Partendo dalla lettura dei due volumi dell’impresa RICABIM dedicati rispettivamente alla Lombardia e alle regioni occidentali dell’Italia settentrionale, dunque Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, si affrontare una questione nodale per chi studia la storia delle biblioteche medievali e, più in generale, la storia della cultura scritta medievale, quale quella rappresentata dalla fisionomia dei testi (inventari e cataloghi) che rappresentano l’accesso alle raccolte librarie, descrivendone fisionomia, contenuti e consistenza. Inventari e cataloghi di una biblioteca medievale, meglio di una raccolta libraria medievale, non sempre strutturata nelle forme e conservata nei luoghi che immaginiamo esserle proprie, assolvono a due funzioni molto diverse fra di loro. Sono infatti uno strumento contabile e nel contempo un medium culturale, rispondono non solo, o forse non prioritariamente, all’esigenza di consentire, facilitandolo, l’accesso ai contenuti di una raccolta di libri, ma anche, in particolare in epoche alte, alla necessità di definire e controllare la consistenza di un insieme di beni preziosi come sono i manoscritti, oggetti di valore, veri e propri tesori materiali, oltre che tramite del sapere Dunque le scelte che sottendono alla selezione dei materiali da cercare, trovare, descrivere – scelte che limitano solo parzialmente l’illimitata mole delle fonti potenzialmente utili – pongono due problemi di fondo, meglio ancora sottolineano due rischi di fondo su cui interrogarsi. Il primo riguarda il senso da dare, semanticamente e concretamente, ai termini inventario e catalogo, usati evidentemente quasi come fossero un’endiadi, due declinazioni diverse di una stesso testo, distinte solo dal livello di approfondimento delle informazioni, ma in realtà di volta in volta ristrette o dilatate al punto di considerare tali qualunque elenco di libri, in qualunque forma esso si presenti, col rischio di assimilare informazioni elaborate in origine in modi diversi e con scopi diversi. Ma la seconda questione è ancora più interessante e urgente. L’allargamento, anzi, lo sconfinamento verso fonti che sono automaticamente sovrapposte e che vengono assimilate le une alle altre, ma che certo non sono uguali (si pensi ad esempio ai testamenti) determina la circostanza per cui il materiale da indagare si può dilatare all’infinito e nel contempo rende sempre più indefinito e incontrollabile il corpus da raccogliere e dunque il materiale potenzialmente utile da esaminare
A proposito dei cataloghi di cataloghi
GIOVE', NICOLETTA
2013
Abstract
Partendo dalla lettura dei due volumi dell’impresa RICABIM dedicati rispettivamente alla Lombardia e alle regioni occidentali dell’Italia settentrionale, dunque Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, si affrontare una questione nodale per chi studia la storia delle biblioteche medievali e, più in generale, la storia della cultura scritta medievale, quale quella rappresentata dalla fisionomia dei testi (inventari e cataloghi) che rappresentano l’accesso alle raccolte librarie, descrivendone fisionomia, contenuti e consistenza. Inventari e cataloghi di una biblioteca medievale, meglio di una raccolta libraria medievale, non sempre strutturata nelle forme e conservata nei luoghi che immaginiamo esserle proprie, assolvono a due funzioni molto diverse fra di loro. Sono infatti uno strumento contabile e nel contempo un medium culturale, rispondono non solo, o forse non prioritariamente, all’esigenza di consentire, facilitandolo, l’accesso ai contenuti di una raccolta di libri, ma anche, in particolare in epoche alte, alla necessità di definire e controllare la consistenza di un insieme di beni preziosi come sono i manoscritti, oggetti di valore, veri e propri tesori materiali, oltre che tramite del sapere Dunque le scelte che sottendono alla selezione dei materiali da cercare, trovare, descrivere – scelte che limitano solo parzialmente l’illimitata mole delle fonti potenzialmente utili – pongono due problemi di fondo, meglio ancora sottolineano due rischi di fondo su cui interrogarsi. Il primo riguarda il senso da dare, semanticamente e concretamente, ai termini inventario e catalogo, usati evidentemente quasi come fossero un’endiadi, due declinazioni diverse di una stesso testo, distinte solo dal livello di approfondimento delle informazioni, ma in realtà di volta in volta ristrette o dilatate al punto di considerare tali qualunque elenco di libri, in qualunque forma esso si presenti, col rischio di assimilare informazioni elaborate in origine in modi diversi e con scopi diversi. Ma la seconda questione è ancora più interessante e urgente. L’allargamento, anzi, lo sconfinamento verso fonti che sono automaticamente sovrapposte e che vengono assimilate le une alle altre, ma che certo non sono uguali (si pensi ad esempio ai testamenti) determina la circostanza per cui il materiale da indagare si può dilatare all’infinito e nel contempo rende sempre più indefinito e incontrollabile il corpus da raccogliere e dunque il materiale potenzialmente utile da esaminarePubblicazioni consigliate
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