In Italia esiste un'“anomalia” nel sistema delle fonti: sono di frequente adottati decreti ministeriali aventi contenuto normativo ma non la forma di regolamento. Queste fonti atipiche possono essere divise in due gruppi: il primo comprende i decreti a contenuto normativo previsti da leggi che non parlano di “regolamento” e non richiamano l'art. 17 l. 400/1988 (e adottati dal Ministro senza seguire la procedura di cui all'art. 17 l. 400/1988); il secondo comprende i decreti aventi contenuto normativo ma espressamente definiti “non regolamentari” dalla legge. Anche dopo la l. cost. 3/2001 (che nell'art. 117, co. 6, Cost. ripartisce tra gli enti territoriali la “potestà regolamentare” e, logicamente, intende riferirsi a tutte le fonti secondarie), i decreti ministeriali vanno qualificati con criteri sostanziali, per cui, se hanno contenuto generale, astratto ed innovativo, devono essere considerati normativi anche se privi della forma di regolamento (si tratta, appunto, di fonti secondarie “atipiche”). Ciò risulta dalla giurisprudenza costituzionale: l'esame di numerose sentenze adottate dopo il 2001 conferma che la Corte usa il criterio sostanziale nella qualificazione degli atti e tale orientamento risulta condivisibile perché consente di sottoporre l’atto regolativo ad un regime adeguato alla sua natura, mentre la soluzione opposta porterebbe alla creazione di uno strano e pericoloso “ibrido”, cioè di un atto che si rivolge all'esterno dell'amministrazione con forza prescrittiva ma senza le garanzie connesse al regime dei regolamenti. Anche l'esame della giurisprudenza amministrativa conferma l'uso dei criteri sostanziali per distinguere gli atti normativi dagli atti amministrativi generali dei ministri, per diversi scopi fra i quali accertare la violazione dell'art. 17 l. 400/1988, che, dunque, è stato considerato vincolante anche per i d.m. che non si chiamano regolamenti se non espressamente derogato dalla legge che prevede il d.m. in questione. Il secondo caso (i decreti aventi contenuto normativo ma espressamente definiti “non regolamentari” dalla legge) risulta più problematico perché qui il contenuto normativo si scontra non solo con la forma (non regolamentare) ma con l’”autoqualificazione” del legislatore. Il lavoro esamina la giurisprudenza costituzionale e i diversi possibili inquadramenti di questi decreti.

Considerazioni in tema di fonti statali secondarie atipiche

PADULA, CARLO
2010

Abstract

In Italia esiste un'“anomalia” nel sistema delle fonti: sono di frequente adottati decreti ministeriali aventi contenuto normativo ma non la forma di regolamento. Queste fonti atipiche possono essere divise in due gruppi: il primo comprende i decreti a contenuto normativo previsti da leggi che non parlano di “regolamento” e non richiamano l'art. 17 l. 400/1988 (e adottati dal Ministro senza seguire la procedura di cui all'art. 17 l. 400/1988); il secondo comprende i decreti aventi contenuto normativo ma espressamente definiti “non regolamentari” dalla legge. Anche dopo la l. cost. 3/2001 (che nell'art. 117, co. 6, Cost. ripartisce tra gli enti territoriali la “potestà regolamentare” e, logicamente, intende riferirsi a tutte le fonti secondarie), i decreti ministeriali vanno qualificati con criteri sostanziali, per cui, se hanno contenuto generale, astratto ed innovativo, devono essere considerati normativi anche se privi della forma di regolamento (si tratta, appunto, di fonti secondarie “atipiche”). Ciò risulta dalla giurisprudenza costituzionale: l'esame di numerose sentenze adottate dopo il 2001 conferma che la Corte usa il criterio sostanziale nella qualificazione degli atti e tale orientamento risulta condivisibile perché consente di sottoporre l’atto regolativo ad un regime adeguato alla sua natura, mentre la soluzione opposta porterebbe alla creazione di uno strano e pericoloso “ibrido”, cioè di un atto che si rivolge all'esterno dell'amministrazione con forza prescrittiva ma senza le garanzie connesse al regime dei regolamenti. Anche l'esame della giurisprudenza amministrativa conferma l'uso dei criteri sostanziali per distinguere gli atti normativi dagli atti amministrativi generali dei ministri, per diversi scopi fra i quali accertare la violazione dell'art. 17 l. 400/1988, che, dunque, è stato considerato vincolante anche per i d.m. che non si chiamano regolamenti se non espressamente derogato dalla legge che prevede il d.m. in questione. Il secondo caso (i decreti aventi contenuto normativo ma espressamente definiti “non regolamentari” dalla legge) risulta più problematico perché qui il contenuto normativo si scontra non solo con la forma (non regolamentare) ma con l’”autoqualificazione” del legislatore. Il lavoro esamina la giurisprudenza costituzionale e i diversi possibili inquadramenti di questi decreti.
2010
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