Con l’arrivo del nuovo millennio e, in particolare, con forza crescente, nel corso dell’ultimo decennio, il romanzo ispanoamericano sembra entrare in una nuova fase di sperimentazione, profondamente cosciente delle sue tradizioni più notorie e direttamente connessa all’urgenza di riflettere (o rifrangere problematicamente) l’assetto implicitamente neocoloniale dell’ordine costruito attorno alle esigenze di circolazione illimitata del capitale globale. Di fatto, dopo una fase che potremmo definire di normalizzazione, di neutralizzazione della differenza nell’incanto neoliberale degli anni Novanta del secolo scorso – che, letterariamente, trova espressione in una robusta ondata di realismi di ritorno –, la narrativa attuale si riappropria dei resti del discorso emancipatorio del postcoloniale e delle narrative di resistenza non mimetica che, spettacolarmente, l’avevano sostenuto in America Latina, per ricontestualizzarli nei tempi interessanti dell’estremo contemporaneo, facendoli, per così dire, mutare verso forme meno rassicuranti. L’eredità poetica e politica del realismo magico degli esordi –nelle sue molteplici, battagliere varianti locali, così lontane dagli standard di divulgazione che, successivamente, convertiranno il genere in leccornia esotista per il mercato editoriale occidentale–, il fermento di discontinuità che, originariamente, armò la mano di Alejo Carpentier, Miguel Ángel Asturias e Arturo Uslar Pietri tra gli altri, rivive, emblematicamente annerito, nella sensibilità weird che percorre trasversalmente le opere delle autrici e degli autori più rappresentativi del nuovo canone (Mariana Enriquez, Liliana Colanzi, Juan Cárdenas, Maximiliano Barrientos…), i quali, rileggendo il costrutto meticcio attraverso il filtro oscuro di Lovecraft, rispolverando un’agenda indigenista tramite l’anticapitalismo negativo di Fisher e l’ecologia sinistra di Morton, applicando, in generale, un ulteriore giro di vite al significativo disincontro con cui la periferia risponde alle esigenze di comprensione del centro, riscoprono quello della cultura latinoamericana come un inquietante ed espressivo luogo dell’interruzione, dove la norma intuisce la sua arbitrarietà e intravede la prospettiva del suo collasso. Per questa via, le spazialità mnemocoscienti di un’Apocalisse culturale recentemente entrata nel quinto centenario della sua storia diventano territori di elezione di una consapevolezza antiparadigmatica diffusa, di una maieutica della precarietà che, per una volta, invertendo il flusso dei modelli, sarà urgente esportare: (nuovi) mondi della fine in cui l’umano è chiamato a negoziare creativamente con lo spauracchio della propria estinzione.

Capitalizzare l'interruzione: il weird turn del romanzo postcoloniale ispanoamericano contemporaneo

Gabriele Bizzarri
2024

Abstract

Con l’arrivo del nuovo millennio e, in particolare, con forza crescente, nel corso dell’ultimo decennio, il romanzo ispanoamericano sembra entrare in una nuova fase di sperimentazione, profondamente cosciente delle sue tradizioni più notorie e direttamente connessa all’urgenza di riflettere (o rifrangere problematicamente) l’assetto implicitamente neocoloniale dell’ordine costruito attorno alle esigenze di circolazione illimitata del capitale globale. Di fatto, dopo una fase che potremmo definire di normalizzazione, di neutralizzazione della differenza nell’incanto neoliberale degli anni Novanta del secolo scorso – che, letterariamente, trova espressione in una robusta ondata di realismi di ritorno –, la narrativa attuale si riappropria dei resti del discorso emancipatorio del postcoloniale e delle narrative di resistenza non mimetica che, spettacolarmente, l’avevano sostenuto in America Latina, per ricontestualizzarli nei tempi interessanti dell’estremo contemporaneo, facendoli, per così dire, mutare verso forme meno rassicuranti. L’eredità poetica e politica del realismo magico degli esordi –nelle sue molteplici, battagliere varianti locali, così lontane dagli standard di divulgazione che, successivamente, convertiranno il genere in leccornia esotista per il mercato editoriale occidentale–, il fermento di discontinuità che, originariamente, armò la mano di Alejo Carpentier, Miguel Ángel Asturias e Arturo Uslar Pietri tra gli altri, rivive, emblematicamente annerito, nella sensibilità weird che percorre trasversalmente le opere delle autrici e degli autori più rappresentativi del nuovo canone (Mariana Enriquez, Liliana Colanzi, Juan Cárdenas, Maximiliano Barrientos…), i quali, rileggendo il costrutto meticcio attraverso il filtro oscuro di Lovecraft, rispolverando un’agenda indigenista tramite l’anticapitalismo negativo di Fisher e l’ecologia sinistra di Morton, applicando, in generale, un ulteriore giro di vite al significativo disincontro con cui la periferia risponde alle esigenze di comprensione del centro, riscoprono quello della cultura latinoamericana come un inquietante ed espressivo luogo dell’interruzione, dove la norma intuisce la sua arbitrarietà e intravede la prospettiva del suo collasso. Per questa via, le spazialità mnemocoscienti di un’Apocalisse culturale recentemente entrata nel quinto centenario della sua storia diventano territori di elezione di una consapevolezza antiparadigmatica diffusa, di una maieutica della precarietà che, per una volta, invertendo il flusso dei modelli, sarà urgente esportare: (nuovi) mondi della fine in cui l’umano è chiamato a negoziare creativamente con lo spauracchio della propria estinzione.
2024
Poteri della lettura. Pratiche, immagini, supporti
978-88-6938-433-2
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