In origine il lavoro in carcere per il detenuto aveva un ruolo punitivo e disciplinare. Oggi vi è un crescente riconoscimento scientifico che il lavoro sia un importante strumento di inclusione del singolo nella società, capace di incidere positivamente sul fenomeno della recidiva, contribuendo nel contempo allo sviluppo di abilità personali e sociali. Attraverso il lavoro, il detenuto non impara solo una professione ma sperimenta di essere nel campo relazionale e simbolico della collettività. L’occupazione è in grado anche di agire sulle determinanti negative che abbassano il benessere soggettivo e la vulnerabilità. Sappiamo infatti che nell’incarcerazione i tipici “dolori del carcere” si associano negativamente con la recisione dei legami interpersonali (famigliari, amicali, lavorativi), provocando alienazione e inabilità sociale. Il contributo intende analizzare il ruolo del lavoro per i detenuti quale fattore di inclusione sociale sulla base della distinzione tra “lavoro indecente”, (l’occupazione in lavoretti incentrati sull’intrattenimento della persona) e “lavoro decente” (l’occupazione in lavori incentrati sulla crescita della persona e l’inserimento nella vita collettiva). Qui il concetto di “decenza” è inteso come conformità a criteri di dignità propri dell’essere-con-altri. Tale tema sarà sviluppato attraverso la presentazione di un case-study, ossia l’esperienza della Cooperativa Giotto all’interno del Carcere Due Palazzi di Padova.
Cosa significa lavorare in carcere? Il lavoro dei detenuti tra legame sociale e crescita personale: caso di studio de “La Cooperativa Giotto” di Padova
Zamperini Adriano;Menegatto Marialuisa
2017
Abstract
In origine il lavoro in carcere per il detenuto aveva un ruolo punitivo e disciplinare. Oggi vi è un crescente riconoscimento scientifico che il lavoro sia un importante strumento di inclusione del singolo nella società, capace di incidere positivamente sul fenomeno della recidiva, contribuendo nel contempo allo sviluppo di abilità personali e sociali. Attraverso il lavoro, il detenuto non impara solo una professione ma sperimenta di essere nel campo relazionale e simbolico della collettività. L’occupazione è in grado anche di agire sulle determinanti negative che abbassano il benessere soggettivo e la vulnerabilità. Sappiamo infatti che nell’incarcerazione i tipici “dolori del carcere” si associano negativamente con la recisione dei legami interpersonali (famigliari, amicali, lavorativi), provocando alienazione e inabilità sociale. Il contributo intende analizzare il ruolo del lavoro per i detenuti quale fattore di inclusione sociale sulla base della distinzione tra “lavoro indecente”, (l’occupazione in lavoretti incentrati sull’intrattenimento della persona) e “lavoro decente” (l’occupazione in lavori incentrati sulla crescita della persona e l’inserimento nella vita collettiva). Qui il concetto di “decenza” è inteso come conformità a criteri di dignità propri dell’essere-con-altri. Tale tema sarà sviluppato attraverso la presentazione di un case-study, ossia l’esperienza della Cooperativa Giotto all’interno del Carcere Due Palazzi di Padova.Pubblicazioni consigliate
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