Saper interagire con gli altri è uno dei presupposti delle nostre abilità sociali. Non ci sarebbe apprendimento né un adeguato adattamento all’ambiente in cui viviamo senza interazioni e scambi reciproci di informazioni. Secondo un’analogia diffusa tra cervello biologico e artificiale, esisterebbe una sorta di wiring – un circuito – alla base della propensione umana per le interazioni sociali. Nasciamo già corredati di un meccanismo che ci predispone a tale tipo di interazioni. Fin dai primi giorni di vita, infatti, i neonati si sforzano di imitare alcune espressioni facciali di chi si prende cura di loro (Meltzoff et al., 1983; 1989). Ma tale propensione è già presente prima della nascita o si acquisisce con le prime esperienze post parto? Questa stimolante domanda ci ha indotti a condurre uno studio evolutivo sui feti gemelli, che condividono per mesi l’utero materno (Castiello et al., 2010). Un’opportunità unica e preziosa, questa, per studiare la genesi e l’evolversi di un possibile meccanismo pro-sociale. Se l’evoluzione di un tale meccanismo precede la nascita, allora dovremmo trovarne traccia nei feti gemelli, laddove esistono i presupposti per un’azione sociale, ovvero rivolta verso un altro individuo. Alcuni studi sui feti singoli hanno messo in luce l’esistenza di prime forme di pianificazione del movimento a 22 settimane di gestazione (Zoia et al., 2007). Ad oggi, però, nessuno studio aveva indagato l’esistenza di movimenti pianificati ed eseguiti nell’utero materno con il preciso scopo di raggiungere e toccare il proprio gemello. E il termine “pianificati” non è casuale. Sta ad indicare la peculiarità di tali gesti, che si differenziano dai meri riflessi e si avvicinano invece al concetto di “azioni”. Mentre i riflessi sono comunemente noti per essere del tutto automatici, fissi e fuori dal nostro controllo volontario, le azioni sono intese come movimenti coordinati e diretti a uno scopo, con vari gradi di intenzionalità. Come è emerso recentemente in studi su soggetti adulti, le azioni svolte in isolamento si differenziano dalle stesse azioni svolte con intento sociale (Becchio et al., 2010). I risultati, infatti, evidenziano come sia possibile distinguere, dal punto di vista dell’organizzazione del movimento, azioni individuali fini a se stesse, dalle stesse azioni eseguite in ambito sociale, e come la pianificazione delle azioni sia influenzata dal contesto sociale (si veda, a tal proposito, quanto descritto nel Box riportato a pagina seguente “Il lato sociale delle azioni”).

Incontri prenatali. I feti gemelli e la genesi dell'interazione sociale

SARTORI, LUISA;CASTIELLO, UMBERTO
2011

Abstract

Saper interagire con gli altri è uno dei presupposti delle nostre abilità sociali. Non ci sarebbe apprendimento né un adeguato adattamento all’ambiente in cui viviamo senza interazioni e scambi reciproci di informazioni. Secondo un’analogia diffusa tra cervello biologico e artificiale, esisterebbe una sorta di wiring – un circuito – alla base della propensione umana per le interazioni sociali. Nasciamo già corredati di un meccanismo che ci predispone a tale tipo di interazioni. Fin dai primi giorni di vita, infatti, i neonati si sforzano di imitare alcune espressioni facciali di chi si prende cura di loro (Meltzoff et al., 1983; 1989). Ma tale propensione è già presente prima della nascita o si acquisisce con le prime esperienze post parto? Questa stimolante domanda ci ha indotti a condurre uno studio evolutivo sui feti gemelli, che condividono per mesi l’utero materno (Castiello et al., 2010). Un’opportunità unica e preziosa, questa, per studiare la genesi e l’evolversi di un possibile meccanismo pro-sociale. Se l’evoluzione di un tale meccanismo precede la nascita, allora dovremmo trovarne traccia nei feti gemelli, laddove esistono i presupposti per un’azione sociale, ovvero rivolta verso un altro individuo. Alcuni studi sui feti singoli hanno messo in luce l’esistenza di prime forme di pianificazione del movimento a 22 settimane di gestazione (Zoia et al., 2007). Ad oggi, però, nessuno studio aveva indagato l’esistenza di movimenti pianificati ed eseguiti nell’utero materno con il preciso scopo di raggiungere e toccare il proprio gemello. E il termine “pianificati” non è casuale. Sta ad indicare la peculiarità di tali gesti, che si differenziano dai meri riflessi e si avvicinano invece al concetto di “azioni”. Mentre i riflessi sono comunemente noti per essere del tutto automatici, fissi e fuori dal nostro controllo volontario, le azioni sono intese come movimenti coordinati e diretti a uno scopo, con vari gradi di intenzionalità. Come è emerso recentemente in studi su soggetti adulti, le azioni svolte in isolamento si differenziano dalle stesse azioni svolte con intento sociale (Becchio et al., 2010). I risultati, infatti, evidenziano come sia possibile distinguere, dal punto di vista dell’organizzazione del movimento, azioni individuali fini a se stesse, dalle stesse azioni eseguite in ambito sociale, e come la pianificazione delle azioni sia influenzata dal contesto sociale (si veda, a tal proposito, quanto descritto nel Box riportato a pagina seguente “Il lato sociale delle azioni”).
2011
Psicologia Contemporanea n. 224 - marzo/aprile 2011
9788809765092
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