Nel mondo antico la montagna assume spesso la valenza di luogo metaforico. L’Olimpo è la sede degli dei; esso rappresenta il “lassù” dove risiede la perfezione naturale ed etica, a cui si può giungere tramite le più alte virtù. In età classica, all’interno dell’orizzonte rassicurante della polis, non si avverte il bisogno di “salire sulla montagna”. Dopo che la conquista di Alessandro Magno determina la fine della libertà delle poleis, l’uomo greco - non più confortato dal riconoscersi come polites - si sente precipitato entro i confini di un orizzonte senza speranza. E per essere felici in un mondo in cui le certezze tradizionali sono venute meno bisogna guadagnare quella condizione di impassibilità su cui si fonda la perennità della beatitudine propria del dio. L’ideale etico delle scuole ellenistiche consiste allora nel fare come se il corpo non ci fosse, visto che non se ne può superare il limite; si tratta di restare nell’orizzonte della pianura comportandosi come se si fosse sul monte, di superare i pathe salendo su di una montagna che è tutta interiore. In età imperiale la prospettiva ellenistica di un superamento della drammaticità della condizione umana attraverso la sua assimilazione alla condizione divina viene rielaborata e riproposta in termini di apertura al sovrasensibile trascendente mediante la rilettura della filosofia di Platone; il percorso etico si configura come movimento di salita dal “qui” sensibile della pianura fino al “lassù” intelligibile della cima della montagna. In questo quadro culturale il messaggio neotestamentario scandalosamente ribalta la prospettiva e presenta l’assimilazione di Dio all’uomo, il farsi uomo di Dio. Il discorso programmatico delle “beatitudini” è insieme “discorso della montagna” e “discorso della pianura”; nella prospettiva evangelica la montagna non è la meta della fuga da “quaggiù”, ma il luogo in cui si prende coscienza del suo senso per tornare a vivere in esso una “vita buona”. La lettura in chiave platonica del messaggio cristiano, praticata dalla scuola alessandrina, trasforma però la salvezza neotestamentaria in un percorso etico di assimilazione dell’uomo a Dio, tradendo la scandalosa forza di un annuncio di riscatto della condizione umana fondato sul farsi carne del Logos. Per Filone di Alessandria, che rappresenta l’immediato precedente di questa inversione di prospettiva, il cammino etico verso la salvezza consiste in un’ascesa per la quale la cima della montagna non rappresenta l’ultimo approdo, così come la filosofia non costituisce il vertice del sapere; la faticosa salita sulla montagna è solo il momento preparatorio a un compimento etico che va oltre la cima stessa, approdando a un’esperienza di Dio che è oltre il nous. Prendendo in considerazione alcune espressioni del pensiero patristico, il saggio fa emergere la necessità di recuperare il senso evangelico di un “salire sul monte” che non sia una fuga da “quaggiù” e dal corpo che qui ci costituisce, ma piuttosto un itinerario che ci faccia consapevoli del senso di questa corporeità come cifra ineludibile dell’uomo da salvare.
«Passeremo oltre lungo la montagna». Ascesi e corporeità nel pensiero tardo-antico
CREPALDI, MARIA GRAZIA
2013
Abstract
Nel mondo antico la montagna assume spesso la valenza di luogo metaforico. L’Olimpo è la sede degli dei; esso rappresenta il “lassù” dove risiede la perfezione naturale ed etica, a cui si può giungere tramite le più alte virtù. In età classica, all’interno dell’orizzonte rassicurante della polis, non si avverte il bisogno di “salire sulla montagna”. Dopo che la conquista di Alessandro Magno determina la fine della libertà delle poleis, l’uomo greco - non più confortato dal riconoscersi come polites - si sente precipitato entro i confini di un orizzonte senza speranza. E per essere felici in un mondo in cui le certezze tradizionali sono venute meno bisogna guadagnare quella condizione di impassibilità su cui si fonda la perennità della beatitudine propria del dio. L’ideale etico delle scuole ellenistiche consiste allora nel fare come se il corpo non ci fosse, visto che non se ne può superare il limite; si tratta di restare nell’orizzonte della pianura comportandosi come se si fosse sul monte, di superare i pathe salendo su di una montagna che è tutta interiore. In età imperiale la prospettiva ellenistica di un superamento della drammaticità della condizione umana attraverso la sua assimilazione alla condizione divina viene rielaborata e riproposta in termini di apertura al sovrasensibile trascendente mediante la rilettura della filosofia di Platone; il percorso etico si configura come movimento di salita dal “qui” sensibile della pianura fino al “lassù” intelligibile della cima della montagna. In questo quadro culturale il messaggio neotestamentario scandalosamente ribalta la prospettiva e presenta l’assimilazione di Dio all’uomo, il farsi uomo di Dio. Il discorso programmatico delle “beatitudini” è insieme “discorso della montagna” e “discorso della pianura”; nella prospettiva evangelica la montagna non è la meta della fuga da “quaggiù”, ma il luogo in cui si prende coscienza del suo senso per tornare a vivere in esso una “vita buona”. La lettura in chiave platonica del messaggio cristiano, praticata dalla scuola alessandrina, trasforma però la salvezza neotestamentaria in un percorso etico di assimilazione dell’uomo a Dio, tradendo la scandalosa forza di un annuncio di riscatto della condizione umana fondato sul farsi carne del Logos. Per Filone di Alessandria, che rappresenta l’immediato precedente di questa inversione di prospettiva, il cammino etico verso la salvezza consiste in un’ascesa per la quale la cima della montagna non rappresenta l’ultimo approdo, così come la filosofia non costituisce il vertice del sapere; la faticosa salita sulla montagna è solo il momento preparatorio a un compimento etico che va oltre la cima stessa, approdando a un’esperienza di Dio che è oltre il nous. Prendendo in considerazione alcune espressioni del pensiero patristico, il saggio fa emergere la necessità di recuperare il senso evangelico di un “salire sul monte” che non sia una fuga da “quaggiù” e dal corpo che qui ci costituisce, ma piuttosto un itinerario che ci faccia consapevoli del senso di questa corporeità come cifra ineludibile dell’uomo da salvare.Pubblicazioni consigliate
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