Cirrhosis due to hepatitis C (HCV) infection, with or without hepatocellular carcinoma (HCC), is the leading indication for liver transplantation (LT) worldwide. Recurrent HCV infection of the allograft is universal if the virus is detectable at the time of transplant, with variable clinical course. In one third of liver recipients recurrent HCV infection lead to cirrhosis in the graft within only 5 years after LT. A small proportion of recipients can develop cholestatic HCV (CHC), a severe form of recurrence carrying a poor prognosis. In the last years, the approval of interferon-free (IFN-free) regimens for the treatment of chronic HCV has been a major step forward in Transplant Hepatology. The safety and efficacy of direct acting antivirals (DAAs) allow to treat patients awaiting LT as well as individuals with HCV recurrence after LT. Here we present two studies including HCV-infected patients in the peri-transplant setting. In the first study we aimed to assess the persistence of HCV-RNA in liver explants of HCV-infected patients treated with an IFN-free regimen on the waitlist for LT, and to analyze if its presence was associated with relapse after LT. Moreover, we investigated the potential role of the innate immune response on the persistence of HCV-RNA in the liver. Residual HCV-RNA was detected in liver explant in 67% of HCV-infected patients treated with DAAs on the waitlist, and with serum HCV-RNA negative at transplant. Nevertheless, HCV-RNA persistence in liver explant does not seem to be associated with virological relapse after transplantation, except in cases where liver HCV-RNA concentrations are high. Interestingly, we also found that the intrahepatic IFN pathway is down-regulated in patients treated with DAAs. In the second study we investigated virological mechanisms involved in the pathogenesis of cholestatic HCV (CHC) after LT, assessing the HCV quasispecies evolution and presence of specific mutations within the NS5B region, before and after LT, using ultra-deep pyrosequencing. Patients included in this study were at the extreme spectrum of hepatitis C recurrence: mild disease with an excellent long-term outcome and patients with CHC with a poor outcome. We showed that in patients with CHC, the predominant virus strain outgrow the others and generates a relatively uniform quasispecies. In these patients, HCV appears to acquire an increased fitness in the new graft, since we found that the master sequence present before LT propagated in most of CHC patients after LT, but not in patients with mild HCV recurrence. We cannot exclude that specific mutations within HCV genome of patients with CHC may explain the high viral replication capacity and fitness. Indeed, we found specific mutations in the HCV genome of some patients with CHC, but our sample was not sized to show significant differences with individuals with mild hepatitis C recurrence. A further step forward could be to introduce these mutations in in vitro models to test their impact on virus replication/fitness. In conclusion, the antiviral treatment of hepatitis C infection with DAAs before liver transplantation seems the ideal option in the liver transplant setting. However, in patients treated with DAAs on the waiting list, who have high explant HCV-RNA concentrations and a downregulation of IFN-pathway, another therapeutic strategy should be choose in order to avoid HCV recurrence after LT. In patients who develop a cholestatic hepatitis C recurrence after LT, the application of specific mutations of HCV polymerase gene in in vitro models might be crucial for a better understanding of the mechanisms underlying this severe form of HCV recurrence.
