Parlare di professione dell’artista pare già un ossimoro: il concetto di professione, inteso in direzione strumentale o anche solo funzionalistica (Parsons 1968) o manageriale (Wright Mills 1951) è all’esatto opposto della libertà che all’arte e all’artista si sono riconosciute dall’antica Grecia in poi. Piuttosto che l’utile, infatti, l’arte ha perseguito l’ideale del bello e l’espressione libera dei sentimenti. Se l'arte è fine a se stessa, la libertà dell'artista, pur non vigilata, non è tuttavia scevra da responsabilità quando non morali, certamente etiche: l'artista è anche prodotto della società in cui opera, e che lo condiziona (Becker 1982) e contribuisce alla sua formazione. Il debito dell'artista nei confronti della società è dunque incontrovertibile, quanto quello della società verso l'artista. Entrambi concorrono alla formazione del gusto artistico (Bourdieu 1979) e della sensibilità di un'epoca e di un ambiente culturale. Vi è però un’altra via, attraverso la quale l’arte, rintuzzando in direzione sociale la propria libertà, guadagna in dimensione etica quanto perde in senso estetico: questa via privilegiata è segnata dall’architettura, in cui etica ed estetica possono coniugarsi in favore di un’agency responsabile e di un immaginario proiettato verso la sostenibilità. Si potrà allora fare riferimento ad un’architettura etica quando essa si accompagni non solo ad uno sterile esercizio estetico e stilistico, ma quando assuma in pieno il peso di una responsabilità civile e ambientale.
Etica ed estetica nello spazio urbano. La professione dell’architetto e dell’artista
VERDI, LAURA
2015
Abstract
Parlare di professione dell’artista pare già un ossimoro: il concetto di professione, inteso in direzione strumentale o anche solo funzionalistica (Parsons 1968) o manageriale (Wright Mills 1951) è all’esatto opposto della libertà che all’arte e all’artista si sono riconosciute dall’antica Grecia in poi. Piuttosto che l’utile, infatti, l’arte ha perseguito l’ideale del bello e l’espressione libera dei sentimenti. Se l'arte è fine a se stessa, la libertà dell'artista, pur non vigilata, non è tuttavia scevra da responsabilità quando non morali, certamente etiche: l'artista è anche prodotto della società in cui opera, e che lo condiziona (Becker 1982) e contribuisce alla sua formazione. Il debito dell'artista nei confronti della società è dunque incontrovertibile, quanto quello della società verso l'artista. Entrambi concorrono alla formazione del gusto artistico (Bourdieu 1979) e della sensibilità di un'epoca e di un ambiente culturale. Vi è però un’altra via, attraverso la quale l’arte, rintuzzando in direzione sociale la propria libertà, guadagna in dimensione etica quanto perde in senso estetico: questa via privilegiata è segnata dall’architettura, in cui etica ed estetica possono coniugarsi in favore di un’agency responsabile e di un immaginario proiettato verso la sostenibilità. Si potrà allora fare riferimento ad un’architettura etica quando essa si accompagni non solo ad uno sterile esercizio estetico e stilistico, ma quando assuma in pieno il peso di una responsabilità civile e ambientale.Pubblicazioni consigliate
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