Circa 2 miliardi di persone hanno l’infezione da epatite B e l’epatite B cronica è la causa più comune di malattia epatica di origine virale nel mondo, coinvolgendo circa 400 milioni di soggetti. Questo nonostante l’incidenza sia in declino grazie ai massicci interventi vaccinali sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. I lavoratori della sanità sono una categoria a rischio e, prima dell’uso esteso del vaccino, il rischio di infezione era da tre a cinque volte maggiore rispetto alla popolazione generale. E’ quindi rilevante la questione della copertura vaccinale degli operatori sanitari. Per tale motivo, in base al decreto legislativo 626/94 titolo VIII (protezione da agenti biologici), gli studenti dei corsi di laurea di medicina sono stati sottoposti a sorveglianza sanitaria con la valutazione dei marcatori contro l’epatite B. Negli anni 2004-2006 sono stati valutati 2137 studenti (625 maschi e 1512 femmine) di età media 22,9±5,4 anni. Oltre che per il sesso, gli studenti sono stati suddivisi in due classi di età: 25 anni o più giovani (1709 soggetti) e più anziani di 25 anni (428 soggetti) in base al fatto che la strategia vaccinale intrapresa con l’entrata in vigore della legge 165/91 dovrebbe aver immunizzato tutti i nati dopo il 1981. L’82,3% degli studenti appariva immune verso l’epatite B (anticorpi anti-HBsAg ≥ 10 mUI/ml), mentre il 16,7% era negativo. Di questi, il 29,7% dichiarava di essere stato vaccinato, mentre due soggetti affermavano di aver fatto solo la prima dose per sopravvenute reazioni allergiche. Solo l’1,0% presentava un quadro di pregressa infezione da epatite B (1,4% maschi e 0,8% femmine) soprattutto i soggetti più anziani di 25 anni (3,0%) rispetto ai più giovani (0,5%). Solo un soggetto era portatore dell’antigene di superficie (HBsAg). In confronto ai soggetti di sesso maschile, le femmine mostravano una prevalenza di anticorpi anti-HBsAg significativamente superiore (85,4% contro 74,7%, Chi2=34,234, p<0,001) e quelli di età inferiore o uguale a 25 anni rispetto ai più anziani (90,6% rispetto a 49,3%, Chi2=397,775, p<0,001). I risultati ottenuti dimostrano come sia necessaria una attenta valutazione dello stato immunitario dei soggetti che intraprendono le professioni sanitarie poiché non tutti quelli che dichiarano di aver fatto la vaccinazione risultano confermati al dosaggio dei marcatori. E’ quindi opportuno che una strategia vaccinale venga offerta attivamente per migliorare lo stato di immunizzazione della popolazione esposta a rischio. E’ noto che la memoria immunitaria verso gli antigeni di superficie del virus dell’epatite B permane per lungo tempo, sicuramente oltre i 15 anni. E’ però opportuno che i soggetti negativi, di cui non siano disponibili valutazioni anticorpali che ne dimostrino in un certo momento una determinabile risposta immunitaria, vengano sottoposti o ad una dose di richiamo o ad un intero ciclo vaccinale. Lo scopo evidente è quello di raggiungere la migliore copertura possibile e di ridurre a zero i rischi legati all’infezione causata da una malattia come l’epatite B.

Prevalenza dei marcatori dell’epatite B negli studenti dei corsi di laurea di Medicina

MONGILLO, MICHELE;TREVISAN, ANDREA
2007

Abstract

Circa 2 miliardi di persone hanno l’infezione da epatite B e l’epatite B cronica è la causa più comune di malattia epatica di origine virale nel mondo, coinvolgendo circa 400 milioni di soggetti. Questo nonostante l’incidenza sia in declino grazie ai massicci interventi vaccinali sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. I lavoratori della sanità sono una categoria a rischio e, prima dell’uso esteso del vaccino, il rischio di infezione era da tre a cinque volte maggiore rispetto alla popolazione generale. E’ quindi rilevante la questione della copertura vaccinale degli operatori sanitari. Per tale motivo, in base al decreto legislativo 626/94 titolo VIII (protezione da agenti biologici), gli studenti dei corsi di laurea di medicina sono stati sottoposti a sorveglianza sanitaria con la valutazione dei marcatori contro l’epatite B. Negli anni 2004-2006 sono stati valutati 2137 studenti (625 maschi e 1512 femmine) di età media 22,9±5,4 anni. Oltre che per il sesso, gli studenti sono stati suddivisi in due classi di età: 25 anni o più giovani (1709 soggetti) e più anziani di 25 anni (428 soggetti) in base al fatto che la strategia vaccinale intrapresa con l’entrata in vigore della legge 165/91 dovrebbe aver immunizzato tutti i nati dopo il 1981. L’82,3% degli studenti appariva immune verso l’epatite B (anticorpi anti-HBsAg ≥ 10 mUI/ml), mentre il 16,7% era negativo. Di questi, il 29,7% dichiarava di essere stato vaccinato, mentre due soggetti affermavano di aver fatto solo la prima dose per sopravvenute reazioni allergiche. Solo l’1,0% presentava un quadro di pregressa infezione da epatite B (1,4% maschi e 0,8% femmine) soprattutto i soggetti più anziani di 25 anni (3,0%) rispetto ai più giovani (0,5%). Solo un soggetto era portatore dell’antigene di superficie (HBsAg). In confronto ai soggetti di sesso maschile, le femmine mostravano una prevalenza di anticorpi anti-HBsAg significativamente superiore (85,4% contro 74,7%, Chi2=34,234, p<0,001) e quelli di età inferiore o uguale a 25 anni rispetto ai più anziani (90,6% rispetto a 49,3%, Chi2=397,775, p<0,001). I risultati ottenuti dimostrano come sia necessaria una attenta valutazione dello stato immunitario dei soggetti che intraprendono le professioni sanitarie poiché non tutti quelli che dichiarano di aver fatto la vaccinazione risultano confermati al dosaggio dei marcatori. E’ quindi opportuno che una strategia vaccinale venga offerta attivamente per migliorare lo stato di immunizzazione della popolazione esposta a rischio. E’ noto che la memoria immunitaria verso gli antigeni di superficie del virus dell’epatite B permane per lungo tempo, sicuramente oltre i 15 anni. E’ però opportuno che i soggetti negativi, di cui non siano disponibili valutazioni anticorpali che ne dimostrino in un certo momento una determinabile risposta immunitaria, vengano sottoposti o ad una dose di richiamo o ad un intero ciclo vaccinale. Lo scopo evidente è quello di raggiungere la migliore copertura possibile e di ridurre a zero i rischi legati all’infezione causata da una malattia come l’epatite B.
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