Considerare la pubblicità dello spazio come un processo sociale, in continua negoziazione, mai intera-mente “aperto” (Staeheli et al ., 2009), permette di ricostruire una territoriologia (Brighenti, 2010), individuandone attori, azioni, estetiche e discorsi che contendono gli usi, tra strategie scalari di gestione e controllo e pratiche di riappropriazione. Al-cune attività, inserendosi nei contesti urbani già densi, senza avere spazi e temporalità specificatamente dedicate ad esse, diven-tano casi studio interessanti per individuare modalità di travalicamento di soglie sociali, confini spaziali e partizioni temporali dell’organizzazione urbana. Tra questi, il parkour, oltre a interrogare, come già un’ampia letteratura dimostra (ad esempio At-kinson, 2009), la pubblicità dello spazio in termini di accessibilità, permette di rileggere il tema del pubblico da un altro punto di vista, a partire dal carattere pubblico delle conoscenze situate che le pratiche generano. In questo contributo, risultato preli-minare di una più ampia ricerca etnografica in corso, si cercherà, in particolare, di evidenziare come la città diventi, nel par-kour, uno spazio “segretamente pubblico”: usando questa definizione, paradossale nella lettura habermasiana e liberale, mo-strerà come specifiche forme di sapere, create da un gruppo di utilizzatori dello spazio attraverso una specifica pratica corpo-rea, diventino elementi che territorializzano il sito da esso attraversata (Simpson, 2011). I modi in cui i praticanti di parkour comunicano e agiscono la città, individuando, tracciando e nominando i percorsi e gli spot, costituiscono una soglia sociale che, al tempo stesso, rende visibile il sito della pratica a chi può accederci, lasciandolo invisibile e segreto a chi ne è esterno.
Spazi segretamente pubblici: il parkour e le soglie nella città
fabio bertoni
2017
Abstract
Considerare la pubblicità dello spazio come un processo sociale, in continua negoziazione, mai intera-mente “aperto” (Staeheli et al ., 2009), permette di ricostruire una territoriologia (Brighenti, 2010), individuandone attori, azioni, estetiche e discorsi che contendono gli usi, tra strategie scalari di gestione e controllo e pratiche di riappropriazione. Al-cune attività, inserendosi nei contesti urbani già densi, senza avere spazi e temporalità specificatamente dedicate ad esse, diven-tano casi studio interessanti per individuare modalità di travalicamento di soglie sociali, confini spaziali e partizioni temporali dell’organizzazione urbana. Tra questi, il parkour, oltre a interrogare, come già un’ampia letteratura dimostra (ad esempio At-kinson, 2009), la pubblicità dello spazio in termini di accessibilità, permette di rileggere il tema del pubblico da un altro punto di vista, a partire dal carattere pubblico delle conoscenze situate che le pratiche generano. In questo contributo, risultato preli-minare di una più ampia ricerca etnografica in corso, si cercherà, in particolare, di evidenziare come la città diventi, nel par-kour, uno spazio “segretamente pubblico”: usando questa definizione, paradossale nella lettura habermasiana e liberale, mo-strerà come specifiche forme di sapere, create da un gruppo di utilizzatori dello spazio attraverso una specifica pratica corpo-rea, diventino elementi che territorializzano il sito da esso attraversata (Simpson, 2011). I modi in cui i praticanti di parkour comunicano e agiscono la città, individuando, tracciando e nominando i percorsi e gli spot, costituiscono una soglia sociale che, al tempo stesso, rende visibile il sito della pratica a chi può accederci, lasciandolo invisibile e segreto a chi ne è esterno.File | Dimensione | Formato | |
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