La cirrosi epatica dovuta all’infezione dell’epatite C (HCV), associata o meno ad epatocarcinoma, è l’indicazione principale al trapianto di fegato. La ricorrenza dell’infezione nel fegato trapiantato è universale nei pazienti HCV positivi al momento del trapianto. Un terzo dei riceventi presenta un quadro cirrosi epatica nei 5 anni successivi al trapianto di fegato e una parte minore può sviluppare una forma severa di ricorrenza, associata ad una prognosi infausta, chiamata epatite colestasica fibrosante (CHC). Negli ultimi anni, l’utilizzo delle terapie antivirali senza interferone per il trattamento dell’epatite C ha segnato un traguardo importante dell’epatologia dei trapianti. Infatti l’efficacia e la sicurezza dei farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs) permette di trattare i pazienti con cirrosi HCV-correlata in lista d’attesa per trapianto e i pazienti trapiantati che hanno sviluppato una ricorrenza dell’infezione dopo trapianto. In questa tesi presentiamo due studi che includono pazienti affetti da epatite HCV nell’ambito del trapianto di fegato. Nel primo studio lo scopo è stato quello di determinare la persistenza del genoma virale (HCV-RNA) nel fegato espiantato di pazienti con cirrosi HCV-correlata, che avevano ricevuto un trattamento antivirale con DAAs, durante la lista d’attesa per trapianto di fegato. Abbiamo inoltre valutato il ruolo dell’immunità innata nella persistenza dell’HCV-RNA nel fegato espiantato dopo trattamento antivirale. Abbiamo dimostrato che, nonostante il trattamento, il genoma virale persisteva nel fegato espiantato della maggior parte dei pazienti. Tuttavia, la presenza di HCV-RNA non è risultata associata al fallimento del trattamento, ossia alla ricorrenza dell’infezione HCV dopo trapianto, tranne che nei pazienti in cui vi era una elevata quantità di genoma virale nel fegato espiantato. Interessante è stato vedere come in questi pazienti trattati con DAAs ci fosse una ridotta attivazione della via di segnalizzazione cellulare dell’interferone. Nel secondo studio sono stati indagati specifici meccanismi virologici coinvolti nella patogenesi dell’epatite colestasica C (CHC), la forma più severa di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto di fegato. L’evoluzione delle popolazioni virali che circolano normalmente in un unico individuo, chiamate quasispecie virali, e la presenza di specifiche mutazioni nella regione codificante per la polimerasi del virus (NS5B) sono state studiate utilizzando una tecnica molto sensibile e innovativa, quale il sequenziamento massivo di nuova generazione. Sono stati inclusi nello studio due gruppi di pazienti: pazienti che avevano sviluppato la CHC e pazienti che avevano presentato una forma lieve di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto, inclusi nel gruppo di controllo. Abbiamo visto che nei pazienti con CHC uno specifico ceppo virale dominava sugli altri, generando una quasispecie virale omogenea. In questi pazienti il virus aveva acquisito una maggiore “fitness”, confermato anche dal fatto che la sequenza maggioritaria presente prima del trapianto si manteneva anche dopo trapianto. Invece, nei pazienti con una ricorrenza lieve questo non avveniva, e la quasispecie virale appariva più disomogenea dopo trapianto. Nei pazienti con CHC, la presenza di specifiche mutazioni del gene NS5B potrebbero spiegare il comportamento del virus, che replicando ad alti livelli induce un danno cellulare severo. Abbiamo identificato alcune mutazioni della regione NS5B nei pazienti con CHC ma, probabilmente per il piccolo campione incluso nello studio, tali mutazioni non erano significativamente più presenti nei pazienti con CHC rispetto al gruppo di controllo. L’obiettivo successivo sarà quello di utilizzare queste mutazioni per creare un modello in vitro, che permetta di confermare il loro impatto sulla replicazione del virus e la patogenesi della CHC. In conclusione, in pazienti trattati con i nuovi potenti farmaci antivirali durante la lista d’attesa per trapianto, che presentano alti livelli di HCV-RNA nell’espianto e con una ridotta risposta immunitaria innata, dovrebbe essere adottata un’altra strategia terapeutica dopo trapianto. Nei pazienti che sviluppano una epatite colestatica HCV correlata dopo trapianto di fegato, lo studio e l’utilizzo di mutazioni presenti nel genoma virale possono essere utili allo scopo di definire i meccanismi alla base di questa severa forma di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto di fegato.
Host and virological features of HCV infection in liver transplant setting / Gambato, Martina. - (2016 Jan 31).
