La configurazione dei settori (manifatturieri e non) è un tema centrale sia negli studi di economia industriale che in quelli a carattere manageriale. In estrema sintesi potremmo dire che sono due le aree di interesse principali: da un lato l’effetto della configurazione sulle scelte e sulle performance dell’impresa, dall’altro il cambiamento della configurazione strutturale del settore. La rilevanza di questo tema è cresciuta negli ultimi decenni in corrispondenza dell’intensificarsi di scelte di esternalizzazione che hanno portato le imprese a ri-posizionare i propri confini attorno alle attività che hanno maggior impatto sulla creazione e appropriazione del valore (Gereffi et al., 2005; Arndt e Kierzkowski, 2001; Feenstra, 1998). Si tratta di scelte che conseguentemente incidono sulla struttura del settore. Tali movimenti interessano la maggior parte dei settori industriali e salvo rare eccezioni anche i servizi. Nel tempo si è osservata una progressiva estensione delle scelte di esternalizzazione, fino ad interessare attività considerate core, e l’adozione di tipologie relazionali diverse, con un tendenziale avvicinamento a relazioni di mercato (Campagnolo e Costa, 2006). Le ragioni che stanno alla base della scelta di ridefinizione dei confini organizzativi sono classificabili in due macro-categorie: da una parte il recupero di efficienza, dall’altro l’accesso a risorse e competenze non disponibili o difficilmente ricreabili internamente. Le scelte di dis-integrazione (verticale) sono il risultato della strategia della singola impresa che trovano ulteriori ragion d’essere nelle proprie specificità. Ciononostante la letteratura non ha trascurato di indagare i fattori “al di sopra delle parti” che agendo a livello sistemico (di settore) possono influenzare la scelta individuale. Entrando nello specifico in letteratura sono stati segnalati due fattori principali: la globalizzazione (ovvero la progressiva apertura dei mercati nazionali dei fattori e dei prodotti finali e il conseguente incremento delle relazioni di scambio) e il cambiamento tecnologico (in primis lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Ad oggi tuttavia sono pochi i contributi basati su analisi quantitative che hanno proposto modelli di evoluzione dei settori industriali. Per lo più si tratta di lavori limitati al contesto industriale statunitense (Schilling e Steensma, 2001). Questo contributo approfondisce i fattori che spiegano le ragioni dell’emergere di configurazioni industriali flessibili nell’ambito del sistema manifatturiero italiano.
Forme organizzative modulari e contesto istituzionale: analisi sul sistema manifatturiero italiano
CAMPAGNOLO, DIEGO
2011
Abstract
La configurazione dei settori (manifatturieri e non) è un tema centrale sia negli studi di economia industriale che in quelli a carattere manageriale. In estrema sintesi potremmo dire che sono due le aree di interesse principali: da un lato l’effetto della configurazione sulle scelte e sulle performance dell’impresa, dall’altro il cambiamento della configurazione strutturale del settore. La rilevanza di questo tema è cresciuta negli ultimi decenni in corrispondenza dell’intensificarsi di scelte di esternalizzazione che hanno portato le imprese a ri-posizionare i propri confini attorno alle attività che hanno maggior impatto sulla creazione e appropriazione del valore (Gereffi et al., 2005; Arndt e Kierzkowski, 2001; Feenstra, 1998). Si tratta di scelte che conseguentemente incidono sulla struttura del settore. Tali movimenti interessano la maggior parte dei settori industriali e salvo rare eccezioni anche i servizi. Nel tempo si è osservata una progressiva estensione delle scelte di esternalizzazione, fino ad interessare attività considerate core, e l’adozione di tipologie relazionali diverse, con un tendenziale avvicinamento a relazioni di mercato (Campagnolo e Costa, 2006). Le ragioni che stanno alla base della scelta di ridefinizione dei confini organizzativi sono classificabili in due macro-categorie: da una parte il recupero di efficienza, dall’altro l’accesso a risorse e competenze non disponibili o difficilmente ricreabili internamente. Le scelte di dis-integrazione (verticale) sono il risultato della strategia della singola impresa che trovano ulteriori ragion d’essere nelle proprie specificità. Ciononostante la letteratura non ha trascurato di indagare i fattori “al di sopra delle parti” che agendo a livello sistemico (di settore) possono influenzare la scelta individuale. Entrando nello specifico in letteratura sono stati segnalati due fattori principali: la globalizzazione (ovvero la progressiva apertura dei mercati nazionali dei fattori e dei prodotti finali e il conseguente incremento delle relazioni di scambio) e il cambiamento tecnologico (in primis lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Ad oggi tuttavia sono pochi i contributi basati su analisi quantitative che hanno proposto modelli di evoluzione dei settori industriali. Per lo più si tratta di lavori limitati al contesto industriale statunitense (Schilling e Steensma, 2001). Questo contributo approfondisce i fattori che spiegano le ragioni dell’emergere di configurazioni industriali flessibili nell’ambito del sistema manifatturiero italiano.Pubblicazioni consigliate
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