Scopo del presente lavoro di ricerca è fondare la filiazione tra Wesen hegeliano e ti en einai aristotelico da un punto di vista non meramente lessicale, tentando principalmente la lettura di alcuni momenti chiave della Scienza della logica al filtro delle Lezioni sulla storia della filosofia dedicate ad Aristotele. Entrambi i significanti, tanto il Wesen quanto il ti en einai, mettono infatti in gioco un senso di passato, ma passato fuori dal tempo, che è esso stesso teoretico e speculativo. La distinzione della logica oggettiva in logica dell’essere e logica dell’essenza è un calco aristotelico. La vera scienza, la scienza cioè che va in profondità, cerca oltre l’essere (to on) e, trovatane l’essenza (ti en einai) ne fa il suo oggetto. Il cammino che conduce dall’essere all’essenza, o meglio che dall’essere svela l’essenza nella Scienza della logica pensa al massimo grado questa verità. Crediamo che la dimostrazione di una simile filiazione tra i due termini abbia un duplice merito: anzitutto, quello di chiarificare alcuni momenti estremamente importanti della Dottrina dell’essenza disambiguando, nel farlo, alcune espressioni o termini di cui lo Stagirita ha fatto largo uso cadendo spesso nella sinonimia (tra tutti essenza, atto, fine e forma); dall’altro, quello di leggere in modo corretto l’imperfetto en della formula aristotelica – un imperfetto che non può non essere metafisico e riguardare, cioè, ciò che è necessario, immutabile, fuori dal tempo proprio in quanto ciò che più di tutto occorre al tempo, e che perciò stesso lo legittima. Il lavoro si articola in quattro capitoli, che corrispondono a quattro ben distinti momenti di indagine: Il primo capitolo, dopo alcune considerazioni di carattere metodologico, offre una prima generale interpretazione dell’essenza come dynamis, imperniando il parallelo sui concetti aristotelici di essenza, atto e fine. L’analisi è condotta principalmente sul testo della Metafisica. Si approccia una germinale connessione tra Wesen, An-sich, ousia, dynamis. Il secondo capitolo ripensa il sich erinnert dell’essere nell’essenza, vale a dire il passaggio a un diverso livello di argomentazione logica, a partire dal suo legame da un lato con l’anamnesis platonica, dall’altro col ti en einai aristotelico. Sia l’anà che l’en alludono infatti ad un passato che non è veramente tale, che non ha valenza temporale ma chiaramente logico-metafisica. E il procedimento logico, fatto non di continuità ma piuttosto di rotture e di sempre nuove retrocessioni, sembrerebbe richiamare proprio una certa frase di Socrate a Menone: “[m]a ricavar da sé, in sé, la propria scienza, non è appunto ricordare?” (Menone, 85e-86a). Il terzo capitolo, in diretta connessione con il precedente, problematizza il ruolo della Reflexion come processualità immanente dell’essenza, ripensando il complesso equilibrio di essere ed essenza come, rispettivamente, proteron pros hemas e proteron te physei, a sua volta corrispondenti alle espressioni aristoteliche ti esti e ti en einai. Il quarto capitolo, che riprende in modo incrociato le tematiche dei capitoli precedenti, affronta il problema della Wirklichkeit a chiusura della Dottrina dell’essenza, interpretandola nel suo duplice senso di energeia e entelecheia. Malgrado Hegel, nelle Lezioni sulla storia della filosofia, consideri apparentemente l’entelecheia come “la specificazione più propria” dell’energeia, ne emergono due sensi distinti e non propriamente sovrapponibili. La Wirklichkeit si determina quindi tanto come effettualità, quanto come finale determinazione del fine. Se, da un lato, Hegel porta qui a compimento una grandiosa trattazione di ontologia, dall’altro apre le porte all’interpretazione di un reale solo possibile, da sottoporre ancora al vaglio del Soggetto e dell’Idea.
