The research aims at studying the corporate interest in the framework of the new financing techniques provided by the reform of company law in order to implement the investors’ mentoring and monitorig activities in the start up as well as in the corporate reorganization process. Part I provides a comparative and historical overview of the two basic models that have long competed in corporate law scholarship about the nature and the purpose of a corporation: institutionalism and contractualism. The claim is to underline that these two paradigms, which seem pointed in opposite directions because ultimately rested on strongly conflicting political visions of the appropriate foundations of corporate law, in another perspective, and specifically in the context of contemporary corporate law, are to be reconciled at least because the depth of the disagreement is not understandable in the light of the existing complex set of the firm’s contractual relationships. The shareholder primacy conception – which holds that a corporation is owned by its stockholders and that managers have a duty to maximize stockholder wealth - is unsatisfactory as a descriptive matter, in particular because to disregard the claims of nonshareholder constituencies is inconsistent with the positive role that creditors can play in the corporate governance. Under this approach, the analysis of the complexity of capital structure in relation to control rights becomes a central framework to inquiry. Part II sets out underlying that the contracts between the various corporate financial claimants and the corporation are inevitably incomplete because of the high transaction costs of fully specifying state-contingent agreements that would cover all possible circumstances. The hybrid securities are placed in this context as one of the legal structures introduced to promote economic efficiency. The debate over nonshareholder protection, with special regard to the question if fiduciary duties run also to bondholders and preferred shareholders, demonstrates, first, that while the bond indenture is an imperfect instrument, fiduciary duty is not a panacea, second, that much of the basis for distinctions between stockholder and bondholder remedies is outdated. Commentators posit that corporations should maximize value for shareholders alone mainly for an instrumental claim, that is because shareholders, as residual claimants, have the greatest incentive to maximize the value of the society as a whole. However, the diversification of the financial instruments leads to redefine the relation between ownership and control besides the notion of “residual claimant”, and supports the idea that, also the corporate interest, as like as the corporate control, is subject to negotiation. This conclusion, in turn, induce to treat the bondholders with voting rights as controlling the corporation and, thereby, to examine the broad issue of creditors’ responsibility so that the bond contract serves as the font of all rights and duties. In so doing, Part III attempts to shed some light, on the one hand, upon the implications of the power to influence or control corporate decisionmaking on the lender liability and, on the other hand, upon the opportunity to refer to bondholders the rules recently enacted in the field of s.r.l. In spite of nonshareholders rarely find it in their interest to contract with shareholders to vary the shareholder-primacy default rule and to play an active role in corporate governance, however, in certain contexts such as insolvency, circumstances can change so it is important to find in the liability (and in the confidence in the efficacy of judicial intervention) a balance between the renewed faith in the institution of contract and the opportunity to take into consideration also the creditors called “outsiders”. The dominant model in today's scholarship suggests that voluntary debt adjustments by enterprises in financial distress systematically disadvantage dispersed bondholders, that have a little bargaining power and are subject to debtor or institutional investors strategic behavior. The “liability lever”, nonetheless, could dissuade banks from investing in hybrid securities. On account of this, Part IV focuses on the bankruptcy law reform to evaluate the profitability of the new financing techniques in financial distress. In particular, the attention is paid to the choice between the two restructuring regimes (bankruptcy and out-of-court restructuring) and its impact on the governance system. Impeding financial distress as often as not means to avoid responsibility; at the same time using covenants to contractually secure various control rights typically assigned to equity holders creditors are enabled to address the restructuring perspective. In this perspective, the economic efficiency of the "half-way" instruments between shares and debentures is enhanced by the intersection of multiple mechanisms, including private restructuring, the market for corporate control, management incentives, creditor activism, and a host of others. An understanding of the unique dynamics of bankruptcy and non bankruptcy legislation has become essential to understand the fundamentals of corporate governance and its balance with relation to the behavior of the corporate interest in front of the borrowing claims.
