Il ceduo di castagno è una forma di governo a composizione generalmente monospecifica, che sfrutta il carattere eliofilo e pioniere della specie e i vantaggi derivanti dalla capacità praticamente inesauribile di riproduzione agamica e di rinnovamento dell’apparato radicale dopo ogni ceduazione. Storicamente, la gestione regolare su piccoli appezzamenti ha sempre rappresentato una garanzia sia in termini di continuità di produzione che di servizi ecosistemici (protezione contro i pericoli naturali, funzione paesaggistica e biodiversità). Il generale declino della castanicoltura con l’evoluzione socioeconomica dell’ultimo dopoguerra, ha portato in molti casi al completo abbandono della gestione. La situazione attuale dei cedui castanili abbandonati è contraddistinta dall’incontro e dalla contrapposizione di due realtà antitetiche: la presenza delle vecchie ceppaie quale vestigia della gestione pregressa; i processi spontanei di evoluzione post-colturale verso boschi misti. Le principali conseguenze sono: (i) instabilità meccanica per lo squilibrio tra l’abbondante biomassa epigea e l’apparato radicale rimasto proporzionalmente sottosviluppato; (ii) maggior suscettibilità agli stress ambientali e agli agenti patogeni; (iii) aumento del carico di combustibile a terra e quindi dell’intensità di fiamma nel caso di incendi; (iv) ingresso anche consistente di altre specie e conseguente riduzione del numero di ceppaie di castagno. La valutazione relativa alle possibilità di recupero alla produzione legnosa dovrebbe prevedere l’analisi di alcuni fattori condizionanti, tra i quali: le caratteristiche stazionali (fertilità e condizioni climatiche); i principali fattori avversi (fitopatologie, fauna selvatica, cipollatura); le caratteristiche del soprassuolo (densità e composizione specifica); le condizioni logistiche (viabilità, accessibilità, morfologia); le condizioni sociali (caratteri della proprietà e della filiera). Solo in stazioni fertili, adatte al castagno e senza particolari rischi di pericoli naturali vale la pena considerare il ritorno a una gestione attiva per la produzione di legname di qualità. Nella pratica attuale, il recupero passa attraverso interventi di diradamento, generalmente dal basso, per favorire il rilascio di individui con le migliori caratteristiche fenologiche e presumibilmente tecnologiche. In realtà, nei castagneti ceduati da più di 20 anni tale intervento non solo non porta a nessun significativo aumento dell’incremento legnoso, ma provoca negli individui rilasciati una abbondante produzione di rami epicormici e la comparsa quasi certa della cipollatura nel fusto. La scarsa qualità dei fusti, caratteristica di un popolamento non gestito, rende quindi fortemente consigliabile un ricambio generazionale totale, mediante ceduazione. La nuova generazione sarà assicurata dalla rinnovazione di castagno, sia agamica che gamica, anche quest’ultima di norma sempre abbondante grazie alla ricchezza della banca del seme presente al suolo. Per conservare una certa diversità specifica, è comunque consigliabile mantenere (se sono presenti individui portaseme) una piccola quota di altre specie, soprattutto latifoglie nobili sporadiche come ciliegio (Prunus avium), acero (Acer spp.), sorbo (Sorbus spp.) o rovere (Quercus petraea). I contenuti trattati in questo contributo sono parte del Dossier “Castanicoltura da legno: stato dell’arte e criticità” pubblicato dagli autori stessi su Sherwood Foreste ed Alberi Oggi n. 266.

Recupero alla produzione dei cedui castanili fuori turno

enrico marcolin
Writing – Original Draft Preparation
;
mario pividori
Supervision
2024

Abstract

Il ceduo di castagno è una forma di governo a composizione generalmente monospecifica, che sfrutta il carattere eliofilo e pioniere della specie e i vantaggi derivanti dalla capacità praticamente inesauribile di riproduzione agamica e di rinnovamento dell’apparato radicale dopo ogni ceduazione. Storicamente, la gestione regolare su piccoli appezzamenti ha sempre rappresentato una garanzia sia in termini di continuità di produzione che di servizi ecosistemici (protezione contro i pericoli naturali, funzione paesaggistica e biodiversità). Il generale declino della castanicoltura con l’evoluzione socioeconomica dell’ultimo dopoguerra, ha portato in molti casi al completo abbandono della gestione. La situazione attuale dei cedui castanili abbandonati è contraddistinta dall’incontro e dalla contrapposizione di due realtà antitetiche: la presenza delle vecchie ceppaie quale vestigia della gestione pregressa; i processi spontanei di evoluzione post-colturale verso boschi misti. Le principali conseguenze sono: (i) instabilità meccanica per lo squilibrio tra l’abbondante biomassa epigea e l’apparato radicale rimasto proporzionalmente sottosviluppato; (ii) maggior suscettibilità agli stress ambientali e agli agenti patogeni; (iii) aumento del carico di combustibile a terra e quindi dell’intensità di fiamma nel caso di incendi; (iv) ingresso anche consistente di altre specie e conseguente riduzione del numero di ceppaie di castagno. La valutazione relativa alle possibilità di recupero alla produzione legnosa dovrebbe prevedere l’analisi di alcuni fattori condizionanti, tra i quali: le caratteristiche stazionali (fertilità e condizioni climatiche); i principali fattori avversi (fitopatologie, fauna selvatica, cipollatura); le caratteristiche del soprassuolo (densità e composizione specifica); le condizioni logistiche (viabilità, accessibilità, morfologia); le condizioni sociali (caratteri della proprietà e della filiera). Solo in stazioni fertili, adatte al castagno e senza particolari rischi di pericoli naturali vale la pena considerare il ritorno a una gestione attiva per la produzione di legname di qualità. Nella pratica attuale, il recupero passa attraverso interventi di diradamento, generalmente dal basso, per favorire il rilascio di individui con le migliori caratteristiche fenologiche e presumibilmente tecnologiche. In realtà, nei castagneti ceduati da più di 20 anni tale intervento non solo non porta a nessun significativo aumento dell’incremento legnoso, ma provoca negli individui rilasciati una abbondante produzione di rami epicormici e la comparsa quasi certa della cipollatura nel fusto. La scarsa qualità dei fusti, caratteristica di un popolamento non gestito, rende quindi fortemente consigliabile un ricambio generazionale totale, mediante ceduazione. La nuova generazione sarà assicurata dalla rinnovazione di castagno, sia agamica che gamica, anche quest’ultima di norma sempre abbondante grazie alla ricchezza della banca del seme presente al suolo. Per conservare una certa diversità specifica, è comunque consigliabile mantenere (se sono presenti individui portaseme) una piccola quota di altre specie, soprattutto latifoglie nobili sporadiche come ciliegio (Prunus avium), acero (Acer spp.), sorbo (Sorbus spp.) o rovere (Quercus petraea). I contenuti trattati in questo contributo sono parte del Dossier “Castanicoltura da legno: stato dell’arte e criticità” pubblicato dagli autori stessi su Sherwood Foreste ed Alberi Oggi n. 266.
2024
Foreste per il futuro: nuove sfide per la gestione multifunzionale e la ricerca”. XIV Congresso Nazionale SISEF, Padova (Italy) 9 - 12 Set 2024. Abstract-book Posters, pp. 158.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3537221
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