Nel saggio, dedicato al primo intervento compiuto da Tintoretto nella decorazione del Palazzo dei Camerlenghi a Rialto, si propone una rilettura circostanziata dei due dipinti con San Giorgio, la principessa e san Luigi e Sant’Andrea e san Girolamo, oggi alle Gallerie dell’Accademia. A partire da un passaggio del Dialogo di pittura intitolato l’Aretino (1557) di Lodovico Dolce, in cui si riconosce la più antica menzione della prima tela destinata al Magistrato del Sale, è stato possibile rintracciare nuove fonti, letterarie e figurative, per la complessa composizione formale e iconografica dei soggetti. Le due invenzioni si collocano in apertura di un decennio ricco di stimoli e audaci sperimentazioni, che vedrà il Robusti impegnato nella difficile ricerca di equilibrio tra forma michelangiolesca e cromatismo veneziano, indice di una ormai raggiunta qualificazione di stile nell’ambito della cultura manieristica lagunare. Attraverso una revisione dei documenti d’archivio e della letteratura dedicata a questo tema, è stato possibile fare qualche precisazione sulla cronologia delle due tele, sulla loro stringente affinità stilistica, ma anche sull’unitarietà del programma iconografico, fin qui non riconosciuta. Fondamentale si è rivelata una iniziale riflessione sulla storia redazionale del Dialogo dolciano – cresciuto all’ombra dei precetti dell’amico e collega Pietro Aretino a partire dalla seconda metà del quinto decennio – che ha fornito nuovi elementi per una migliore comprensione dei dipinti e del dibattito critico sollevato dal poligrafo veneziano nei confronti di Tintoretto.

"A cavallo del serpente". Intorno alle prime tele di Tintoretto ai Camerlenghi

Grosso Marsel Giuseppe
2013

Abstract

Nel saggio, dedicato al primo intervento compiuto da Tintoretto nella decorazione del Palazzo dei Camerlenghi a Rialto, si propone una rilettura circostanziata dei due dipinti con San Giorgio, la principessa e san Luigi e Sant’Andrea e san Girolamo, oggi alle Gallerie dell’Accademia. A partire da un passaggio del Dialogo di pittura intitolato l’Aretino (1557) di Lodovico Dolce, in cui si riconosce la più antica menzione della prima tela destinata al Magistrato del Sale, è stato possibile rintracciare nuove fonti, letterarie e figurative, per la complessa composizione formale e iconografica dei soggetti. Le due invenzioni si collocano in apertura di un decennio ricco di stimoli e audaci sperimentazioni, che vedrà il Robusti impegnato nella difficile ricerca di equilibrio tra forma michelangiolesca e cromatismo veneziano, indice di una ormai raggiunta qualificazione di stile nell’ambito della cultura manieristica lagunare. Attraverso una revisione dei documenti d’archivio e della letteratura dedicata a questo tema, è stato possibile fare qualche precisazione sulla cronologia delle due tele, sulla loro stringente affinità stilistica, ma anche sull’unitarietà del programma iconografico, fin qui non riconosciuta. Fondamentale si è rivelata una iniziale riflessione sulla storia redazionale del Dialogo dolciano – cresciuto all’ombra dei precetti dell’amico e collega Pietro Aretino a partire dalla seconda metà del quinto decennio – che ha fornito nuovi elementi per una migliore comprensione dei dipinti e del dibattito critico sollevato dal poligrafo veneziano nei confronti di Tintoretto.
2013
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