Le pagine che seguono intendono offrire una rilettura dell’interesse sociale alla luce degli strumenti con i quali le più recenti riforme legislative hanno voluto consentire il coinvolgimento dei finanziatori nel governo della società dalla fase di start up a quella di crisi. Il primo capitolo opera una ricostruzione storica e comparata della contrapposizione tra le due scuole di pensiero che tradizionalmente si misurano sulla nozione di società e di interesse sociale: istituzionalismo e contrattualismo. L’intento è fare emergere come questi due moduli interpretativi, sebbene appaiano destinati ad una divergenza insuperabile perché radicata in ultima analisi su approcci politici profondamente configgenti sui fondamenti stessi del diritto societario, in un’altra prospettiva e specificamente nel contesto dell’assetto normativo attuale, necessitano viceversa d’essere conciliati in un quadro unitario. Ciò quantomeno perché le ragioni tradizionalmente addotte a fondamento del divario interpretativo hanno per la più parte perso aderenza al dato normativo dopo che questo è stato ridisegnato dalla riforma componendo in una diversa pluralità di forme le relazioni contrattuali inerenti alla società. La teoria della primazia dei soci – la quale ravvisa nella società una proprietà degli azionisti e nella massimizzazione della ricchezza di questi ultimi l’interesse in funzione del quale la società deve essere amministrata - non è soddisfacente sul piano descrittivo, in particolare perché negando ogni considerazione alle istanze dei non soci si mostra incoerente con il ruolo attivo che il legislatore ha consentito ai creditori nella stessa corporate governance. L’osservazione di questo nuovo elemento sposta dunque il baricentro dell’indagine sulla relazione tra la complessità della struttura finanziaria della società e la titolarità di diritti di controllo sulla stessa. La relativa analisi è condotta nel capitolo secondo, che muove dalla considerazione per cui i contratti tra i vari finanziatori e la società soffrono di un’incompletezza resa inevitabile dagli alti costi di transazione associati alla pretesa di disciplinare in sede negoziale ogni possibile evenienza. Gli strumenti ibridi di partecipazione trovano collocazione in questo contesto in quanto meccanismo legale innovativo di promozione dell’efficienza economica connessa alle istanze di competitività nell’accesso al finanziamento della piccola o media impresa. Un’efficienza, questa auspicata, da valutarsi soprattutto con riguardo al dibattito sul fondamento legale o contrattuale delle tutele da riconoscere agli investitori non azionisti, la ricostruzione del quale dimostra anzitutto che né il contratto di finanziamento né la tutela giudiziale successiva possono considerarsi strumenti perfetti, e in secondo luogo che il contesto normativo riformato impone di porre in discussione molti dei presupposti sui quali è tracciata la distinzione in punto di tutela tra azionisti e non azionisti. Rileva in tal senso l’argomento dottrinale secondo il quale le società dovrebbero massimizzare il valore per i soli azionisti perché così facendo – in considerazione delle pretese residuali di cui tale categoria è referente – otterrebbe di massimizzare il valore per l’intero ente. Ebbene, tale assunto è oggi posto in discussione dalla diversificazione degli strumenti di finanziamento, che sollecita a ridefinire la relazione tra proprietà e controllo nonché la nozione stessa di “residual claimant”, e supporta l’idea che anche l’interesse sociale, così come il controllo sociale, si presti ad essere determinato in via negoziale. Questa conclusione, a sua volta, induce a valutare la posizione dei finanziatori con poteri di voice in termini di controllo sulla società e, di conseguenza, ad esaminare l’ampio tema della responsabilità dei creditori nella prospettiva che il contratto di finanziamento sia veicolo non solo di diritti ma anche di oneri di condotta. Così procedendo, il terzo capitolo si prefigge di fare luce, anzitutto, sulle implicazioni che l’attribuzione ai finanziatori del potere di influenzare o controllare il processo decisionale della società esercita in tema di responsabilità e, sotto un secondo profilo, sull’opportunità di riferire ai portatori di strumenti partecipativi la disciplina recentemente dettata in seno al corpo normativo delle s.r.l. con riguardo alla responsabilità patrimoniale e gestionale dei soci. Premesso che raramente è da ritenere che i finanziatori istituzionali possano trovare conforme ai loro interessi alterare in sede contrattuale il principio residuale di primazia degli azionisti per svolgere in luogo di questi ultimi un ruolo attivo nella governance della società, ciononostante non è da escludere che in determinati contesti – e in specie in quello di crisi - le valutazioni di convenienza possano essere diverse. Potrebbe quindi essere rilevante trovare nella responsabilità (e nell’efficacia dell’intervento giudiziale) un bilanciamento tra la rinnovata fiducia nell’autonomia