione del metodo di produzione (83%). Gli alimenti fatti a mano sono costosi (80,4%), buoni (68,5%), freschi, genuini e sani (58,2; 58,7 e 54,4%), senza conservanti (41,3%), con pochi ingredienti (44%) ma la maggior parte degli intervistati (47,3%) non sa decidere sulla sicurezza alimentare. Quelli artigianali sono costosi (74,1%), buoni (68,5%), con scadenza breve e genuini (58,9 e 57,9%), freschi, con pochi ingredienti e senza conservanti (49,8; 45,7 e 41,6%). Sulla sicurezza alimentare il campione è diviso tra incerti e convinti (43,2 e 40,1%) come per l’attributo sano (45,2 e 42,6%). Gli alimenti tradizionali sono costosi (66,3%), freschi, genuini e con pochi ingredienti (48,8; 47,1 e 40,7%) mentre per altre caratteristiche vi è maggior incertezza: il 36,6% li reputa sicuri ma il 33,1% è incerto, sono sani per il 36,6% a fronte di un 44,8% incerto; infine vi è divisione anche sulla scadenza breve, vera per il 32,6%, mentre il 34,9% è incerto. Gli alimenti industriali non sono considerati genuini e sani (64,8 e 59,6%), sono costituiti da molti ingredienti (68,1%) e conservanti (78,4%), economici (43,2%), comunque buoni (45,1%). Sicuri per il 41,3% ma il 30,5% non li considera tali. Gli alimenti industriali sono sicuramente prodotti con sistemi automatizzati (75,6%), non lo sono quelli artigianali e fatti a mano per il 49,2 e il 65,8% rispettivamente, permane l’incertezza per i tradizionali (47,1%). Se l’etica non è una caratteristica tipica dell’industria per il 62,4%, per le altre tipologie il campione tende a non essere in grado di decidere. Il campione sembra avere un’idea abbastanza precisa della superiorità organolettica e qualitativa degli alimenti artigianali, fatti a mano e tradizionali anche se per questi vi è maggiore difficoltà a caratterizzarli e, in generale, a prendere una posizione sulla sicurezza alimentare. Il campione identifica come industriali principalmente bibite, succhi di frutta e prodotti da forno. Benchè vi sia una precisa definizione di prodotti agroalimentari tradizionali e il ministero dell’industria del commercio (Circ. 10 novembre 2003, n.168) abbia disciplinato le condizioni per l’uso di ‘produzione artigianale’ e ‘lavorato a mano’ ribadendo che non devono essere un elemento di garanzia di qualità organolettica, nutritiva o sanitaria superiore, analogamente ad altri termini (es. naturale) è necessaria una migliore definizione dei termini analizzati e un incremento nel controllo delle pratiche di etichettatura.Pubblicazioni consigliate
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