«Benché ridotte in numero ed estensione e disseminate in testi diversi per natura e cronologia, le citazioni agostiniane di Ps. 27(26),8 lasciano trapelare una concezione articolata e coerente del volto di Dio e della sua ricerca da parte dell’uomo. Agostino legge il versetto in una traduzione latina che segue la versione greca della Septuaginta nella variante attestata dai codici Vaticano e Alessandrino, secondo la quale è il cuore stesso del salmista a rivolgersi al Signore per dirgli di aver cercato il suo volto. Soggetto e luogo della ricerca è dunque il cuore, simbolo dell’interiorità umana e sede di una capacità di visione ulteriore rispetto a quella degli occhi. Dio va cercato per sé stesso e non in vista di altro; per questo la sua ricerca avviene nell’intimo, dove non può essere ostentata per qualche secondo fine. Ma solo il cuore può davvero cercare Dio anche perché Dio non ha un aspetto percepibile ai sensi esterni: neppure il volto di Cristo, Verbo incarnato, è capace di manifestare allo sguardo degli uomini una realtà come quella divina, che si sottrae per sua natura alla vista fisica. La visione intellettuale di Dio “faccia a faccia” è raggiungibile solamente oltre i limiti della vita terrena e richiede una purificazione del cuore, che proprio la fede in Cristo permette di ottenere dato che pone ordine e rettitudine nell’amore verso le cose, come Agostino ha sperimentato personalmente nella propria esistenza. Sebbene le abbia utilizzate molto meno di quanto sarebbe stato lecito attendersi da parte sua, egli ha interpretato le parole di Ps. 27(26),8 in un modo che rispecchia perfettamente alcune tra le sue idee più note circa la corretta realizzazione della tensione dinamica che orienta il cuore umano in direzione di ciò per cui è stato fatto: la relazione con Dio» (pp. 637-638).
«Quaesivi vultum tuum», Ps 27,8 nelle opere di Agostino
Giovanni Catapano
2024
Abstract
«Benché ridotte in numero ed estensione e disseminate in testi diversi per natura e cronologia, le citazioni agostiniane di Ps. 27(26),8 lasciano trapelare una concezione articolata e coerente del volto di Dio e della sua ricerca da parte dell’uomo. Agostino legge il versetto in una traduzione latina che segue la versione greca della Septuaginta nella variante attestata dai codici Vaticano e Alessandrino, secondo la quale è il cuore stesso del salmista a rivolgersi al Signore per dirgli di aver cercato il suo volto. Soggetto e luogo della ricerca è dunque il cuore, simbolo dell’interiorità umana e sede di una capacità di visione ulteriore rispetto a quella degli occhi. Dio va cercato per sé stesso e non in vista di altro; per questo la sua ricerca avviene nell’intimo, dove non può essere ostentata per qualche secondo fine. Ma solo il cuore può davvero cercare Dio anche perché Dio non ha un aspetto percepibile ai sensi esterni: neppure il volto di Cristo, Verbo incarnato, è capace di manifestare allo sguardo degli uomini una realtà come quella divina, che si sottrae per sua natura alla vista fisica. La visione intellettuale di Dio “faccia a faccia” è raggiungibile solamente oltre i limiti della vita terrena e richiede una purificazione del cuore, che proprio la fede in Cristo permette di ottenere dato che pone ordine e rettitudine nell’amore verso le cose, come Agostino ha sperimentato personalmente nella propria esistenza. Sebbene le abbia utilizzate molto meno di quanto sarebbe stato lecito attendersi da parte sua, egli ha interpretato le parole di Ps. 27(26),8 in un modo che rispecchia perfettamente alcune tra le sue idee più note circa la corretta realizzazione della tensione dinamica che orienta il cuore umano in direzione di ciò per cui è stato fatto: la relazione con Dio» (pp. 637-638).Pubblicazioni consigliate
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