contrattuale e l’opportunità di prendere in considerazione anche i creditori privi di capacità di conseguire in sede di negoziazione un livello idoneo di tutela (cd. finanziatori “outsider”): ciò soprattutto in quanto il modello dominante in dottrina evidenzia che le politiche di debito assunte dalle società in stato di crisi svantaggiano sistematicamente la massa non organizzata dei creditori, che si trovano pertanto esposti a comportamenti strategici del debitore o degli investitori istituzionali. D’altro canto proprio la leva della responsabilità potrebbe dissuadere le banche dall’investire negli strumenti ibridi di finanziamento, così vanificando l’innovazione legislativa e con essa gli intenti di garantire maggiore competitività al nostro ordinamento. In considerazione di questi diversi elementi, il quarto capitolo si volge allo studio della recente riforma fallimentare, per valutare la profittabilità delle nuove tecniche finanziarie nella fase di crisi. In particolare, l’attenzione è riposta sulle soluzioni concordate alla crisi dell’impresa e sul relativo impatto sul sistema di governance. Per un verso emerge come evitare la procedura fallimentare nel più dei casi significhi sottrarsi dall’essere convenuti in azioni di responsabilità; per altro verso si delinea come ricorrendo a clausole contrattuali attributive di diritti di controllo i creditori ottengano di indirizzare non solo le politiche di investimento ma anche quelle di risanamento delle società finanziate, e con ciò dunque di poter contenere il rischio dell’attivarsi delle responsabilità da eterogestione. Se si considera come l’opzione per le soluzioni pre-fallimentari possa avvantaggiare l’intera massa dei creditori, si è indotti a ritenere che l’efficienza economica degli ibridi finanziari trovi realizzazione solo nell’intersezione di molteplici prospettive, legate alla privatizzazione dell’insolvenza, al mercato del controllo delle società, al coinvolgimento dei creditori negli assetti di governo delle società finanziate. La comprensione unitaria di tali dinamiche, legate al contempo alla solvenza e all’insolvenza, si pone quindi come momento essenziale per l’interpretazione degli equilibri di governance in relazione al complesso atteggiarsi dell’interesse sociale in relazione alle istanze di finanziamento.
Interesse sociale e finanziatori insider: l'esperienza statunitense sui conflitti e le prospettive del diritto italiano / Miotto, Linda. - (2009 Jan).
Interesse sociale e finanziatori insider: l'esperienza statunitense sui conflitti e le prospettive del diritto italiano.
Miotto, Linda
2009
Abstract
Le pagine che seguono intendono offrire una rilettura dell’interesse sociale alla luce degli strumenti con i quali le più recenti riforme legislative hanno voluto consentire il coinvolgimento dei finanziatori nel governo della società dalla fase di start up a quella di crisi. Il primo capitolo opera una ricostruzione storica e comparata della contrapposizione tra le due scuole di pensiero che tradizionalmente si misurano sulla nozione di società e di interesse sociale: istituzionalismo e contrattualismo. L’intento è fare emergere come questi due moduli interpretativi, sebbene appaiano destinati ad una divergenza insuperabile perché radicata in ultima analisi su approcci politici profondamente configgenti sui fondamenti stessi del diritto societario, in un’altra prospettiva e specificamente nel contesto dell’assetto normativo attuale, necessitano viceversa d’essere conciliati in un quadro unitario. Ciò quantomeno perché le ragioni tradizionalmente addotte a fondamento del divario interpretativo hanno per la più parte perso aderenza al dato normativo dopo che questo è stato ridisegnato dalla riforma componendo in una diversa pluralità di forme le relazioni contrattuali inerenti alla società. La teoria della primazia dei soci – la quale ravvisa nella società una proprietà degli azionisti e nella massimizzazione della ricchezza di questi ultimi l’interesse in funzione del quale la società deve essere amministrata - non è soddisfacente sul piano descrittivo, in particolare perché negando ogni considerazione alle istanze dei non soci si mostra incoerente con il ruolo attivo che il legislatore ha consentito ai creditori nella stessa corporate governance. L’osservazione di questo nuovo elemento sposta dunque il baricentro dell’indagine sulla relazione tra la complessità della struttura finanziaria della società e la titolarità di diritti di controllo sulla stessa. La relativa analisi è condotta nel capitolo secondo, che muove dalla considerazione per cui i contratti tra i vari finanziatori e la società soffrono di un’incompletezza resa inevitabile dagli alti costi di transazione associati alla pretesa di disciplinare in sede negoziale ogni possibile evenienza. Gli strumenti ibridi di partecipazione trovano collocazione in questo contesto in quanto meccanismo legale innovativo di promozione dell’efficienza economica connessa alle istanze di competitività nell’accesso al