L’impiego del Building Information Modeling in ambito ingegneristico e architettonico è pratica ormai assodata e largamente diffusa. Particolarmente rilevante, ai fini della definitiva affermazione di tale tecnologia, è stata la Direttiva Comunitaria 2014/24/CE del 26 febbraio 2014, la quale, nel tentativo di promuovere una modernizzazione intelligente, sostenibile ed inclusiva del settore dei contratti pubblici, ha proposto a tutti paesi membri l’adozione del BIM come principale metodo di progettazione e gestione di nuovi e vecchi edifici, in virtù delle sue evidenti capacità in termini di digitalizzazione, gestione, analisi e condivisione dei dati. Decisamente diversa appare, invece, la situazione nell’ambito dei beni culturali, dove, complice l’assenza di qualsiasi tipo di normativa al riguardo, si continua a discutere da oltre un decennio sul ruolo che il BIM può avere nello studio e nella gestione del patrimonio storico costruito, evidenziandone, caso per caso, vantaggi e svantaggi anche alla luce dei più recenti avanzamenti tecnologici in materia. L’ultima delle sfide lanciate al Building Information Modeling in tale settore è quella che prevede la sua applicazione a realtà di tipo archeologico. Si tratta di un ambito relativamente giovane e assolutamente singolare che mette a contatto due mondi apparentemente lontani tra loro costringendoli al dialogo e alla collaborazione, nell’ottica di dar vita ad un nuovo strumento che possa supportare ciascuna fase della ricerca archeologica sul campo, ma anche della gestione e valorizzazione di un sito archeologico (Carpentiero 2020). Il seguente contributo mira ad analizzare le potenzialità, i vantaggi e i limiti di questo particolare campo d’applicazione del BIM attraverso la presentazione di due casi studio, quali gli anfiteatri romani di Verona e Pola, per ciascuno dei quali è stato realizzato un modello BIM basato su dati ottenuti tramite i tradizionali metodi della ricerca archeologica.
BIM e archeologia: i casi studio degli anfiteatri romani di Verona e Pola
Caterina Previato
2024
Abstract
L’impiego del Building Information Modeling in ambito ingegneristico e architettonico è pratica ormai assodata e largamente diffusa. Particolarmente rilevante, ai fini della definitiva affermazione di tale tecnologia, è stata la Direttiva Comunitaria 2014/24/CE del 26 febbraio 2014, la quale, nel tentativo di promuovere una modernizzazione intelligente, sostenibile ed inclusiva del settore dei contratti pubblici, ha proposto a tutti paesi membri l’adozione del BIM come principale metodo di progettazione e gestione di nuovi e vecchi edifici, in virtù delle sue evidenti capacità in termini di digitalizzazione, gestione, analisi e condivisione dei dati. Decisamente diversa appare, invece, la situazione nell’ambito dei beni culturali, dove, complice l’assenza di qualsiasi tipo di normativa al riguardo, si continua a discutere da oltre un decennio sul ruolo che il BIM può avere nello studio e nella gestione del patrimonio storico costruito, evidenziandone, caso per caso, vantaggi e svantaggi anche alla luce dei più recenti avanzamenti tecnologici in materia. L’ultima delle sfide lanciate al Building Information Modeling in tale settore è quella che prevede la sua applicazione a realtà di tipo archeologico. Si tratta di un ambito relativamente giovane e assolutamente singolare che mette a contatto due mondi apparentemente lontani tra loro costringendoli al dialogo e alla collaborazione, nell’ottica di dar vita ad un nuovo strumento che possa supportare ciascuna fase della ricerca archeologica sul campo, ma anche della gestione e valorizzazione di un sito archeologico (Carpentiero 2020). Il seguente contributo mira ad analizzare le potenzialità, i vantaggi e i limiti di questo particolare campo d’applicazione del BIM attraverso la presentazione di due casi studio, quali gli anfiteatri romani di Verona e Pola, per ciascuno dei quali è stato realizzato un modello BIM basato su dati ottenuti tramite i tradizionali metodi della ricerca archeologica.File | Dimensione | Formato | |
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