Il “modello italiano” di salvaguardia del patrimonio culturale, frutto di una lunga tradizione legislativa e amministrativa e incentrato su un rigido controllo pubblico del settore, è rimasto sostanzialmente integro fino alla fine del Novecento, quando ha iniziato ad incrinarsi sotto la spinta di nuove tendenze culturali e politiche. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso si è infatti progressivamente ridimensionato il ruolo dello Stato nella tutela e nella valorizzazione dei beni culturali. Ciò è avvenuto per effetto della combinazione, non sempre del tutto coerente, di due diverse politiche: da un lato, un massiccio conferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali (decentramento), allo scopo di rendere più efficace l’azione pubblica nel campo della cultura e di avvicinarla il più possibile ai cittadini; dall’altro, un maggiore coinvolgimento dei privati nella gestione dei beni culturali e paesaggistici (privatizzazione), nel tentativo di favorire la loro partecipazione ad attività di interesse generale, passando da un Welfare State di tipo continentale ad una Welfare Society di ispirazione anglosassone. Si tratta di scelte sostanzialmente condivise da tutti i governi succedutisi alla guida del Paese negli ultimi vent’anni e che hanno trovato accoglimento anche sul piano costituzionale. In realtà, i risultati di questi cambiamenti sono stati molto inferiori alle attese: la nuova ripartizione di competenze tra centro e periferia ha finito per aumentare la conflittualità istituzionale e rallentare l’azione amministrativa, indebolendo complessivamente il fronte pubblico a vantaggio di quello privato; la sempre maggiore “mercificazione” dei beni culturali e la loro subordinazione ad esigenze di finanza pubblica hanno determinato inoltre un progressivo allontanamento da quella tradizione italiana della tutela e della valorizzazione che nei secoli ha fatto del patrimonio culturale un elemento portante della nostra società civile. L’impoverimento delle strategie di salvaguardia che ne è conseguito è stato in parte compensato dalla crescente influenza del diritto internazionale sul diritto interno, registratasi soprattutto negli ultimi anni. Particolarmente significativo è stato l’impatto delle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi, 2003) e per la protezione e la promozione delle diversità culturali (Parigi, 2005). A differenza della cultura materiale, che vanta un’antica e consolidata tradizione di tutela, quella immateriale manca infatti in Italia di una disciplina organica, capace di fornire sicuri criteri di riconoscimento delle sue forme di manifestazione e di indicare tempi e modi per la loro salvaguardia. In assenza di una legge statale di principio, le regioni – titolari della potestà legislativa concorrente in materia di valorizzazione dei beni culturali e di promozione delle attività culturali (art. 117 co. 3 Cost.) – si sono mosse in ordine sparso. Alcune hanno cercato di proteggere e valorizzare gli ambienti, i paesaggi e gli stili di vita e di lavoro tradizionali e con valore identitario per le comunità locali mediante la creazione di ecomusei; altre hanno puntato sulla tutela e la valorizzazione dei centri storici e dei borghi antichi o sull’incentivazione e il sostegno delle attività commerciali o artigianali esercitate in botteghe o locali tipici (mestieri tradizionali e locali storici); altre ancora si sono limitate a promuovere la conoscenza e la diffusione degli idiomi (lingue o dialetti) locali. Ad oggi solo la Regione Lombardia si è dotata di un’apposita normativa sulla valorizzazione del patrimonio culturale immateriale (l.r. 23 ottobre 2008, n. 27), direttamente ispirata alla Convenzione del 2003 e alla relativa legge di ratifica ed esecuzione (l. n. 167/2007). Ne risulta un quadro piuttosto variegato, caratterizzato da una scarsa uniformità ma, al tempo stesso, da una grande vitalità nella disciplina e nella gestione del patrimonio culturale intangibile, che rende il nostro Paese un laboratorio particolarmente vivace e produttivo di idee e soluzioni in questo campo.
