Erdogan trionfa ancora una volta . Se le presidenziali erano, innanzitutto, un referendum su di lui, lo ha vinto. Un successo che, unito alla conquista della maggioranza parlamentare, spalanca al “Sultano” le porte di quello che definisce, retoricamente, «il secolo della Turchia». Nonostante l’inflazione alle stelle, la criticata gestione dei soccorsi nel terremoto di febbraio, l’insofferenza verso alcune scelte, la presenza dei profughi siriani, i costi, sempre più difficili da sostenere in tempi di crisi, dell’ambiziosa politica neo-ottomana. sconfigge il suo avversario. Certo, a far vincere il leader dell’AKP è stato, anche, un populismo spendaccione, concesso solo a chi disponeva delle leve di governo. Eppure, anche in questa vittoria, c’è qualcosa di più, che sfugge agli osservatori. Qualcosa che va oltre gli effetti di quei provvedimenti o la debolezza dell’eterogenea opposizione, Come fa da oltre due decenni, Erdoğan è riuscito a mobilitare un elettorato sensibile alla politica dell’identità. Una politica che si nutre di simboli e di un repertorio narrativo capace di parlare a quanti percepiscono la propria identità come minacciata e del nemico che la minaccerebbe. Sebbene l’AKP sia l’ultima incarnazione dell’islam politico ispirato dalla filiera neotradizionalista dei Fratelli musulmani, si tratta di un’identità solo parzialmente di matrice islamista. A votare per il “Sultano” sono, ancora una volta, non solo i religiosi ma anche quanti si sono sentiti a lungo esclusi nella Turchia secolare e modernizzante figlia di Ataturk; quelli che negli ambienti moderni della capitale sono ancora considerati gli “infrequentabili” della provincia profonda;; quelli dei villaggi rurali dell’Anatolia, dove le donne sono velate per tradizione prima ancora che per convinzione religiosa o ideologica. Una massa che, negli ultimi decenni, ha modificato la geografia urbana e sociale del Paese, dando origine alla migrazione interna che ha trasformato in megalopoli Istanbul.

" Uno di noi". Per una sociologia (im)politica del consenso a Erdoğan

GUOLO RENZO
2023

Abstract

Erdogan trionfa ancora una volta . Se le presidenziali erano, innanzitutto, un referendum su di lui, lo ha vinto. Un successo che, unito alla conquista della maggioranza parlamentare, spalanca al “Sultano” le porte di quello che definisce, retoricamente, «il secolo della Turchia». Nonostante l’inflazione alle stelle, la criticata gestione dei soccorsi nel terremoto di febbraio, l’insofferenza verso alcune scelte, la presenza dei profughi siriani, i costi, sempre più difficili da sostenere in tempi di crisi, dell’ambiziosa politica neo-ottomana. sconfigge il suo avversario. Certo, a far vincere il leader dell’AKP è stato, anche, un populismo spendaccione, concesso solo a chi disponeva delle leve di governo. Eppure, anche in questa vittoria, c’è qualcosa di più, che sfugge agli osservatori. Qualcosa che va oltre gli effetti di quei provvedimenti o la debolezza dell’eterogenea opposizione, Come fa da oltre due decenni, Erdoğan è riuscito a mobilitare un elettorato sensibile alla politica dell’identità. Una politica che si nutre di simboli e di un repertorio narrativo capace di parlare a quanti percepiscono la propria identità come minacciata e del nemico che la minaccerebbe. Sebbene l’AKP sia l’ultima incarnazione dell’islam politico ispirato dalla filiera neotradizionalista dei Fratelli musulmani, si tratta di un’identità solo parzialmente di matrice islamista. A votare per il “Sultano” sono, ancora una volta, non solo i religiosi ma anche quanti si sono sentiti a lungo esclusi nella Turchia secolare e modernizzante figlia di Ataturk; quelli che negli ambienti moderni della capitale sono ancora considerati gli “infrequentabili” della provincia profonda;; quelli dei villaggi rurali dell’Anatolia, dove le donne sono velate per tradizione prima ancora che per convinzione religiosa o ideologica. Una massa che, negli ultimi decenni, ha modificato la geografia urbana e sociale del Paese, dando origine alla migrazione interna che ha trasformato in megalopoli Istanbul.
2023
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