Il lavoro prende le mosse dalle note sentenze della Corte di Cassazione pronunciate, a sezioni unite, nel dicembre 2008. Partendo da questi arresti giurisprudenziali, nei quali la Suprema Corte offre una nuova visione dell’abuso del diritto incentrata, per i tributi non armonizzati, sulla diretta applicazione del principio della capacità contributiva, il lavoro propone un’analisi degli schemi impiegati negli anni dalla giurisprudenza nazionale, ma anche dalla giurisprudenza comunitaria, per combattere i fenomeni di elusione tributaria e di abuso del diritto. Il contrasto all’elusione non viene più implementato mediante lo scardinamento delle strutture civilistiche e risultano abbandonati gli schemi della nullità negoziale abbracciati dai giudici nel contrastare casi di dividend stripping e di dividend washing. La nuova linea della Suprema Corte è invece incentrata, per le imposte non armonizzate, sulla diretta applicazione dell’art. 53 Cost. Nel presente lavoro, se da un lato viene salutato con favore l’abbandono degli schemi incentrati sulla nullità civilistica, dall’altro lato viene ampiamente criticato il diretto impiego del principio di capacità contributiva, non filtrato da una disposizione, per osteggiare i comportamenti elusivi/abusivi. Quanto agli schemi incentrati sulla nullità civilistica, si è osservato che, nonostante la nullità fosse deputata ad operare solamente nel binario di quel preciso rapporto, mal si conciliava con le finalità sottese al diritto tributario. La declaratoria di nullità rappresentava un effetto abnorme rispetto alle finalità della materia, la cui funzione non è quella di demolire i contratti o di limitarne gli effetti, bensì di intercettare la ricchezza che essi hanno prodotto e, conseguentemente, di tassarla. L’analisi si è poi incentrata sui casi giurisprudenziali nei quali i giudici nazionali hanno posto riferimento al principio di divieto di abuso di diritto coniato dalla Corte di Giustizia in materia di Iva. Casi nei quali si è ritenuto estendibile il suddetto principio altresì al comparto delle imposte dirette, nonostante quest’ultimo non sia, come quello dell’Iva, di derivazione comunitaria. L’analisi si è infine spostata sulle ultime linee tracciate dalla Suprema Corte, incentrate sulla diretta applicazione dell’art. 53 Cost. Ebbene, dopo aver analizzato la portata del principio giurisprudenziale del divieto di abuso del diritto e la sua sovrapponibilità alla previsione legale di cui all’art. 37-bis dpr 600/1973, si è concluso nel senso che l’abuso del diritto non può essere osteggiato né per il tramite della immediata precipitazione dell’art. 53 Cost. nell’ordinamento fiscale, né, tanto meno, in via interpretativa. Alla prima conclusione si giunge se solo si considera la funzione assegnata all’art. 53 Cost. Tale ultima disposizione, infatti, rappresenta un limite per l’attività legislativa e non basta da sola per individuare la ricchezza tassabile, ma necessita di una concretizzazione sul piano legislativo, attraverso l’introduzione di disposizioni che fissino l’obbligo di contribuzione con riferimento alle fattispecie rivelatrici di capacità contributiva. Da qui il collegamento con l’art. 23 Cost., recante la riserva di legge. Alla seconda conclusione si giunge ponendo attenzione al fatto che, operando in via interpretativa, si rischia di ammettere piena equivalenza tra fattispecie economicamente uguali (facendo leva sul principio di capacità contributiva e di uguaglianza), senza tuttavia considerare gli stampi giuridici adottati dalle parti. Stampi giuridici che tuttavia sono il frutto della selezione dei fatti economici eseguita dal legislatore ex art. 23 della Costituzione, nel rispetto della riserva di legge. È necessario dunque trovare un giusto equilibrio per garantire, da un lato, la giustizia tributaria ma, dall’altro lato, anche la certezza nei rapporti tra Fisco e contribuente.
