Utilizzata dai commentatori cinquecenteschi come strumento di codificazione dei diversi generi letterari, la Poetica di Aristotele mostra, per quanto concerne l’epica, lacune tali da suggerirne insieme al recupero filologico, un ampio lavoro di interpretazione e di integrazione. La lettura del trattato aristotelico è condizionata da precise istanze operative: la necessità di giungere ad un definitivo corpus teorico e insieme di individuare un modello narrativo praticabile che tenesse conto sia dell’insuccesso dei tentativi del Trissino e dell’Alamanni di un poema epico regolare, sia del modello ariostesco, premiato dal plauso dei lettori. Le discussioni sul genere epico sono affrontate secondo una direttiva privilegiata: la definizione della favola nelle sue distinte componenti: unità, varietà, verità storica e finzione narrativa. È la Poetica del Daniello del 1538 a porre in termini ormai aristotelici il parallelo fra narrazione storica e rappresentazione poetica. Una linea “ortodossa” attenta a vario titolo all’esegesi e al commento di Aristotele è iniziata dalla triade dei commenti latini di Robortello, Maggi, Vettori. Il dibattito sul genere epico prosegue, variamente modulandosi con i trattati del Lionardi, del Capriano, dello Scaligero. L’affiorare di una linea “eterodossa” di difesa del romanzo, viene dai trattati del Giraldi e del Pigna. Il quadro prosegue con il rinvio agli internenti del Minturno, del Piccolomini, del Castelvetro per chiudere con l’analisi delle posizione di Torquato Tasso.

Diacronie cinquecentesche: «unità» e «varietà», «verità» e «finzione» nella «favola epica»

RASI, DONATELLA
1982

Abstract

Utilizzata dai commentatori cinquecenteschi come strumento di codificazione dei diversi generi letterari, la Poetica di Aristotele mostra, per quanto concerne l’epica, lacune tali da suggerirne insieme al recupero filologico, un ampio lavoro di interpretazione e di integrazione. La lettura del trattato aristotelico è condizionata da precise istanze operative: la necessità di giungere ad un definitivo corpus teorico e insieme di individuare un modello narrativo praticabile che tenesse conto sia dell’insuccesso dei tentativi del Trissino e dell’Alamanni di un poema epico regolare, sia del modello ariostesco, premiato dal plauso dei lettori. Le discussioni sul genere epico sono affrontate secondo una direttiva privilegiata: la definizione della favola nelle sue distinte componenti: unità, varietà, verità storica e finzione narrativa. È la Poetica del Daniello del 1538 a porre in termini ormai aristotelici il parallelo fra narrazione storica e rappresentazione poetica. Una linea “ortodossa” attenta a vario titolo all’esegesi e al commento di Aristotele è iniziata dalla triade dei commenti latini di Robortello, Maggi, Vettori. Il dibattito sul genere epico prosegue, variamente modulandosi con i trattati del Lionardi, del Capriano, dello Scaligero. L’affiorare di una linea “eterodossa” di difesa del romanzo, viene dai trattati del Giraldi e del Pigna. Il quadro prosegue con il rinvio agli internenti del Minturno, del Piccolomini, del Castelvetro per chiudere con l’analisi delle posizione di Torquato Tasso.
1982
Quasi un picciolo mondo. Tentativi di codificazione del genere epico nel Cinqucento
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