Starting from the written sources which talk about diptychs (a law of the Codex Theodosianus (384), some verses of Claudianu™s panegyric for Stilicho’s consulship in 400, some letters of Symmachus for the quaestorship and praetorship of his son Memmius (393 -€“ 401), and a letter of Libanius (391)), I have studied the dynamics of the context in which the diptychs must be put. After having read a book edited by Massimiliano David on 2007, and an article written by Lellia Cracco Ruggini on 2011, I have considered the two main catalogues of diptychs available today: the one by Delbrück of 1929 (translated and updated on 2009 by Marilena Abbatepaolo), and the Volbach one, in the third edition of 1976. They are still two main studies about the stilistic analysis of the diptychs, but they miss an adequate and updated effort of historical contextualisation. For this reason the conclusions of the two authors have been discussed, during the following decades, in many articles which have put the attention on specific cases. This scientific literature has followed two main currents: the cultural historic one (Alan Cameron), and the one which put the attention on the techniques and the visual language (Anthony Cutler). A first effort to join somehow those two currents, has been done, in 2005, by Cecilia Olovsdotter, with her publication on the iconography of the consul€s figure in the diptychs. These readings made me think about the traditional definition of "€œconsular diptychs"€: I have assumed that it was first necessary to understand which are the carachteristics of the late antique consular dignity, and for doing this it is necessary to understand the social and political dynamics. Because of the diptychs are a material source, epigraphic and iconographic too, I have decided to analyze and contextualize them by a confrontation with other contemporary sources, material and literary, to study their vocabulary and contents: it is a kind of work that, until now, have been always done not completely and just for some specific cases. In particular the confrontation with the epigraphs of the statue bases, the panegyrics, and Cassiodorus€™ and Ennodius€™ letters, which are literary sources, but read also from the point of view of their visual contents, represents an absolute originality, because the scientific literature about consular diptychs has chosen, until now, the confrontation with material sources. With this approach I have been able to put the practice of the production and transmission of the diptychs into the ceremonial rituals which used to define the social and political life of the late antique aristocracy: moments in which the private and public dimension of aristocrats activity used to overlap, and the loyalties used to be pragmatically redefined. For these reasons I think that the traditional definition of "œconsular diptychs"€ is acceptable, but, considering the context, and the meaning of the late antique consular dignity, the more recent idea, by Alan Cameron, of "€œpresentation diptychs"€ (2013), must be considered more accurate.

Partendo dalle fonti scritte che parlano di dittici (un passo del Codex Theodosianus del 384, alcuni versi del panegirico di Claudiano per il consolato di Stilicone del 400, alcune lettere di Quinto Aurelio Simmaco per la questura e la pretura del figlio Memmio (393 -€“ 401) e una lettera di Libanio del 391) ho studiato le dinamiche del contesto all'interno del quale si collocano i manufatti. Sulla base degli stimoli di un testo curato da Massimiliano David nel 2007 e un articolo di Lellia Cracco Ruggini del 2011, ho poi affrontato i due principali cataloghi di dittici attualmente disponibili, ossia quello di Delbrük del 1929 (tradotto e aggiornato, nel 2009, da Marilena Abbatepaolo) e quello di Volbach, nella sua terza edizione del 1976. Si tratta di due studi tutt'€™ora fondamentali per quanto riguarda l'€™analisi stilistica, ma che mancavano di un adeguato e aggiornato lavoro di contestualizzazione storica. Le conclusioni tratte dai due autori infatti, nel corso dei decenni successivi, sono state discusse in numerosi contributi che hanno posto l'€™attenzione su singoli casi; questa produzione scientifica si è mossa principalmente lungo due filoni: quello storico culturale (Alan Cameron) e quello che pone l'™attenzione sulle tecniche e il linguaggio visivo (Anthony Cutler). Un tentativo di unire in qualche modo questi due filoni è stato fatto, nel 2005, da Cecilia Olovsdotter, con la sua pubblicazione che studia l'iconografia della figura del console nei dittici. Queste letture mi hanno portato a riflettere sulla tradizionale definizione di "€œdittici consolari"€: ho ritenuto fosse necessario prima di tutto capire quali siano le caratteristiche della carica consolare tardo antica e per fare ciò è appunto necessario comprendere le dinamiche sociali e politiche in atto. Poiché i dittici sono una fonte materiale epigrafica e iconografica, ho voluto analizzarli e contestualizzarli attraverso un confronto con le fonti coeve, materiali e letterarie, al fine di studiarne il vocabolario e i contenuti: un lavoro che finora era stato svolto solo in parte e solamente per alcuni casi specifici. In particolare il confronto con le epigrafi delle basi di statua, i panegirici e le lettere di Cassiodoro ed Ennodio di Pavia, fonti cioè letterarie, ma lette anche dal punto di vista dei propri contenuti "œvisuali"€ rappresenta un punto di assoluta originalità, poiché la produzione scientifica sui dittici ha finora preferito il confronto con le fonti materiali. Attraverso questo approccio ho potuto inserire la pratica della produzione e della trasmissione dei dittici all'€™interno dei rituali cerimoniali in cui si articolava la vita sociale e politica dell'€™aristocrazia coeva: momenti in cui la dimensione privata e quella pubblica (l'€™assunzione delle dignità e degli uffici) dell'€™attività degli aristocratici si sovrapponevano e i rapporti di fedeltà venivano pragmaticamente ridiscussi. Ritengo pertanto che la tradizionale definizione di "€œdittici consolari" sia accettabile, ma, considerando il contesto e il significato della carica consolare tardoantica, la recente proposta di Alan Cameron di parlare di "€œpresentation diptychs"€ (2013) sia più adeguata.