Evoluzione e stato della giurisprudenza tributaria: dalla nullità negoziale all'abuso del diritto nel sistema impositivo nazionale
BEGHIN, MAURO
2009
Abstract
Il lavoro prende le mosse dalle note sentenze della Corte di Cassazione pronunciate, a sezioni unite, nel dicembre 2008. Partendo da questi arresti giurisprudenziali, nei quali la Suprema Corte offre una nuova visione dell’abuso del diritto incentrata, per i tributi non armonizzati, sulla diretta applicazione del principio della capacità contributiva, il lavoro propone un’analisi degli schemi impiegati negli anni dalla giurisprudenza nazionale, ma anche dalla giurisprudenza comunitaria, per combattere i fenomeni di elusione tributaria e di abuso del diritto. Il contrasto all’elusione non viene più implementato mediante lo scardinamento delle strutture civilistiche e risultano abbandonati gli schemi della nullità negoziale abbracciati dai giudici nel contrastare casi di dividend stripping e di dividend washing. La nuova linea della Suprema Corte è invece incentrata, per le imposte non armonizzate, sulla diretta applicazione dell’art. 53 Cost. Nel presente lavoro, se da un lato viene salutato con favore l’abbandono degli schemi incentrati sulla nullità civilistica, dall’altro lato viene ampiamente criticato il diretto impiego del principio di capacità contributiva, non filtrato da una disposizione, per osteggiare i comportamenti elusivi/abusivi. Quanto agli schemi incentrati sulla nullità civilistica, si è osservato che, nonostante la nullità fosse deputata ad operare solamente nel binario di quel preciso rapporto, mal si conciliava con le finalità sottese al diritto tributario. La declaratoria di nullità rappresentava un effetto abnorme rispetto alle finalità della materia, la cui funzione non è quella di demolire i contratti o di limitarne gli effetti, bensì di intercettare la ricchezza che essi hanno prodotto e, conseguentemente, di tassarla. L’analisi si è poi incentrata sui casi giurisprudenziali nei quali i giudici nazionali hanno posto riferimento al principio di divieto di abuso di diritto coniato dalla Corte di Giustizia in materia di Iva. Casi nei quali si è ritenuto estendibile il suddetto principio altresì al comparto delle imposte dirette, nonostante quest’ultimo non sia, come quello dell’Iva, di derivazione comunitaria. L’analisi si è infine spostata sulle ultime linee tracciate dalla Suprema Corte, incentrate sulla diretta applicazione dell’art. 53 Cost. Ebbene, dopo aver analizzato la portata del principio giurisprudenziale del divieto di abuso del diritto e la sua sovrapponibilità alla previsione legale di cui all’art. 37-bis dpr 600/1973, si è concluso nel senso che l’abuso del diritto non può essere osteggiato né per il tramite della immediata precipitazione dell’art. 53 Cost. nell’ordinamento fiscale, né, tanto meno, in via interpretativa. Alla prima conclusione si giunge se solo si considera la funzione assegnata all’art. 53 Cost. Tale ultima disposizione, infatti, rappresenta un limite per l’attività legislativa e non basta da sola per individuare la ricchezza tassabile, ma necessita di una concretizzazione sul piano legislativo, attraverso l’introduzione di disposizioni che fissino l’obbligo di contribuzione con riferimento alle fattispecie rivelatrici di capacità contributiva. Da qui il collegamento con l’art. 23 Cost., recante la riserva di legge. Alla seconda conclusione si giunge ponendo attenzione al fatto che, operando in via interpretativa, si rischia di ammettere piena equivalenza tra fattispecie economicamente uguali (facendo leva sul principio di capacità contributiva e di uguaglianza), senza tuttavia considerare gli stampi giuridici adottati dalle parti. Stampi giuridici che tuttavia sono il frutto della selezione dei fatti economici eseguita dal legislatore ex art. 23 della Costituzione, nel rispetto della riserva di legge. È necessario dunque trovare un giusto equilibrio per garantire, da un lato, la giustizia tributaria ma, dall’altro lato, anche la certezza nei rapporti tra Fisco e contribuente.Pubblicazioni consigliate
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