Il testo incentrato sull’analisi del film Veronika Voss è stato concepito all’interno del volume Le tenebrose. Figure di femme fatale nel cinema e nei media europei fra mito e contemporaneità. Il lungometraggio di Rainer Fassbinder è stato esplorato mettendo in luce in qual modo Veronica Voss, protagonista dell’opera, venga rappresentata in maniera dissonante rispetto alla consueta figura della “tenebrosa” per come, ad esempio, il cinema noir l’ha trasmessa. L’analisi della pellicola è stata condotta abbracciando una posizione metodologica estetico-formale che vede in procedimenti compositivi e in singole sezioni narrative e visive possibili accostamenti con riflessioni di impianto psicoanalitico di matrice lacaniana. È stata inoltre posta significativa attenzione al clima culturale della Germania negli anni ’50, colpevole per il regista, di non aver elaborato e liquidato le ombre e gli orrori del potere nazifascista. Le tenebre che avvolgono il dolore di esistere di Veronica sono concentrate sull’aspetto fantasmatico del suo passato, attrice ascesa al glamour nel cinema del Terzo Reich, e nel presente divisa tra ciò che è stato e ciò che non può più essere. Particolare attenzione è stata posta all’abbagliante luce bianca che la avvolge e la risucchia nella ripetizione della pulsione di morte, il contrastato bianco e nero con masse di buio e lampi di luce delle immagini del passato, concorrono a dare forma alla scissione da lei vissuta e contribuiscono a rendere tragicamente evidente come non possa essere salvata da sé stessa per mano del giornalista sportivo Krhon. Come in molti sui film, Fassbinder, anche in questo, mette in scena i rapporti di potere e il legame malato tra dominante e dominato, incarnato in questo caso dal personaggio della sadica dottoressa Katz. Portatrice della morte sotto false sembianze, pronta ad annientare l’altro, la dottoressa, mediante la sua falsa gentilezza, l’espressione marmorea del volto, l’asettico e monocolore arredamento del suo appartamento–prigione, appare l’incarnazione potente di una delle declinazioni della possessione dell’altro. Ma è forse il cinema a vampirizzare la vita, sembra suggerirci Fassbinder. Il suo film si apre in una sala cinematografica dove il regista stesso, alle spalle della protagonista seduta in sala, fissa le immagini di una pellicola interpretata negli anni di splendore raggiunto da Veronika che ora, anche lei in sala, guarda il suo doppio prodotto da un fascio di luce proiettato sullo schermo, divisa tra cattura verso quel simulacro ideale e tormento. Potremmo supporre che Veronika, vinta dalle tenebre della propria anima, alla conclusione del film, compiendo il proprio atto di autoannientamento, abbia trovato nel bianco accecante della fine la sua originaria dimora, quella dimora doppiata dal fascio di luce generatrice dell’immagine impressa nella pellicola.
Veronika Voss, tenebre, fantasmi e legami malati.
Rosamaria Salvatore
2024
Abstract
Il testo incentrato sull’analisi del film Veronika Voss è stato concepito all’interno del volume Le tenebrose. Figure di femme fatale nel cinema e nei media europei fra mito e contemporaneità. Il lungometraggio di Rainer Fassbinder è stato esplorato mettendo in luce in qual modo Veronica Voss, protagonista dell’opera, venga rappresentata in maniera dissonante rispetto alla consueta figura della “tenebrosa” per come, ad esempio, il cinema noir l’ha trasmessa. L’analisi della pellicola è stata condotta abbracciando una posizione metodologica estetico-formale che vede in procedimenti compositivi e in singole sezioni narrative e visive possibili accostamenti con riflessioni di impianto psicoanalitico di matrice lacaniana. È stata inoltre posta significativa attenzione al clima culturale della Germania negli anni ’50, colpevole per il regista, di non aver elaborato e liquidato le ombre e gli orrori del potere nazifascista. Le tenebre che avvolgono il dolore di esistere di Veronica sono concentrate sull’aspetto fantasmatico del suo passato, attrice ascesa al glamour nel cinema del Terzo Reich, e nel presente divisa tra ciò che è stato e ciò che non può più essere. Particolare attenzione è stata posta all’abbagliante luce bianca che la avvolge e la risucchia nella ripetizione della pulsione di morte, il contrastato bianco e nero con masse di buio e lampi di luce delle immagini del passato, concorrono a dare forma alla scissione da lei vissuta e contribuiscono a rendere tragicamente evidente come non possa essere salvata da sé stessa per mano del giornalista sportivo Krhon. Come in molti sui film, Fassbinder, anche in questo, mette in scena i rapporti di potere e il legame malato tra dominante e dominato, incarnato in questo caso dal personaggio della sadica dottoressa Katz. Portatrice della morte sotto false sembianze, pronta ad annientare l’altro, la dottoressa, mediante la sua falsa gentilezza, l’espressione marmorea del volto, l’asettico e monocolore arredamento del suo appartamento–prigione, appare l’incarnazione potente di una delle declinazioni della possessione dell’altro. Ma è forse il cinema a vampirizzare la vita, sembra suggerirci Fassbinder. Il suo film si apre in una sala cinematografica dove il regista stesso, alle spalle della protagonista seduta in sala, fissa le immagini di una pellicola interpretata negli anni di splendore raggiunto da Veronika che ora, anche lei in sala, guarda il suo doppio prodotto da un fascio di luce proiettato sullo schermo, divisa tra cattura verso quel simulacro ideale e tormento. Potremmo supporre che Veronika, vinta dalle tenebre della propria anima, alla conclusione del film, compiendo il proprio atto di autoannientamento, abbia trovato nel bianco accecante della fine la sua originaria dimora, quella dimora doppiata dal fascio di luce generatrice dell’immagine impressa nella pellicola.Pubblicazioni consigliate
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