Host and virological features of HCV infection in liver transplant setting
Gambato, Martina
2016
Abstract
La cirrosi epatica dovuta all’infezione dell’epatite C (HCV), associata o meno ad epatocarcinoma, è l’indicazione principale al trapianto di fegato. La ricorrenza dell’infezione nel fegato trapiantato è universale nei pazienti HCV positivi al momento del trapianto. Un terzo dei riceventi presenta un quadro cirrosi epatica nei 5 anni successivi al trapianto di fegato e una parte minore può sviluppare una forma severa di ricorrenza, associata ad una prognosi infausta, chiamata epatite colestasica fibrosante (CHC). Negli ultimi anni, l’utilizzo delle terapie antivirali senza interferone per il trattamento dell’epatite C ha segnato un traguardo importante dell’epatologia dei trapianti. Infatti l’efficacia e la sicurezza dei farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs) permette di trattare i pazienti con cirrosi HCV-correlata in lista d’attesa per trapianto e i pazienti trapiantati che hanno sviluppato una ricorrenza dell’infezione dopo trapianto. In questa tesi presentiamo due studi che includono pazienti affetti da epatite HCV nell’ambito del trapianto di fegato. Nel primo studio lo scopo è stato quello di determinare la persistenza del genoma virale (HCV-RNA) nel fegato espiantato di pazienti con cirrosi HCV-correlata, che avevano ricevuto un trattamento antivirale con DAAs, durante la lista d’attesa per trapianto di fegato. Abbiamo inoltre valutato il ruolo dell’immunità innata nella persistenza dell’HCV-RNA nel fegato espiantato dopo trattamento antivirale. Abbiamo dimostrato che, nonostante il trattamento, il genoma virale persisteva nel fegato espiantato della maggior parte dei pazienti. Tuttavia, la presenza di HCV-RNA non è risultata associata al fallimento del trattamento, ossia alla ricorrenza dell’infezione HCV dopo trapianto, tranne che nei pazienti in cui vi era una elevata quantità di genoma virale nel fegato espiantato. Interessante è stato vedere come in questi pazienti trattati con DAAs ci fosse una ridotta attivazione della via di segnalizzazione cellulare dell’interferone. Nel secondo studio sono stati indagati specifici meccanismi virologici coinvolti nella patogenesi dell’epatite colestasica C (CHC), la forma più severa di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto di fegato. L’evoluzione delle popolazioni virali che circolano normalmente in un unico individuo, chiamate quasispecie virali, e la presenza di specifiche mutazioni nella regione codificante per la polimerasi del virus (NS5B) sono state studiate utilizzando una tecnica molto sensibile e innovativa, quale il sequenziamento massivo di nuova generazione. Sono stati inclusi nello studio due gruppi di pazienti: pazienti che avevano sviluppato la CHC e pazienti che avevano presentato una forma lieve di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto, inclusi nel gruppo di controllo. Abbiamo visto che nei pazienti con CHC uno specifico ceppo virale dominava sugli altri, generando una quasispecie virale omogenea. In questi pazienti il virus aveva acquisito una maggiore “fitness”, confermato anche dal fatto che la sequenza maggioritaria presente prima del trapianto si manteneva anche dopo trapianto. Invece, nei pazienti con una ricorrenza lieve questo non avveniva, e la quasispecie virale appariva più disomogenea dopo trapianto. Nei pazienti con CHC, la presenza di specifiche mutazioni del gene NS5B potrebbero spiegare il comportamento del virus, che replicando ad alti livelli induce un danno cellulare severo. Abbiamo identificato alcune mutazioni della regione NS5B nei pazienti con CHC ma, probabilmente per il piccolo campione incluso nello studio, tali mutazioni non erano significativamente più presenti nei pazienti con CHC rispetto al gruppo di controllo. L’obiettivo successivo sarà quello di utilizzare queste mutazioni per creare un modello in vitro, che permetta di confermare il loro impatto sulla replicazione del virus e la patogenesi della CHC. In conclusione, in pazienti trattati con i nuovi potenti farmaci antivirali durante la lista d’attesa per trapianto, che presentano alti livelli di HCV-RNA nell’espianto e con una ridotta risposta immunitaria innata, dovrebbe essere adottata un’altra strategia terapeutica dopo trapianto. Nei pazienti che sviluppano una epatite colestatica HCV correlata dopo trapianto di fegato, lo studio e l’utilizzo di mutazioni presenti nel genoma virale possono essere utili allo scopo di definire i meccanismi alla base di questa severa forma di ricorrenza dell’epatite C dopo trapianto di fegato.File | Dimensione | Formato | |
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