Partendo da una ricostruzione storica della libertà economica, come pretesa dei privati alla non ingerenza del potere politico nei rapporti di produzione e di scambio, si ripercorrono le vicende che hanno condotto all’attuale formulazione dell’art. 41 Cost. Si tratta di una disposizione assai discussa in sede costituente per la sua forte carica ideologica e spesso criticata per il suo carattere compromissorio. Secondo una diffusa opinione, all’origine del problema vi sarebbe l’antitesi, mai del tutto risolta, tra le principali componenti dell’Assemblea: quella liberale, quella socialista e quella cristiano-sociale. Nell’impossibilità di trovare un accordo sulle linee di fondo del sistema economico, i Costituenti avrebbero deciso di adottare una formula dal contenuto particolarmente generico che, rinviando la scelta a un futuro più o meno lontano, riuscisse a ottenere un ampio consenso. L’apparente ambiguità dell’art. 41 Cost. ha dato luogo, soprattutto in passato, a numerose controversie interpretative, che possono riassumersi intorno a tre fondamentali nuclei problematici. Il primo riguarda la struttura interna della norma e, in particolare, la tendenziale inconciliabilità tra l’iniziale affermazione di libertà (co. 1) e le successive disposizioni limitative (co. 2 e 3). Il secondo riguarda il significato da attribuire a termini quali «utilità sociale» e «fini sociali», stante la loro indeterminatezza che finisce per lasciare ampio spazio alle scelte legislative. Il terzo riguarda la posizione costituzionale dell’articolo: se si tratti cioè di una norma che mira a garantire unicamente la libertà di iniziativa economica privata oppure di una norma generale sull’attività economica a cui si riconnettono le discipline speciali contenute in altre disposizioni della Carta. Un’attenta analisi della dottrina e della giurisprudenza sull’argomento porta a concludere che nonostante la particolare flessibilità dell’art. 41, derivante dalla sua struttura aperta e dal carattere polivalente dei suoi enunciati, sia possibile fissare alcuni punti fermi. Sul piano individuale (relativo sia ai rapporti verticali tra cittadino e Stato, sia a quelli orizzontali tra cittadini) si ritiene che il legislatore possa comprimere anche in misura significativa l’iniziativa economica privata, a condizione di lasciare all’operatore una ragionevole libertà di scelta sull’attività da esercitare e sui modi di esercitarla. Sul piano generale (relativo al complessivo assetto del sistema economico) si è detto che tale disposizione delinea un sistema di “economia mista” – caratterizzato dalla necessaria compresenza di pubblico e privato – definendolo non già in positivo, ma in negativo: essa consente infatti di identificare i sistemi economici sicuramente incompatibili con la Costituzione, consistenti nei due estremi del liberalismo puro e del collettivismo integrale, lasciando posto, fra l’uno e l’altro, a una vasta gamma di combinazioni. Negli ultimi anni la notevole elasticità di questa disposizione si è dimostrata uno dei suoi maggiori punti di forza, permettendo di farvi filtrare contenuti nuovi e diversi rispetto a quelli originari senza bisogno di modifiche formali. Attraverso un’interpretazione evolutiva dell’art. 41 si è riusciti infatti a ricondurre alle sue formule – non senza qualche incertezza – i principi della concorrenza, del mercato e della tutela dei consumatori provenienti dal diritto europeo e recepiti dalla legislazione ordinaria.
Articolo 41 della Costituzione
GIAMPIERETTI, MARCO
2008
Abstract
Partendo da una ricostruzione storica della libertà economica, come pretesa dei privati alla non ingerenza del potere politico nei rapporti di produzione e di scambio, si ripercorrono le vicende che hanno condotto all’attuale formulazione dell’art. 41 Cost. Si tratta di una disposizione assai discussa in sede costituente per la sua forte carica ideologica e spesso criticata per il suo carattere compromissorio. Secondo una diffusa opinione, all’origine del problema vi sarebbe l’antitesi, mai del tutto risolta, tra le principali componenti dell’Assemblea: quella liberale, quella socialista e quella cristiano-sociale. Nell’impossibilità di trovare un accordo sulle linee di fondo del sistema economico, i Costituenti avrebbero deciso di adottare una formula dal contenuto particolarmente generico che, rinviando la scelta a un futuro più o meno lontano, riuscisse a ottenere un ampio consenso. L’apparente ambiguità dell’art. 41 Cost. ha dato luogo, soprattutto in passato, a numerose controversie interpretative, che possono riassumersi intorno a tre fondamentali nuclei problematici. Il primo riguarda la struttura interna della norma e, in particolare, la tendenziale inconciliabilità tra l’iniziale affermazione di libertà (co. 1) e le successive disposizioni limitative (co. 2 e 3). Il secondo riguarda il significato da attribuire a termini quali «utilità sociale» e «fini sociali», stante la loro indeterminatezza che finisce per lasciare ampio spazio alle scelte legislative. Il terzo riguarda la posizione costituzionale dell’articolo: se si tratti cioè di una norma che mira a garantire unicamente la libertà di iniziativa economica privata oppure di una norma generale sull’attività economica a cui si riconnettono le discipline speciali contenute in altre disposizioni della Carta. Un’attenta analisi della dottrina e della giurisprudenza sull’argomento porta a concludere che nonostante la particolare flessibilità dell’art. 41, derivante dalla sua struttura aperta e dal carattere polivalente dei suoi enunciati, sia possibile fissare alcuni punti fermi. Sul piano individuale (relativo sia ai rapporti verticali tra cittadino e Stato, sia a quelli orizzontali tra cittadini) si ritiene che il legislatore possa comprimere anche in misura significativa l’iniziativa economica privata, a condizione di lasciare all’operatore una ragionevole libertà di scelta sull’attività da esercitare e sui modi di esercitarla. Sul piano generale (relativo al complessivo assetto del sistema economico) si è detto che tale disposizione delinea un sistema di “economia mista” – caratterizzato dalla necessaria compresenza di pubblico e privato – definendolo non già in positivo, ma in negativo: essa consente infatti di identificare i sistemi economici sicuramente incompatibili con la Costituzione, consistenti nei due estremi del liberalismo puro e del collettivismo integrale, lasciando posto, fra l’uno e l’altro, a una vasta gamma di combinazioni. Negli ultimi anni la notevole elasticità di questa disposizione si è dimostrata uno dei suoi maggiori punti di forza, permettendo di farvi filtrare contenuti nuovi e diversi rispetto a quelli originari senza bisogno di modifiche formali. Attraverso un’interpretazione evolutiva dell’art. 41 si è riusciti infatti a ricondurre alle sue formule – non senza qualche incertezza – i principi della concorrenza, del mercato e della tutela dei consumatori provenienti dal diritto europeo e recepiti dalla legislazione ordinaria.Pubblicazioni consigliate
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