Dal primo Ottocento l’area alpina è toccata da una crisi vasta e profonda, che si acuisce con l’avvicinarsi del nuovo secolo. Essa è determinata da pro-cessi diversi, ma concomitanti e sinergici nel diminuire le possibilità di reddito delle popolazioni residenti. L’estendersi dei rapporti di mercato mina econo-mie fondamentalmente centrate sulla sussistenza e autosufficienza dei nuclei familiari. I tradizionali flussi commerciali con la pianura, strutturati sullo scambio di materie prime e semilavorati, quali legname, cuoio, lana, carbone subiscono la concorrenza di nuovi fornitori agevolati dal miglioramento dei collegamenti stradali, navali e, dal secondo Ottocento, ferroviari. Le rese agri-cole diminuiscono sotto il peso dell’eccessiva manodopera e della messa a col-tura di terre marginali. L’allevamento fatica, soprattutto nei suoi comparti più redditizi, come il lattiero-caseario, ad adeguarsi alle esigenze della domanda urbana. Le difficoltà delle economie montane sono rispecchiate, e confermate, da flussi migratori di entità tale da configurare, soprattutto dal primo Novecento, situazioni di esodo e di abbandono. All’indomani dell’Unità il legislatore volge la propria attenzione a una realtà particolarmente rilevante in un paese, quale l’Italia, prevalentemente costituito da terre di montagna e collina. L’intervento pubblico è mosso, tuttavia, non tanto dalla questione sociale, quanto dal ruolo centrale che la montagna occupa nella soluzione problemi di stabilità territoriale. Emerge, in particolare, la fun-zione del monte e del manto boschivo nella conservazione dell’equilibrio idro-geologico del piano. Da fine Ottocento, poi, in concomitanza con lo sviluppo di tecnologie capaci di consentire il trasporto dell’energia elettrica su medio-lunghe distanze le acque alpine acquisiscono valore strategico per l’industria idroelettrica. I due aspetti si uniscono e fondono nell’esigenza di assicurare un’efficiente e attenta gestione idrogeologica volta non solo alla soluzione di cogenti problemi territoriali tanto al monte quanto al piano, ma anche all’efficiente produzione di elettricità. Partendo da tali premesse e con precipuo riferimento alle Alpi orientali e al periodo compreso tra fine Ottocento e il primo dopoguerra, il presente saggio analizza i rapporti, complessi e mutevoli, tra condizioni economico-sociali dell’area montana, interventi legislativi e potenzialità di sviluppo indotte dall’espansione dell’industria idroelettrica in regioni segnate da arretratezza e povertà. Il saggio è strutturato in tre parti. Sono in primo luogo presentati aspetti e caratteri della cosiddetta “questione montana”. Vengono poi valutati obiettivi e strumenti dell’azione legislativa riguardante le regioni alpine. Si approfondi-scono successivamente le prospettive di valorizzazione indotte dallo sviluppo dell’industria idroelettrica, facendo anche riferimento ai presupposti e contenu-ti del decreto Bonomi.
Foreste, montagna e territorio: aspetti e problemi dello sviluppo economico dell’area alpina orientale (1866-1919)
david celetti
2025
Abstract
Dal primo Ottocento l’area alpina è toccata da una crisi vasta e profonda, che si acuisce con l’avvicinarsi del nuovo secolo. Essa è determinata da pro-cessi diversi, ma concomitanti e sinergici nel diminuire le possibilità di reddito delle popolazioni residenti. L’estendersi dei rapporti di mercato mina econo-mie fondamentalmente centrate sulla sussistenza e autosufficienza dei nuclei familiari. I tradizionali flussi commerciali con la pianura, strutturati sullo scambio di materie prime e semilavorati, quali legname, cuoio, lana, carbone subiscono la concorrenza di nuovi fornitori agevolati dal miglioramento dei collegamenti stradali, navali e, dal secondo Ottocento, ferroviari. Le rese agri-cole diminuiscono sotto il peso dell’eccessiva manodopera e della messa a col-tura di terre marginali. L’allevamento fatica, soprattutto nei suoi comparti più redditizi, come il lattiero-caseario, ad adeguarsi alle esigenze della domanda urbana. Le difficoltà delle economie montane sono rispecchiate, e confermate, da flussi migratori di entità tale da configurare, soprattutto dal primo Novecento, situazioni di esodo e di abbandono. All’indomani dell’Unità il legislatore volge la propria attenzione a una realtà particolarmente rilevante in un paese, quale l’Italia, prevalentemente costituito da terre di montagna e collina. L’intervento pubblico è mosso, tuttavia, non tanto dalla questione sociale, quanto dal ruolo centrale che la montagna occupa nella soluzione problemi di stabilità territoriale. Emerge, in particolare, la fun-zione del monte e del manto boschivo nella conservazione dell’equilibrio idro-geologico del piano. Da fine Ottocento, poi, in concomitanza con lo sviluppo di tecnologie capaci di consentire il trasporto dell’energia elettrica su medio-lunghe distanze le acque alpine acquisiscono valore strategico per l’industria idroelettrica. I due aspetti si uniscono e fondono nell’esigenza di assicurare un’efficiente e attenta gestione idrogeologica volta non solo alla soluzione di cogenti problemi territoriali tanto al monte quanto al piano, ma anche all’efficiente produzione di elettricità. Partendo da tali premesse e con precipuo riferimento alle Alpi orientali e al periodo compreso tra fine Ottocento e il primo dopoguerra, il presente saggio analizza i rapporti, complessi e mutevoli, tra condizioni economico-sociali dell’area montana, interventi legislativi e potenzialità di sviluppo indotte dall’espansione dell’industria idroelettrica in regioni segnate da arretratezza e povertà. Il saggio è strutturato in tre parti. Sono in primo luogo presentati aspetti e caratteri della cosiddetta “questione montana”. Vengono poi valutati obiettivi e strumenti dell’azione legislativa riguardante le regioni alpine. Si approfondi-scono successivamente le prospettive di valorizzazione indotte dallo sviluppo dell’industria idroelettrica, facendo anche riferimento ai presupposti e contenu-ti del decreto Bonomi.Pubblicazioni consigliate
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