The main theoretical framework of this research is the new sociology of childhood: it adopts, therefore, the analytical perspective which assumes that children are actors who are capable of acting coherently within their social worlds. Through an 8 months’ ethnography in the wards of the Paediatric Clinic of the Hospital of Padua, which was conducted in a dialogical style – proposing, thus, to consider the Other as a subject involved in an interaction, even in the process which leads to scientific knowledge, and not as an object from which the researcher can gain experience and gather information – I investigated the relationship hospitalized children establish with adults, within their peer group and the hospital environment, with reference to the illness and to the processes of treatment. The research explores several themes: the symbolic meanings given by the actors to the space and the places where the interactions come to life; the doctor-patient communication in the paediatric context, paying particular attention to the situations in which this communication takes on characteristics which conflict with the demands and the wishes of the children, who act by putting into action different tactics to collect information about themselves; the relation with the bodies, often considered by adults as objects of the medical practice, bodies which become instead the means children have to exercise their own autonomy and their self-recognition; the issue of competence and agency, developed from the idea that children always possess a situational and relational knowledge, which is specific for the social worlds where they act, but always according to different styles of intervening on the world, which adults sometimes notice with difficulty; the role of the game in the hospital environment, as a particular frame of the action and as a source of sense and meanings. The main conclusions show how children are always subjects, and are always able to act coherently within their social words, even in a context, such as the hospital one, which seems rigidly binding; how children constantly exercise autonomy and self-recognition, through different tactics, although the medical practice appears to limit their spaces of action, and independently of the manner adults relate to them. The research points out, moreover, how a lack of attention among the adults to the subjectivity of children, to the symbolical meanings in the interactions, can become a strong limit to the effectiveness of the therapeutic relations themselves, to the success of treatment processes which take into account the specificities of children, considered as people and not as objects of the medical practice.
La presente ricerca si colloca all’interno della cornice teorica della nuova sociologia dell’infanzia: adotta quindi una prospettiva analitica che parte dal presupposto che i bambini siano attori capaci di agire coerentemente all’interno dei propri mondi sociali. Attraverso un’etnografia durata 8 mesi all’interno dei reparti della Clinica Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera di Padova, condotta in stile dialogico – che si propone, quindi, di considerare l’Altro come soggetto in interazione, anche nel processo che porta alla conoscenza scientifica, e non un oggetto sul quale fare esperienza, da cui raccogliere informazioni – ho indagato la relazione che i bambini ricoverati sviluppano con gli adulti, all’interno del gruppo dei pari e con il contesto ospedaliero, in riferimento alla malattia e ai processi di cura. La ricerca approfondisce numerosi temi: i significati simbolici che gli attori attribuiscono agli spazi e ai luoghi in cui prendono vita le interazioni; la comunicazione medico-paziente in ambito pediatrico, con particolare attenzione alle situazioni in cui la comunicazione assume caratteristiche che discordano con le richieste e i desideri dei bambini, che agiscono mettendo in gioco differenti tattiche per la raccolta delle informazioni che riguardano loro stessi; il rapporto con i corpi, spesso intesi dagli adulti come oggetti della pratica medica, che diventano invece strumento attraverso cui i bambini praticano la propria autonomia e il riconoscimento di loro stessi; il tema della competenza e dell’agency, sviluppato a partire dall’idea che i bambini siano sempre portatori di saperi situazionali e relazionali specifici per i mondi sociali in cui agiscono, e che lo facciano secondo differenti stili di intervento sul mondo, dei quali a volte gli adulti faticano ad accorgersi; il gioco in ambito ospedaliero, come particolare cornice all’azione e matrice di senso e significati. Le principali conclusioni mostrano come i bambini siano sempre soggetti, e siano sempre capaci di agire coerentemente all’interno dei propri mondi sociali, anche in un contesto che appare rigidamente vincolante come quello ospedaliero; come i bambini pratichino costantemente autonomia e autoriconoscimento, attraverso molteplici tattiche, anche quando le pratiche mediche sembrano limitare i loro spazi di azione, e indipendentemente dal modo in cui gli adulti si relazionano con loro. La ricerca mostra, inoltre, come una scarsa attenzione da parte degli adulti verso la soggettività dei bambini, verso i significati simbolici che entrano in gioco nelle interazioni, possa diventare un forte limite per l’efficacia delle relazioni terapeutiche stesse, per la riuscita di processi di cura che tengano conto delle specificità dei bambini, intesi come persone e non come oggetti della pratica medica.
"Sarò anche malata, ma qui dentro ho un cuore!" Bambini in Pediatria: un'etnografia / Righetto, Elena. - (2016 Jan 28).
"Sarò anche malata, ma qui dentro ho un cuore!" Bambini in Pediatria: un'etnografia
Righetto, Elena
2016
Abstract
La presente ricerca si colloca all’interno della cornice teorica della nuova sociologia dell’infanzia: adotta quindi una prospettiva analitica che parte dal presupposto che i bambini siano attori capaci di agire coerentemente all’interno dei propri mondi sociali. Attraverso un’etnografia durata 8 mesi all’interno dei reparti della Clinica Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera di Padova, condotta in stile dialogico – che si propone, quindi, di considerare l’Altro come soggetto in interazione, anche nel processo che porta alla conoscenza scientifica, e non un oggetto sul quale fare esperienza, da cui raccogliere informazioni – ho indagato la relazione che i bambini ricoverati sviluppano con gli adulti, all’interno del gruppo dei pari e con il contesto ospedaliero, in riferimento alla malattia e ai processi di cura. La ricerca approfondisce numerosi temi: i significati simbolici che gli attori attribuiscono agli spazi e ai luoghi in cui prendono vita le interazioni; la comunicazione medico-paziente in ambito pediatrico, con particolare attenzione alle situazioni in cui la comunicazione assume caratteristiche che discordano con le richieste e i desideri dei bambini, che agiscono mettendo in gioco differenti tattiche per la raccolta delle informazioni che riguardano loro stessi; il rapporto con i corpi, spesso intesi dagli adulti come oggetti della pratica medica, che diventano invece strumento attraverso cui i bambini praticano la propria autonomia e il riconoscimento di loro stessi; il tema della competenza e dell’agency, sviluppato a partire dall’idea che i bambini siano sempre portatori di saperi situazionali e relazionali specifici per i mondi sociali in cui agiscono, e che lo facciano secondo differenti stili di intervento sul mondo, dei quali a volte gli adulti faticano ad accorgersi; il gioco in ambito ospedaliero, come particolare cornice all’azione e matrice di senso e significati. Le principali conclusioni mostrano come i bambini siano sempre soggetti, e siano sempre capaci di agire coerentemente all’interno dei propri mondi sociali, anche in un contesto che appare rigidamente vincolante come quello ospedaliero; come i bambini pratichino costantemente autonomia e autoriconoscimento, attraverso molteplici tattiche, anche quando le pratiche mediche sembrano limitare i loro spazi di azione, e indipendentemente dal modo in cui gli adulti si relazionano con loro. La ricerca mostra, inoltre, come una scarsa attenzione da parte degli adulti verso la soggettività dei bambini, verso i significati simbolici che entrano in gioco nelle interazioni, possa diventare un forte limite per l’efficacia delle relazioni terapeutiche stesse, per la riuscita di processi di cura che tengano conto delle specificità dei bambini, intesi come persone e non come oggetti della pratica medica.File | Dimensione | Formato | |
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