In occasione del trentesimo anniversario dell’omicidio di Fulvio Croce in Torino, per mano delle Brigate Rosse, si è tenuto il convegno patavino i cui atti sono raccolti nel presente volume, e del quale la relazione introduttiva spiega il contenuto. Ripercorrendo infatti per sommità il dipanarsi della vicenda del primo processo al nucleo storico delle Brigate Rosse, culminata con l’omicidio del difensore d’ufficio degli imputati, quale gesto estremo di rottura e di rifiuto della giurisdizione, la vicenda ha poi visto il proprio naturale epilogo, vale a dire quello di un’articolata sentenza di condanna, in ragione della scelta dei difensori d’ufficio successivamente nominati – e parimenti rifiutati – di circoscrivere il proprio ruolo ad un mero controllo di legalità esterna dello svolgersi del processo, aprendo uno spazio nuovo e francamente senza precedenti all’autodifesa degli imputati. Sul versante processuale sono state analizzate nello specifico le soggettività del pubblico ministero e del difensore nel contesto di un processo di terrorismo, in particolare alla luce della legislazione premiale per la dissociazione e la collaborazione processuale, che certamente ha modificato in modo significativo il rapporto triadico tra imputato, accusa e difesa, a favore di una relazione strumentale e collaborativa tra pubblico ministero ed imputato, con significativo detrimento del ministero difensivo. Sul versante teoretico, le specifiche drammatiche insidie della vicenda processuale ricordata hanno consentito di richiamare con specifica compiutezza la centralità del processo nell’esperienza giuridica, quale luogo di autentica conversione dei conflitti.
Relazione introduttiva
BERARDI, ALBERTO;
2009
Abstract
In occasione del trentesimo anniversario dell’omicidio di Fulvio Croce in Torino, per mano delle Brigate Rosse, si è tenuto il convegno patavino i cui atti sono raccolti nel presente volume, e del quale la relazione introduttiva spiega il contenuto. Ripercorrendo infatti per sommità il dipanarsi della vicenda del primo processo al nucleo storico delle Brigate Rosse, culminata con l’omicidio del difensore d’ufficio degli imputati, quale gesto estremo di rottura e di rifiuto della giurisdizione, la vicenda ha poi visto il proprio naturale epilogo, vale a dire quello di un’articolata sentenza di condanna, in ragione della scelta dei difensori d’ufficio successivamente nominati – e parimenti rifiutati – di circoscrivere il proprio ruolo ad un mero controllo di legalità esterna dello svolgersi del processo, aprendo uno spazio nuovo e francamente senza precedenti all’autodifesa degli imputati. Sul versante processuale sono state analizzate nello specifico le soggettività del pubblico ministero e del difensore nel contesto di un processo di terrorismo, in particolare alla luce della legislazione premiale per la dissociazione e la collaborazione processuale, che certamente ha modificato in modo significativo il rapporto triadico tra imputato, accusa e difesa, a favore di una relazione strumentale e collaborativa tra pubblico ministero ed imputato, con significativo detrimento del ministero difensivo. Sul versante teoretico, le specifiche drammatiche insidie della vicenda processuale ricordata hanno consentito di richiamare con specifica compiutezza la centralità del processo nell’esperienza giuridica, quale luogo di autentica conversione dei conflitti.Pubblicazioni consigliate
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