"Ut exceptis consulibus ordinariis nulli prorsus alteri [...] diptycha ex ebore dandi facultas sit". I dittici eburnei tra crisi del consolato e trasformazione delle élite altomedievali (secoli IV - VI) / Pierobon, Paolo. - (2015 Sep 23).

"Ut exceptis consulibus ordinariis nulli prorsus alteri [...] diptycha ex ebore dandi facultas sit". I dittici eburnei tra crisi del consolato e trasformazione delle élite altomedievali (secoli IV -€“ VI).

Pierobon, Paolo
2015

Abstract

Partendo dalle fonti scritte che parlano di dittici (un passo del Codex Theodosianus del 384, alcuni versi del panegirico di Claudiano per il consolato di Stilicone del 400, alcune lettere di Quinto Aurelio Simmaco per la questura e la pretura del figlio Memmio (393 -€“ 401) e una lettera di Libanio del 391) ho studiato le dinamiche del contesto all'interno del quale si collocano i manufatti. Sulla base degli stimoli di un testo curato da Massimiliano David nel 2007 e un articolo di Lellia Cracco Ruggini del 2011, ho poi affrontato i due principali cataloghi di dittici attualmente disponibili, ossia quello di Delbrük del 1929 (tradotto e aggiornato, nel 2009, da Marilena Abbatepaolo) e quello di Volbach, nella sua terza edizione del 1976. Si tratta di due studi tutt'€™ora fondamentali per quanto riguarda l'€™analisi stilistica, ma che mancavano di un adeguato e aggiornato lavoro di contestualizzazione storica. Le conclusioni tratte dai due autori infatti, nel corso dei decenni successivi, sono state discusse in numerosi contributi che hanno posto l'€™attenzione su singoli casi; questa produzione scientifica si è mossa principalmente lungo due filoni: quello storico culturale (Alan Cameron) e quello che pone l'™attenzione sulle tecniche e il linguaggio visivo (Anthony Cutler). Un tentativo di unire in qualche modo questi due filoni è stato fatto, nel 2005, da Cecilia Olovsdotter, con la sua pubblicazione che studia l'iconografia della figura del console nei dittici. Queste letture mi hanno portato a riflettere sulla tradizionale definizione di "€œdittici consolari"€: ho ritenuto fosse necessario prima di tutto capire quali siano le caratteristiche della carica consolare tardo antica e per fare ciò è appunto necessario comprendere le dinamiche sociali e politiche in atto. Poiché i dittici sono una fonte materiale epigrafica e iconografica, ho voluto analizzarli e contestualizzarli attraverso un confronto con le fonti coeve, materiali e letterarie, al fine di studiarne il vocabolario e i contenuti: un lavoro che finora era stato svolto solo in parte e solamente per alcuni casi specifici. In particolare il confronto con le epigrafi delle basi di statua, i panegirici e le lettere di Cassiodoro ed Ennodio di Pavia, fonti cioè letterarie, ma lette anche dal punto di vista dei propri contenuti "œvisuali"€ rappresenta un punto di assoluta originalità, poiché la produzione scientifica sui dittici ha finora preferito il confronto con le fonti materiali. Attraverso questo approccio ho potuto inserire la pratica della produzione e della trasmissione dei dittici all'€™interno dei rituali cerimoniali in cui si articolava la vita sociale e politica dell'€™aristocrazia coeva: momenti in cui la dimensione privata e quella pubblica (l'€™assunzione delle dignità e degli uffici) dell'€™attività degli aristocratici si sovrapponevano e i rapporti di fedeltà venivano pragmaticamente ridiscussi. Ritengo pertanto che la tradizionale definizione di "€œdittici consolari" sia accettabile, ma, considerando il contesto e il significato della carica consolare tardoantica, la recente proposta di Alan Cameron di parlare di "€œpresentation diptychs"€ (2013) sia più adeguata.
