L’intervento analizza il film “Maraviglioso Boccaccio” dei fratelli Taviani (2015), a partire dalla presenza della cornice con la peste, individuata come la principale novità rispetto alla storia delle transcodifiche del Decameron, come dimostra attraverso un confronto con il suo più illustre precedente, quello realizzato da Pier Paolo Pasolini nel 1971: questi infatti aveva sì deciso di conservare una traccia dell’articolazione su più livelli narrativi attraverso la scelta di una “novella architrave”, ma aveva promosso a questa funzione quella di Giotto, adatta ad essere investita di interrogativi e significati metalinguistici sul ruolo dell’autore/regista, rinunciando del tutto tanto al tema della peste quanto ai novellatori. Nel film dei Taviani appare quindi come una novità in senso assoluto la coesistenza di due elementi: non solo, da un lato, il tema della peste, ripreso per la prima volta dalla famosa Introduzione di Boccaccio; ma anche, dall’altro, il recupero di tutta la complessa articolazione dei livelli narrativi del Decameron, con una introduzione che motiva e presenta il contesto narrativo e i personaggi e li segue fino alla loro assunzione del ruolo di novellatori (intradiegetici), ma anche con le transizioni tra una novella e l’altra e persino con la Conclusione. D’altra parte l’analisi attenta del livello extradiegetico, consente di rilevare tre tipi di “trattamenti” che i Taviani riservano al modello boccacciano: a) le riprese letterali o sostanziali del testo, che meritano di essere esaminate nel dettaglio, in quanto appunto costituiscono un unicum nella storia cinematografica del Decameron (dal famoso episodio dei maiali contaminati alle sepolture comuni fino all’uso di portare i fiori al naso nella convinzione che protegga dalla peste); b) gli elementi di contaminazione con l’altro grande modello di descrizione della peste della letteratura italiana, i Promessi Sposi (dall’episodio del carro dei monatti alla pioggia lavacro che chiude il film); e c) i numerosi elementi di attualizzazione, dal riferimento all’attentato alle Twin Towers (e più in generale al terrorismo) nel “falling man” lungo il campanile su cui si apre il film, alle allusioni al contagio volontario da HIV (e più in generale alla violenza sessuale) nella stessa introduzione, fino a quella, più ambigua, della lotta a lanci di mele tra due gruppi di ragazzini sul sagrato della chiesa dove si è incontrata l’onesta brigata. L’allargamento dell’analisi anche alla scelta e al trattamento delle novelle, e in particolare alle differenze nella messa in scena di quella di Gentil de’ Carisendi (X 4), consente poi da un lato di individuare l’espansione “quantitativa” della peste come un tratto distintivo del film, e dall’altro di verificare come questa, insieme alle scelte formali e stilistiche (come costumi e scenografia), conducano ad un innalzamento di registro in direzione del “tragico”, di segno diametralmente opposto all’abbassamento linguistico e popolare condotto al tempo da Pasolini, ma a sua volta non estraneo al capolavoro di Boccaccio, qui restituito nella sua dimensione nobile, elegante e appunto “maravigliosa”. Non altrettanto limpido e riuscito appare invece il tentativo di espansione “qualitativa” della peste, che nel film è investita di significati simbolici diversi e, sebbene sempre relativi al tema della violenza, non del tutto coerenti.
"Maraviglioso Boccaccio". Una peste 'moderna' per il "Decameron"
ATTILIO MOTTA
2025
Abstract
L’intervento analizza il film “Maraviglioso Boccaccio” dei fratelli Taviani (2015), a partire dalla presenza della cornice con la peste, individuata come la principale novità rispetto alla storia delle transcodifiche del Decameron, come dimostra attraverso un confronto con il suo più illustre precedente, quello realizzato da Pier Paolo Pasolini nel 1971: questi infatti aveva sì deciso di conservare una traccia dell’articolazione su più livelli narrativi attraverso la scelta di una “novella architrave”, ma aveva promosso a questa funzione quella di Giotto, adatta ad essere investita di interrogativi e significati metalinguistici sul ruolo dell’autore/regista, rinunciando del tutto tanto al tema della peste quanto ai novellatori. Nel film dei Taviani appare quindi come una novità in senso assoluto la coesistenza di due elementi: non solo, da un lato, il tema della peste, ripreso per la prima volta dalla famosa Introduzione di Boccaccio; ma anche, dall’altro, il recupero di tutta la complessa articolazione dei livelli narrativi del Decameron, con una introduzione che motiva e presenta il contesto narrativo e i personaggi e li segue fino alla loro assunzione del ruolo di novellatori (intradiegetici), ma anche con le transizioni tra una novella e l’altra e persino con la Conclusione. D’altra parte l’analisi attenta del livello extradiegetico, consente di rilevare tre tipi di “trattamenti” che i Taviani riservano al modello boccacciano: a) le riprese letterali o sostanziali del testo, che meritano di essere esaminate nel dettaglio, in quanto appunto costituiscono un unicum nella storia cinematografica del Decameron (dal famoso episodio dei maiali contaminati alle sepolture comuni fino all’uso di portare i fiori al naso nella convinzione che protegga dalla peste); b) gli elementi di contaminazione con l’altro grande modello di descrizione della peste della letteratura italiana, i Promessi Sposi (dall’episodio del carro dei monatti alla pioggia lavacro che chiude il film); e c) i numerosi elementi di attualizzazione, dal riferimento all’attentato alle Twin Towers (e più in generale al terrorismo) nel “falling man” lungo il campanile su cui si apre il film, alle allusioni al contagio volontario da HIV (e più in generale alla violenza sessuale) nella stessa introduzione, fino a quella, più ambigua, della lotta a lanci di mele tra due gruppi di ragazzini sul sagrato della chiesa dove si è incontrata l’onesta brigata. L’allargamento dell’analisi anche alla scelta e al trattamento delle novelle, e in particolare alle differenze nella messa in scena di quella di Gentil de’ Carisendi (X 4), consente poi da un lato di individuare l’espansione “quantitativa” della peste come un tratto distintivo del film, e dall’altro di verificare come questa, insieme alle scelte formali e stilistiche (come costumi e scenografia), conducano ad un innalzamento di registro in direzione del “tragico”, di segno diametralmente opposto all’abbassamento linguistico e popolare condotto al tempo da Pasolini, ma a sua volta non estraneo al capolavoro di Boccaccio, qui restituito nella sua dimensione nobile, elegante e appunto “maravigliosa”. Non altrettanto limpido e riuscito appare invece il tentativo di espansione “qualitativa” della peste, che nel film è investita di significati simbolici diversi e, sebbene sempre relativi al tema della violenza, non del tutto coerenti.Pubblicazioni consigliate
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