A partire dagli Entretiens d’Ostende, dove Michel de Ghelderode spiegava che «cruauté veut dire réalité, peinture exacte», si rileggono qui Escurial e L’École des bouffons, due opere teatrali che obbligano ad entrare con coerenza nel senso di una ‘crudeltà’ che sia sinonimo di trasparenza dell’arte. In un contesto cinquecentesco, spagnolo e fiammingo, all’epoca di Filippo II, di fronte a una trama teatrale dolorosa, che racconta di vendette, esecuzioni, boia, re, buffoni, deformità fisiche, derisioni e sofferenze, la dirompente intensità del testo giugne a motivare il lettore, o il regista, o lo spettatore, nelle tre forme di ricezione del testo: letto, o messo in scena, o fruito a teatro. Intervengono nella riflessione l’analisi della morte quale costante ghelderodiana, di matrice folklorica e fiamminga, ma soprattutto l’idea che la rappresentazione letteraria della morte sia sempre una forma di resurrezione: la parola dice e vince. Immaginando un adattamento della parola teatrale, si insiste allora su una pluralità nella distribuzione dei ruoli, per evidenziare la solidarietà che rende tutti i personaggi sofferenti ugualmente capaci di dare un contributo. Se buffoni e difformi, si presenteranno come diversamente difformi, e fieri della voce che singolarmente potranno portare. Se più generalmente sofferenti, si vedrà come centrale e chiarissima la volontà di bene che li rende protagonisti assoluti sulla scena della vita.
Il rifiuto della violenza, la salvaguardia del testo: un Ghelderode pedagogico con i suoi buffoni
Bettoni, Anna
2024
Abstract
A partire dagli Entretiens d’Ostende, dove Michel de Ghelderode spiegava che «cruauté veut dire réalité, peinture exacte», si rileggono qui Escurial e L’École des bouffons, due opere teatrali che obbligano ad entrare con coerenza nel senso di una ‘crudeltà’ che sia sinonimo di trasparenza dell’arte. In un contesto cinquecentesco, spagnolo e fiammingo, all’epoca di Filippo II, di fronte a una trama teatrale dolorosa, che racconta di vendette, esecuzioni, boia, re, buffoni, deformità fisiche, derisioni e sofferenze, la dirompente intensità del testo giugne a motivare il lettore, o il regista, o lo spettatore, nelle tre forme di ricezione del testo: letto, o messo in scena, o fruito a teatro. Intervengono nella riflessione l’analisi della morte quale costante ghelderodiana, di matrice folklorica e fiamminga, ma soprattutto l’idea che la rappresentazione letteraria della morte sia sempre una forma di resurrezione: la parola dice e vince. Immaginando un adattamento della parola teatrale, si insiste allora su una pluralità nella distribuzione dei ruoli, per evidenziare la solidarietà che rende tutti i personaggi sofferenti ugualmente capaci di dare un contributo. Se buffoni e difformi, si presenteranno come diversamente difformi, e fieri della voce che singolarmente potranno portare. Se più generalmente sofferenti, si vedrà come centrale e chiarissima la volontà di bene che li rende protagonisti assoluti sulla scena della vita.Pubblicazioni consigliate
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