Lo scritto – a margine di una significativa pronuncia del T.A.R. Lazio – esamina la questione della natura ed intensità del sindacato del giudice amministrativo in sede di ricorso avverso il silenzio-rifiuto della p.A., muovendo dalla ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale e normativa della tematica. Costituiscono oggetto di specifico approfondimento sia il tradizionale orientamento che, in caso di ricorso avverso il silenzio-rifiuto della P.A., limitava il potere del giudice amministrativo alla pronuncia in ordine alla sussistenza dell’obbligo di provvedere, sia la tesi volta ad estendere l’ambito di cognizione dello stesso giudice alla fondatezza dell’istanza; tesi quest’ultima, già sostenuta, subito dopo l’entrata in vigore dell’art. 21-bis della legge n. 1034/1971, da una parte della giurisprudenza e, successivamente, corroborata dall’art. 3, comma 6-bis, del d.l. n. 35/2005 (il quale, nel riformulare l’art. 2 della legge n. 241/1990, ha introdotto, al quinto comma di tale disposizione, la previsione secondo cui il giudice amministrativo, nei giudizi contro il silenzio-rifiuto, “può conoscere della fondatezza dell’istanza”). Tale indagine consente di anticipare alcuni contenuti poi trasfusi nel nuovo art. 31, comma 3, c.p.a., aderendo all’interpretazione secondo cui il giudice può valutare la fondatezza della pretesa solo a fronte di istanze dirette ad ottenere provvedimenti vincolati ed escludendo, invece, tale potere di cognizione nel caso in cui l’esame dell’istanza del privato comporti l’esercizio di poteri discrezionali. La pronuncia annotata costituisce, inoltre, lo spunto per un esame critico dell’orientamento che nega l’ultilizzabilità del rito sul silenzio a tutela di posizioni di diritto soggettivo, giungendo a delineare un diverso inquadramento dei rapporti tra azione risarcitoria e azione avverso il silenzio, che sembra oggi trovare conferma nella nuova disciplina di cui all’art. 117 c.p.a..

Il potere del giudice amministrativo di "conoscere della fondatezza dell'istanza" nel giudizio avverso il silenzio-rifiuto della P.A..

BENETAZZO, CRISTIANA
2010

Abstract

Lo scritto – a margine di una significativa pronuncia del T.A.R. Lazio – esamina la questione della natura ed intensità del sindacato del giudice amministrativo in sede di ricorso avverso il silenzio-rifiuto della p.A., muovendo dalla ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale e normativa della tematica. Costituiscono oggetto di specifico approfondimento sia il tradizionale orientamento che, in caso di ricorso avverso il silenzio-rifiuto della P.A., limitava il potere del giudice amministrativo alla pronuncia in ordine alla sussistenza dell’obbligo di provvedere, sia la tesi volta ad estendere l’ambito di cognizione dello stesso giudice alla fondatezza dell’istanza; tesi quest’ultima, già sostenuta, subito dopo l’entrata in vigore dell’art. 21-bis della legge n. 1034/1971, da una parte della giurisprudenza e, successivamente, corroborata dall’art. 3, comma 6-bis, del d.l. n. 35/2005 (il quale, nel riformulare l’art. 2 della legge n. 241/1990, ha introdotto, al quinto comma di tale disposizione, la previsione secondo cui il giudice amministrativo, nei giudizi contro il silenzio-rifiuto, “può conoscere della fondatezza dell’istanza”). Tale indagine consente di anticipare alcuni contenuti poi trasfusi nel nuovo art. 31, comma 3, c.p.a., aderendo all’interpretazione secondo cui il giudice può valutare la fondatezza della pretesa solo a fronte di istanze dirette ad ottenere provvedimenti vincolati ed escludendo, invece, tale potere di cognizione nel caso in cui l’esame dell’istanza del privato comporti l’esercizio di poteri discrezionali. La pronuncia annotata costituisce, inoltre, lo spunto per un esame critico dell’orientamento che nega l’ultilizzabilità del rito sul silenzio a tutela di posizioni di diritto soggettivo, giungendo a delineare un diverso inquadramento dei rapporti tra azione risarcitoria e azione avverso il silenzio, che sembra oggi trovare conferma nella nuova disciplina di cui all’art. 117 c.p.a..
2010
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