finanziamento della piccola o media impresa. Un’efficienza, questa auspicata, da valutarsi soprattutto con riguardo al dibattito sul fondamento legale o contrattuale delle tutele da riconoscere agli investitori non azionisti, la ricostruzione del quale dimostra anzitutto che né il contratto di finanziamento né la tutela giudiziale successiva possono considerarsi strumenti perfetti, e in secondo luogo che il contesto normativo riformato impone di porre in discussione molti dei presupposti sui quali è tracciata la distinzione in punto di tutela tra azionisti e non azionisti. Rileva in tal senso l’argomento dottrinale secondo il quale le società dovrebbero massimizzare il valore per i soli azionisti perché così facendo – in considerazione delle pretese residuali di cui tale categoria è referente – otterrebbe di massimizzare il valore per l’intero ente. Ebbene, tale assunto è oggi posto in discussione dalla diversificazione degli strumenti di finanziamento, che sollecita a ridefinire la relazione tra proprietà e controllo nonché la nozione stessa di “residual claimant”, e supporta l’idea che anche l’interesse sociale, così come il controllo sociale, si presti ad essere determinato in via negoziale. Questa conclusione, a sua volta, induce a valutare la posizione dei finanziatori con poteri di voice in termini di controllo sulla società e, di conseguenza, ad esaminare l’ampio tema della responsabilità dei creditori nella prospettiva che il contratto di finanziamento sia veicolo non solo di diritti ma anche di oneri di condotta. Così procedendo, il terzo capitolo si prefigge di fare luce, anzitutto, sulle implicazioni che l’attribuzione ai finanziatori del potere di influenzare o controllare il processo decisionale della società esercita in tema di responsabilità e, sotto un secondo profilo, sull’opportunità di riferire ai portatori di strumenti partecipativi la disciplina recentemente dettata in seno al corpo normativo delle s.r.l. con riguardo alla responsabilità patrimoniale e gestionale dei soci. Premesso che raramente è da ritenere che i finanziatori istituzionali possano trovare conforme ai loro interessi alterare in sede contrattuale il principio residuale di primazia degli azionisti per svolgere in luogo di questi ultimi un ruolo attivo nella governance della società, ciononostante non è da escludere che in determinati contesti – e in specie in quello di crisi - le valutazioni di convenienza possano essere diverse. Potrebbe quindi essere rilevante trovare nella responsabilità (e nell’efficacia dell’intervento giudiziale) un bilanciamento tra la rinnovata fiducia nell’autonomia contrattuale e l’opportunità di prendere in considerazione anche i creditori privi di capacità di conseguire in sede di negoziazione un livello idoneo di tutela (cd. finanziatori “outsider”): ciò soprattutto in quanto il modello dominante in dottrina evidenzia che le politiche di debito assunte dalle società in stato di crisi svantaggiano sistematicamente la massa non organizzata dei creditori, che si trovano pertanto esposti a comportamenti strategici del debitore o degli investitori istituzionali. D’altro canto proprio la leva della responsabilità potrebbe dissuadere le banche dall’investire negli strumenti ibridi di finanziamento, così vanificando l’innovazione legislativa e con essa gli intenti di garantire maggiore competitività al nostro ordinamento. In considerazione di questi diversi elementi, il quarto capitolo si volge allo studio della recente riforma fallimentare, per valutare la profittabilità delle nuove tecniche finanziarie nella fase di crisi. In particolare, l’attenzione è riposta sulle soluzioni concordate alla crisi dell’impresa e sul relativo impatto sul sistema di governance. Per un verso emerge come evitare la procedura fallimentare nel più dei casi significhi sottrarsi dall’essere convenuti in azioni di responsabilità; per altro verso si delinea come ricorrendo a clausole contrattuali attributive di diritti di controllo i creditori ottengano di indirizzare non solo le politiche di investimento ma anche quelle di risanamento delle società finanziate, e con ciò dunque di poter contenere il rischio dell’attivarsi delle responsabilità da eterogestione. Se si considera come l’opzione per le soluzioni pre-fallimentari possa avvantaggiare l’intera massa dei creditori, si è indotti a ritenere che l’efficienza economica degli ibridi finanziari trovi realizzazione solo nell’intersezione di molteplici prospettive, legate alla privatizzazione dell’insolvenza, al mercato del controllo delle società, al coinvolgimento dei creditori negli assetti di governo delle società finanziate. La comprensione unitaria di tali dinamiche, legate al contempo alla solvenza e all’insolvenza, si pone quindi come momento essenziale per l’interpretazione degli equilibri di governance in relazione al complesso atteggiarsi dell’interesse sociale in relazione alle istanze di finanziamento.File | Dimensione | Formato | |
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