23-set-2015
Starting from the written sources which talk about diptychs (a law of the Codex Theodosianus (384), some verses of Claudianu™s panegyric for Stilicho’s consulship in 400, some letters of Symmachus for the quaestorship and praetorship of his son Memmius (393 -€“ 401), and a letter of Libanius (391)), I have studied the dynamics of the context in which the diptychs must be put. After having read a book edited by Massimiliano David on 2007, and an article written by Lellia Cracco Ruggini on 2011, I have considered the two main catalogues of diptychs available today: the one by Delbrück of 1929 (translated and updated on 2009 by Marilena Abbatepaolo), and the Volbach one, in the third edition of 1976. They are still two main studies about the stilistic analysis of the diptychs, but they miss an adequate and updated effort of historical contextualisation. For this reason the conclusions of the two authors have been discussed, during the following decades, in many articles which have put the attention on specific cases. This scientific literature has followed two main currents: the cultural historic one (Alan Cameron), and the one which put the attention on the techniques and the visual language (Anthony Cutler). A first effort to join somehow those two currents, has been done, in 2005, by Cecilia Olovsdotter, with her publication on the iconography of the consul€s figure in the diptychs. These readings made me think about the traditional definition of "€œconsular diptychs"€: I have assumed that it was first necessary to understand which are the carachteristics of the late antique consular dignity, and for doing this it is necessary to understand the social and political dynamics. Because of the diptychs are a material source, epigraphic and iconographic too, I have decided to analyze and contextualize them by a confrontation with other contemporary sources, material and literary, to study their vocabulary and contents: it is a kind of work that, until now, have been always done not completely and just for some specific cases. In particular the confrontation with the epigraphs of the statue bases, the panegyrics, and Cassiodorus€™ and Ennodius€™ letters, which are literary sources, but read also from the point of view of their visual contents, represents an absolute originality, because the scientific literature about consular diptychs has chosen, until now, the confrontation with material sources. With this approach I have been able to put the practice of the production and transmission of the diptychs into the ceremonial rituals which used to define the social and political life of the late antique aristocracy: moments in which the private and public dimension of aristocrats activity used to overlap, and the loyalties used to be pragmatically redefined. For these reasons I think that the traditional definition of "œconsular diptychs"€ is acceptable, but, considering the context, and the meaning of the late antique consular dignity, the more recent idea, by Alan Cameron, of "€œpresentation diptychs"€ (2013), must be considered more accurate.
consular diptychs, ivory diptychs, consulship, dittici consolari, consolato tardo antico
"Ut exceptis consulibus ordinariis nulli prorsus alteri [...] diptycha ex ebore dandi facultas sit". I dittici eburnei tra crisi del consolato e trasformazione delle élite altomedievali (secoli IV - VI) / Pierobon, Paolo. - (2015 Sep 23).
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