Sia nella fase costitutiva della società, sia nell’esercizio della sua attività d’impresa, sia soprattutto nell’eventuale fase patologica della vita societaria, molti sono i momenti in cui ci si occupa del capitale sociale, della sua integrità e della sua effettività. L’integrità è una nozione che richiama la disciplina diretta a salvaguardare il vincolo di indistribuibilità del capitale sociale, tutte le volte in cui vengono compiute operazioni il cui risultato ultimo potrebbe tradursi nella violazione del vincolo stesso. Diversamente, l’effettività fa appello ad una necessaria corrispondenza tra il capitale nominale, inteso quale limite di indistribuibilità, e il capitale reale quale patrimonio effettivamente esistente. Parlare di effettività del capitale sociale significa addentrarsi nell’analisi di uno dei principi cardine del diritto societario, trasversale rispetto alle stesse norme che lo regolano; significa fare riferimento ad un principio inderogabile che è stato via via “mitigato” dall’evolversi della normativa societaria. Ma va capito se il principio di effettività del capitale possa dirsi ancora un principio esistente e sostanzialmente (non solo formalmente) tutelato dal nostro ordinamento; se quindi esiste ancora, a fronte di una generica esigenza di effettività, una corrispondente sostanziale, reale, tutela legale. Quando si parla di capitale si fa riferimento ad un’entità numerica alla quale vengono attribuiti significati diversi, a seconda del contesto in cui se ne parla: capitale nominale o sociale, capitale reale o effettivo, capitale versato, capitale esistente, sono alcune tra le espressioni che più spesso ci capita di incontrare, nella lettura della norma, e ad ognuna di esse corrisponde una differente definizione qualitativa e quantitativa di capitale. Esiste un interesse generale alla veridicità ed esistono gli interessi particolari dei soci, dei creditori, dei terzi in generale, a che vi sia una tendenziale corrispondenza tra capitale nominale – inteso come somma dei conferimenti promessi dai soci – e capitale reale – quale patrimonio effettivamente esistente. Il legislatore sembra tutelare questa tendenziale effettività nella fase costituiva, attraverso la disciplina dei conferimenti e durante l’operatività della società, attraverso norme volte ad impedire il permanere di un “pericoloso” divario negativo tra il capitale sociale e il patrimonio netto della società. Quindi, pur avendo subìto compressioni e adattamenti conseguenti alle riforme e alle necessità che le hanno ispirate, continuano ad esistere norme imperative poste a tutela dell’effettività del capitale sociale.
Il principio di effettività del capitale sociale
SEGA, DANIELA
2010
Abstract
Sia nella fase costitutiva della società, sia nell’esercizio della sua attività d’impresa, sia soprattutto nell’eventuale fase patologica della vita societaria, molti sono i momenti in cui ci si occupa del capitale sociale, della sua integrità e della sua effettività. L’integrità è una nozione che richiama la disciplina diretta a salvaguardare il vincolo di indistribuibilità del capitale sociale, tutte le volte in cui vengono compiute operazioni il cui risultato ultimo potrebbe tradursi nella violazione del vincolo stesso. Diversamente, l’effettività fa appello ad una necessaria corrispondenza tra il capitale nominale, inteso quale limite di indistribuibilità, e il capitale reale quale patrimonio effettivamente esistente. Parlare di effettività del capitale sociale significa addentrarsi nell’analisi di uno dei principi cardine del diritto societario, trasversale rispetto alle stesse norme che lo regolano; significa fare riferimento ad un principio inderogabile che è stato via via “mitigato” dall’evolversi della normativa societaria. Ma va capito se il principio di effettività del capitale possa dirsi ancora un principio esistente e sostanzialmente (non solo formalmente) tutelato dal nostro ordinamento; se quindi esiste ancora, a fronte di una generica esigenza di effettività, una corrispondente sostanziale, reale, tutela legale. Quando si parla di capitale si fa riferimento ad un’entità numerica alla quale vengono attribuiti significati diversi, a seconda del contesto in cui se ne parla: capitale nominale o sociale, capitale reale o effettivo, capitale versato, capitale esistente, sono alcune tra le espressioni che più spesso ci capita di incontrare, nella lettura della norma, e ad ognuna di esse corrisponde una differente definizione qualitativa e quantitativa di capitale. Esiste un interesse generale alla veridicità ed esistono gli interessi particolari dei soci, dei creditori, dei terzi in generale, a che vi sia una tendenziale corrispondenza tra capitale nominale – inteso come somma dei conferimenti promessi dai soci – e capitale reale – quale patrimonio effettivamente esistente. Il legislatore sembra tutelare questa tendenziale effettività nella fase costituiva, attraverso la disciplina dei conferimenti e durante l’operatività della società, attraverso norme volte ad impedire il permanere di un “pericoloso” divario negativo tra il capitale sociale e il patrimonio netto della società. Quindi, pur avendo subìto compressioni e adattamenti conseguenti alle riforme e alle necessità che le hanno ispirate, continuano ad esistere norme imperative poste a tutela dell’effettività del capitale sociale.File | Dimensione | Formato | |
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