Il contributo analizza la sentenza della Corte di Giustizia UE del 1° agosto 2025 nelle cause riunite Alace e Canpelli, relativa al controllo giurisdizionale sulla designazione di Paesi di origine sicuri per i richiedenti asilo. Dopo aver inquadrato la vicenda nel contesto del Protocollo Italia-Albania (par. 2) e aver commentato i diversi profili di interesse dell'ordinanza di rinvio del Tribunale di Roma (par. 3), vengono esaminate le risposte della Corte ai quattro quesiti pregiudiziali, anche alla luce delle conclusioni dell'Avvocato Generale (par. 4-7). Nel commentare l’argomentazione utilizzata dalla Corte per affermare il potere-dovere del giudice nazionale di disapplicare la normativa interna contrastante con la direttiva e l’art. 47 della Carta, ci si sofferma anche sulle critiche secondo cui la Corte non avrebbe riflettuto sulle usuali condizioni di quella disapplicazione (par. 4 e 5). È poi illustrato il percorso argomentativo che conduce la Corte ad affermare l'obbligo di rendere accessibili le fonti informative utilizzate per la designazione (par. 6) e quello che la conduce a dichiarare l'inammissibilità della scelta di designare come sicuro un Paese in cui vi siano categorie esposte a persecuzione (par. 7). Vengono poi valutate le prospettive aperte dalla sentenza, anche in relazione al nuovo Regolamento UE (par. 8), e le implicazioni di sistema (a dire il vero per nulla rivoluzionarie) che comporta il sindacato giurisdizionale diffuso, criticato duramente da alcune voci della dottrina (par. 9) e soprattutto dalla politica italiana. Nell'ultima parte (par. 10) si critica la reazione politica italiana alla sentenza, vista come pericoloso rigetto dei valori europei ** EN ** The author comments the CJEU judgment of August 1, 2025, in the joined cases Alace and Canpelli, concerning judicial review of the designation of safe countries of origin for asylum seekers. After framing the case in the context of the Italy-Albania Protocol (para. 2) and commenting on the various points of interest in the referring court’s order (para. 3), the Court's responses to the four preliminary questions are examined, also in light of the Opinion of the Advocate General (paras. 4-7). In commenting on the Court's reasoning to affirm the national judge's duty to disapply domestic legislation conflicting with the Asylum Procedures Directive and Article 47 of the Charter, the paper also addresses criticisms that the Court did not justify its finding in light of the usual conditions for disapplication (paras. 4 and 5). The argumentative path leading the Court to affirm the obligation to make accessible the sources used for such designation is then illustrated (para. 6), as well as the one that leads the Court to declare that Member States cannot designate as safe a country where there are categories exposed to persecution (para. 7). The perspectives opened by the judgment are then evaluated, also in relation to the new EU Procedures Regulation (para. 8), as well as the systemic implications (actually not at all revolutionary) entailed by a judicial review entrusted in ordinary courts, harshly criticized by some in the academia (para. 9) and especially by Italian politics. The final part (para. 10) denounces the Italian political reaction to the judgment as a dangerous rejection of European values.
Dai Paesi (terzi) di origine sicuri a un Paese fondatore non più così sicuro del suo posto nel diritto dell’Unione: riflessioni a margine di Corte di giustizia, sentenza 1. agosto 2025, cause riunite C-758/24 e C-759/24, Alace e Canpelli
Cortese, Bernardo
2025
Abstract
Il contributo analizza la sentenza della Corte di Giustizia UE del 1° agosto 2025 nelle cause riunite Alace e Canpelli, relativa al controllo giurisdizionale sulla designazione di Paesi di origine sicuri per i richiedenti asilo. Dopo aver inquadrato la vicenda nel contesto del Protocollo Italia-Albania (par. 2) e aver commentato i diversi profili di interesse dell'ordinanza di rinvio del Tribunale di Roma (par. 3), vengono esaminate le risposte della Corte ai quattro quesiti pregiudiziali, anche alla luce delle conclusioni dell'Avvocato Generale (par. 4-7). Nel commentare l’argomentazione utilizzata dalla Corte per affermare il potere-dovere del giudice nazionale di disapplicare la normativa interna contrastante con la direttiva e l’art. 47 della Carta, ci si sofferma anche sulle critiche secondo cui la Corte non avrebbe riflettuto sulle usuali condizioni di quella disapplicazione (par. 4 e 5). È poi illustrato il percorso argomentativo che conduce la Corte ad affermare l'obbligo di rendere accessibili le fonti informative utilizzate per la designazione (par. 6) e quello che la conduce a dichiarare l'inammissibilità della scelta di designare come sicuro un Paese in cui vi siano categorie esposte a persecuzione (par. 7). Vengono poi valutate le prospettive aperte dalla sentenza, anche in relazione al nuovo Regolamento UE (par. 8), e le implicazioni di sistema (a dire il vero per nulla rivoluzionarie) che comporta il sindacato giurisdizionale diffuso, criticato duramente da alcune voci della dottrina (par. 9) e soprattutto dalla politica italiana. Nell'ultima parte (par. 10) si critica la reazione politica italiana alla sentenza, vista come pericoloso rigetto dei valori europei ** EN ** The author comments the CJEU judgment of August 1, 2025, in the joined cases Alace and Canpelli, concerning judicial review of the designation of safe countries of origin for asylum seekers. After framing the case in the context of the Italy-Albania Protocol (para. 2) and commenting on the various points of interest in the referring court’s order (para. 3), the Court's responses to the four preliminary questions are examined, also in light of the Opinion of the Advocate General (paras. 4-7). In commenting on the Court's reasoning to affirm the national judge's duty to disapply domestic legislation conflicting with the Asylum Procedures Directive and Article 47 of the Charter, the paper also addresses criticisms that the Court did not justify its finding in light of the usual conditions for disapplication (paras. 4 and 5). The argumentative path leading the Court to affirm the obligation to make accessible the sources used for such designation is then illustrated (para. 6), as well as the one that leads the Court to declare that Member States cannot designate as safe a country where there are categories exposed to persecution (para. 7). The perspectives opened by the judgment are then evaluated, also in relation to the new EU Procedures Regulation (para. 8), as well as the systemic implications (actually not at all revolutionary) entailed by a judicial review entrusted in ordinary courts, harshly criticized by some in the academia (para. 9) and especially by Italian politics. The final part (para. 10) denounces the Italian political reaction to the judgment as a dangerous rejection of European values.Pubblicazioni consigliate
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