Il contrasto giurisprudenzale determinatosi in merito alla questione se, in conseguenza della cancellazione della società dal registro delle imprese, la stessa sia o meno da considerarsi estinta, giustifica l’intervento sulla questione delle sezioni unite di Cassazione. La giurisprudenza sul punto è sempre stata divisa e ad oggi, nonostante la nuova formulazione dell’art. 2495 c.c., introdotta dall’art. 4 del d.lgs. n. 6/2003, non vi è ancora una posizione definitiva. L’indirizzo che da sempre prevale ritiene che l’atto formale di cancellazione della società non ne determini l’estinzione, qualora non siano esauriti tutti i rapporti giuridici che ad essa facevano capo e non siano state definite tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi: permane quindi la legittimazione processuale della società, rappresentata sostanzialmente e processualmente dai suoi organi. Un orientamento minoritario, invece, sostiene che la cancellazione produca l’effetto costitutivo dell’estinzione anche in presenza di rapporti non definiti, con la conseguente perdita della capacità processuale della società e il passaggio della sua rappresentanza legale in capo ai soci. Le incertezze sull’efficacia della cancellazione si giustificano con l’indiscutibile rilievo che assume la determinazione del momento oltre il quale non possono esistere situazioni attive o passive, sostanziali o processuali, imputabili alla società; determinazione che condiziona, in primis, l’identificazione dell’ambito di operatività delle azioni riconosciute ai creditori insoddisfatti verso soci e liquidatori. Il problema è ovviamente più delicato per le passività, dal momento che è necessario stabilire nei confronti di chi possano agire i creditori insoddisfatti, entro quanto tempo ed in quale modo. In effetti, la soluzione della «immortalità» della società, propugnata soprattutto dalla saldissima giurisprudenza della Cassazione, consentirebbe di prescindere completamente da ogni preoccupazione di trovare una qualche forma di tutela dei creditori in relazione al momento estintivo della società. Il creditore insoddisfatto – anteriore o posteriore alla cancellazione – potrebbe sempre citare in giudizio la società ed ottenere che siano i liquidatori a ricostruire il patrimonio sociale. Diversamente, l’adesione alla tesi dell’efficacia costitutiva della cancellazione pone il problema di trovare un’adeguata protezione dei creditori, che la dottrina tenta di risolvere suggerendo forme di reazione quali la possibilità di opporsi al bilancio finale di liquidazione e al piano di riparto (in analogia con quanto previsto per la riduzione del capitale dagli artt. 2306 e 2445 cod. civ.) o all’atto di cancellazione, nonché introducendo delle distinzioni che consentirebbero di limitare la portata del principio dell’efficacia estintiva definitiva (passività note o ignote). Se invece, soprattutto alla luce del nuovo inciso dell’art. 2495 cod. civ., l’estinzione va considerata come un fenomeno irreversibile, vi è un netto ridimensionamento della tutela dei creditori sociali, dal momento che l’azione prevista contro i liquidatori è subordinata all’esistenza di presupposti oggettivi e soggettivi, mentre quella contro i soci li vede comunque in concorso con i creditori personali degli stessi.

La cancellazione della società dal registro delle imprese comporta la sua "irreversibile" estinzione?

SEGA, DANIELA
2010

Abstract

Il contrasto giurisprudenzale determinatosi in merito alla questione se, in conseguenza della cancellazione della società dal registro delle imprese, la stessa sia o meno da considerarsi estinta, giustifica l’intervento sulla questione delle sezioni unite di Cassazione. La giurisprudenza sul punto è sempre stata divisa e ad oggi, nonostante la nuova formulazione dell’art. 2495 c.c., introdotta dall’art. 4 del d.lgs. n. 6/2003, non vi è ancora una posizione definitiva. L’indirizzo che da sempre prevale ritiene che l’atto formale di cancellazione della società non ne determini l’estinzione, qualora non siano esauriti tutti i rapporti giuridici che ad essa facevano capo e non siano state definite tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi: permane quindi la legittimazione processuale della società, rappresentata sostanzialmente e processualmente dai suoi organi. Un orientamento minoritario, invece, sostiene che la cancellazione produca l’effetto costitutivo dell’estinzione anche in presenza di rapporti non definiti, con la conseguente perdita della capacità processuale della società e il passaggio della sua rappresentanza legale in capo ai soci. Le incertezze sull’efficacia della cancellazione si giustificano con l’indiscutibile rilievo che assume la determinazione del momento oltre il quale non possono esistere situazioni attive o passive, sostanziali o processuali, imputabili alla società; determinazione che condiziona, in primis, l’identificazione dell’ambito di operatività delle azioni riconosciute ai creditori insoddisfatti verso soci e liquidatori. Il problema è ovviamente più delicato per le passività, dal momento che è necessario stabilire nei confronti di chi possano agire i creditori insoddisfatti, entro quanto tempo ed in quale modo. In effetti, la soluzione della «immortalità» della società, propugnata soprattutto dalla saldissima giurisprudenza della Cassazione, consentirebbe di prescindere completamente da ogni preoccupazione di trovare una qualche forma di tutela dei creditori in relazione al momento estintivo della società. Il creditore insoddisfatto – anteriore o posteriore alla cancellazione – potrebbe sempre citare in giudizio la società ed ottenere che siano i liquidatori a ricostruire il patrimonio sociale. Diversamente, l’adesione alla tesi dell’efficacia costitutiva della cancellazione pone il problema di trovare un’adeguata protezione dei creditori, che la dottrina tenta di risolvere suggerendo forme di reazione quali la possibilità di opporsi al bilancio finale di liquidazione e al piano di riparto (in analogia con quanto previsto per la riduzione del capitale dagli artt. 2306 e 2445 cod. civ.) o all’atto di cancellazione, nonché introducendo delle distinzioni che consentirebbero di limitare la portata del principio dell’efficacia estintiva definitiva (passività note o ignote). Se invece, soprattutto alla luce del nuovo inciso dell’art. 2495 cod. civ., l’estinzione va considerata come un fenomeno irreversibile, vi è un netto ridimensionamento della tutela dei creditori sociali, dal momento che l’azione prevista contro i liquidatori è subordinata all’esistenza di presupposti oggettivi e soggettivi, mentre quella contro i soci li vede comunque in concorso con i creditori personali degli stessi.
2010
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