Il sistema italiano di salvaguardia del patrimonio culturale e i suoi recenti sviluppi nel quadro internazionale ed europeo
GIAMPIERETTI, MARCO
2011
Abstract
Il “modello italiano” di salvaguardia del patrimonio culturale, frutto di una lunga tradizione legislativa e amministrativa e incentrato su un rigido controllo pubblico del settore, è rimasto sostanzialmente integro fino alla fine del Novecento, quando ha iniziato ad incrinarsi sotto la spinta di nuove tendenze culturali e politiche. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso si è infatti progressivamente ridimensionato il ruolo dello Stato nella tutela e nella valorizzazione dei beni culturali. Ciò è avvenuto per effetto della combinazione, non sempre del tutto coerente, di due diverse politiche: da un lato, un massiccio conferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali (decentramento), allo scopo di rendere più efficace l’azione pubblica nel campo della cultura e di avvicinarla il più possibile ai cittadini; dall’altro, un maggiore coinvolgimento dei privati nella gestione dei beni culturali e paesaggistici (privatizzazione), nel tentativo di favorire la loro partecipazione ad attività di interesse generale, passando da un Welfare State di tipo continentale ad una Welfare Society di ispirazione anglosassone. Si tratta di scelte sostanzialmente condivise da tutti i governi succedutisi alla guida del Paese negli ultimi vent’anni e che hanno trovato accoglimento anche sul piano costituzionale. In realtà, i risultati di questi cambiamenti sono stati molto inferiori alle attese: la nuova ripartizione di competenze tra centro e periferia ha finito per aumentare la conflittualità istituzionale e rallentare l’azione amministrativa, indebolendo complessivamente il fronte pubblico a vantaggio di quello privato; la sempre maggiore “mercificazione” dei beni culturali e la loro subordinazione ad esigenze di finanza pubblica hanno determinato inoltre un progressivo allontanamento da quella tradizione italiana della tutela e della valorizzazione che nei secoli ha fatto del patrimonio culturale un elemento portante della nostra società civile. L’impoverimento delle strategie di salvaguardia che ne è conseguito è stato in parte compensato dalla crescente influenza del diritto internazionale sul diritto interno, registratasi soprattutto negli ultimi anni. Particolarmente significativo è stato l’impatto delle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi, 2003) e per la protezione e la promozione delle diversità culturali (Parigi, 2005). A differenza della cultura materiale, che vanta un’antica e consolidata tradizione di tutela, quella immateriale manca infatti in Italia di una disciplina organica, capace di fornire sicuri criteri di riconoscimento delle sue forme di manifestazione e di indicare tempi e modi per la loro salvaguardia. In assenza di una legge statale di principio, le regioni – titolari della potestà legislativa concorrente in materia di valorizzazione dei beni culturali e di promozione delle attività culturali (art. 117 co. 3 Cost.) – si sono mosse in ordine sparso. Alcune hanno cercato di proteggere e valorizzare gli ambienti, i paesaggi e gli stili di vita e di lavoro tradizionali e con valore identitario per le comunità locali mediante la creazione di ecomusei; altre hanno puntato sulla tutela e la valorizzazione dei centri storici e dei borghi antichi o sull’incentivazione e il sostegno delle attività commerciali o artigianali esercitate in botteghe o locali tipici (mestieri tradizionali e locali storici); altre ancora si sono limitate a promuovere la conoscenza e la diffusione degli idiomi (lingue o dialetti) locali. Ad oggi solo la Regione Lombardia si è dotata di un’apposita normativa sulla valorizzazione del patrimonio culturale immateriale (l.r. 23 ottobre 2008, n. 27), direttamente ispirata alla Convenzione del 2003 e alla relativa legge di ratifica ed esecuzione (l. n. 167/2007). Ne risulta un quadro piuttosto variegato, caratterizzato da una scarsa uniformità ma, al tempo stesso, da una grande vitalità nella disciplina e nella gestione del patrimonio culturale intangibile, che rende il nostro Paese un laboratorio particolarmente vivace e produttivo di idee e soluzioni in questo campo.Pubblicazioni consigliate
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