L'essenza e la forma. Aristotele nella Wesenslogik di Hegel
Alessia Giacone
2017
Abstract
Scopo del presente lavoro di ricerca è fondare la filiazione tra Wesen hegeliano e ti en einai aristotelico da un punto di vista non meramente lessicale, tentando principalmente la lettura di alcuni momenti chiave della Scienza della logica al filtro delle Lezioni sulla storia della filosofia dedicate ad Aristotele. Entrambi i significanti, tanto il Wesen quanto il ti en einai, mettono infatti in gioco un senso di passato, ma passato fuori dal tempo, che è esso stesso teoretico e speculativo. La distinzione della logica oggettiva in logica dell’essere e logica dell’essenza è un calco aristotelico. La vera scienza, la scienza cioè che va in profondità, cerca oltre l’essere (to on) e, trovatane l’essenza (ti en einai) ne fa il suo oggetto. Il cammino che conduce dall’essere all’essenza, o meglio che dall’essere svela l’essenza nella Scienza della logica pensa al massimo grado questa verità. Crediamo che la dimostrazione di una simile filiazione tra i due termini abbia un duplice merito: anzitutto, quello di chiarificare alcuni momenti estremamente importanti della Dottrina dell’essenza disambiguando, nel farlo, alcune espressioni o termini di cui lo Stagirita ha fatto largo uso cadendo spesso nella sinonimia (tra tutti essenza, atto, fine e forma); dall’altro, quello di leggere in modo corretto l’imperfetto en della formula aristotelica – un imperfetto che non può non essere metafisico e riguardare, cioè, ciò che è necessario, immutabile, fuori dal tempo proprio in quanto ciò che più di tutto occorre al tempo, e che perciò stesso lo legittima. Il lavoro si articola in quattro capitoli, che corrispondono a quattro ben distinti momenti di indagine: Il primo capitolo, dopo alcune considerazioni di carattere metodologico, offre una prima generale interpretazione dell’essenza come dynamis, imperniando il parallelo sui concetti aristotelici di essenza, atto e fine. L’analisi è condotta principalmente sul testo della Metafisica. Si approccia una germinale connessione tra Wesen, An-sich, ousia, dynamis. Il secondo capitolo ripensa il sich erinnert dell’essere nell’essenza, vale a dire il passaggio a un diverso livello di argomentazione logica, a partire dal suo legame da un lato con l’anamnesis platonica, dall’altro col ti en einai aristotelico. Sia l’anà che l’en alludono infatti ad un passato che non è veramente tale, che non ha valenza temporale ma chiaramente logico-metafisica. E il procedimento logico, fatto non di continuità ma piuttosto di rotture e di sempre nuove retrocessioni, sembrerebbe richiamare proprio una certa frase di Socrate a Menone: “[m]a ricavar da sé, in sé, la propria scienza, non è appunto ricordare?” (Menone, 85e-86a). Il terzo capitolo, in diretta connessione con il precedente, problematizza il ruolo della Reflexion come processualità immanente dell’essenza, ripensando il complesso equilibrio di essere ed essenza come, rispettivamente, proteron pros hemas e proteron te physei, a sua volta corrispondenti alle espressioni aristoteliche ti esti e ti en einai. Il quarto capitolo, che riprende in modo incrociato le tematiche dei capitoli precedenti, affronta il problema della Wirklichkeit a chiusura della Dottrina dell’essenza, interpretandola nel suo duplice senso di energeia e entelecheia. Malgrado Hegel, nelle Lezioni sulla storia della filosofia, consideri apparentemente l’entelecheia come “la specificazione più propria” dell’energeia, ne emergono due sensi distinti e non propriamente sovrapponibili. La Wirklichkeit si determina quindi tanto come effettualità, quanto come finale determinazione del fine. Se, da un lato, Hegel porta qui a compimento una grandiosa trattazione di ontologia, dall’altro apre le porte all’interpretazione di un reale solo possibile, da sottoporre ancora al vaglio del Soggetto e dell’Idea.Pubblicazioni consigliate
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