La “pena” ed il “giudizio” sono i due capisaldi problematici di questo studio. Infatti, il cd. patteggiamento incarna, oltre che la morfologia di un procedimento speciale, anche un nuovo volto del diritto punitivo. L’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti viene analizzato sotto il profilo “negoziale” che ne costituisce l’immancabile prologo e sotto l’aspetto della natura acognitiva dell’eventuale epilogo decisorio. In quest’ultima prospettiva, viene interpretata la locuzione secondo cui la sentenza di “patteggiamento” «è equiparata a una pronuncia di condanna» (art. 445, 1-bis c.p.p.), allo scopo di rispondere al quesito della conciliabilità o meno di questo istituto giuridico con gli apoftegni «nulla poena sine crimine» e «nulla poena sine iudicio» di Paul Feunerbach, oltre che con uno dei canoni indicati da Jean Bodin tra i «vari segni della sovranità» dello Stato: Justice n’est pas ployable. Innanzitutto, si delimita l’àmbito di applicazione di questa nuova forma di giustizia negoziata, passando in rassegna l’area applicativa, le preclusioni – oggettive e soggettive – il limite della misura della pena irrogabile in concreto e la classe dei delitti esclusi, ove punibili in concreto con sanzione superiore a due anni. Il quadro d’insieme viene completato, ricordando l’inammissibilità di tale rito speciale nei procedimenti dinanzi al giudice di pace e per quelli a carico di imputati minorenni. Dall’esame degli effetti «penalistici» (rappresentati dagli incentivi della diminuzione della pena e dagli altri benefici stabiliti dalla legge) si passa agli incentivi di natura processuale (cioè, tra gli altri, l’inefficacia nei giudizi civili o amministrativi della sentenza, la mancata identificazione della medesima ad una pronuncia di condanna e l’impossibilità di decidere sulla richiesta di risarcimento o di restituzione proposta dall’eventuale parte civile). Si segnala, consequenzialmente, che la disciplina processuale produce un duplice effetto penalistico: diventano «patteggiabili» anche imputazioni assai gravi (e.g. l’omicidio ex art. 575 c.p., ove sussistenti più circostanze attenuanti) e l’area di efficacia della sospensione condizionale della pena risulta estesa a fattispecie per le quali il codice penale non ne consente l’applicazione. Con l’importante corollario che l’appeal del patteggiamento è esercitato principalmente dalla più mite determinazione della pena base, quest’ultima indotta dalla comune volontà delle parti di pervenire ad un prestabilito risultato finale. Gli inediti effetti di questa giustizia concordata vengono, poi, proiettati sul piano problematico della natura acognitiva della corrispondente sentenza che, non accertando la «colpevolezza» dell’imputato, è diversa dalla sentenza di «condanna» disciplinata dall’art. 533 c.p.p.. Questa conclusione conduce a svolgere una serie di riflessioni finali su alcuni profili di illegittimità costituzionale del patteggiamento. L’inflizione di una pena, in assenza dell’accertamento di responsabilità e di una confessione di colpevolezza, confligge con l’inviolabilità della libertà personale e con la sua indisponibilità da parte del singolo imputato. Con il pericolo di un «fondamentalismo funzionalistico» tutto radicato su esigenze di celerità e di efficienza, ma poco attento ai concetti di «giustizia» e «pena rieducativa».
Profili problematici della pena attraverso il prisma del patteggiamento
FRAGASSO, EMANUELE
2006
Abstract
La “pena” ed il “giudizio” sono i due capisaldi problematici di questo studio. Infatti, il cd. patteggiamento incarna, oltre che la morfologia di un procedimento speciale, anche un nuovo volto del diritto punitivo. L’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti viene analizzato sotto il profilo “negoziale” che ne costituisce l’immancabile prologo e sotto l’aspetto della natura acognitiva dell’eventuale epilogo decisorio. In quest’ultima prospettiva, viene interpretata la locuzione secondo cui la sentenza di “patteggiamento” «è equiparata a una pronuncia di condanna» (art. 445, 1-bis c.p.p.), allo scopo di rispondere al quesito della conciliabilità o meno di questo istituto giuridico con gli apoftegni «nulla poena sine crimine» e «nulla poena sine iudicio» di Paul Feunerbach, oltre che con uno dei canoni indicati da Jean Bodin tra i «vari segni della sovranità» dello Stato: Justice n’est pas ployable. Innanzitutto, si delimita l’àmbito di applicazione di questa nuova forma di giustizia negoziata, passando in rassegna l’area applicativa, le preclusioni – oggettive e soggettive – il limite della misura della pena irrogabile in concreto e la classe dei delitti esclusi, ove punibili in concreto con sanzione superiore a due anni. Il quadro d’insieme viene completato, ricordando l’inammissibilità di tale rito speciale nei procedimenti dinanzi al giudice di pace e per quelli a carico di imputati minorenni. Dall’esame degli effetti «penalistici» (rappresentati dagli incentivi della diminuzione della pena e dagli altri benefici stabiliti dalla legge) si passa agli incentivi di natura processuale (cioè, tra gli altri, l’inefficacia nei giudizi civili o amministrativi della sentenza, la mancata identificazione della medesima ad una pronuncia di condanna e l’impossibilità di decidere sulla richiesta di risarcimento o di restituzione proposta dall’eventuale parte civile). Si segnala, consequenzialmente, che la disciplina processuale produce un duplice effetto penalistico: diventano «patteggiabili» anche imputazioni assai gravi (e.g. l’omicidio ex art. 575 c.p., ove sussistenti più circostanze attenuanti) e l’area di efficacia della sospensione condizionale della pena risulta estesa a fattispecie per le quali il codice penale non ne consente l’applicazione. Con l’importante corollario che l’appeal del patteggiamento è esercitato principalmente dalla più mite determinazione della pena base, quest’ultima indotta dalla comune volontà delle parti di pervenire ad un prestabilito risultato finale. Gli inediti effetti di questa giustizia concordata vengono, poi, proiettati sul piano problematico della natura acognitiva della corrispondente sentenza che, non accertando la «colpevolezza» dell’imputato, è diversa dalla sentenza di «condanna» disciplinata dall’art. 533 c.p.p.. Questa conclusione conduce a svolgere una serie di riflessioni finali su alcuni profili di illegittimità costituzionale del patteggiamento. L’inflizione di una pena, in assenza dell’accertamento di responsabilità e di una confessione di colpevolezza, confligge con l’inviolabilità della libertà personale e con la sua indisponibilità da parte del singolo imputato. Con il pericolo di un «fondamentalismo funzionalistico» tutto radicato su esigenze di celerità e di efficienza, ma poco attento ai concetti di «giustizia» e «pena rieducativa».Pubblicazioni consigliate
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