Il tema della distruzione/conservazione dei monumenti è stato oggetto, durante la prima guerra mondiale, di una decisa e consapevole strumentalizzazione ad opera di tutte le parti in causa, sia pur con declinazioni geograficamente e culturalmente diversificate. In Italia, in particolare, il fenomeno non s’è dato come affondo unitario, ma – forse anche per la gestione policentrica della propaganda nostrana – ha presentato notevoli oscillazioni critiche, ideologiche e opportunistiche. Nella concertazione suasoria legata alle necessità della tutela, larga parte ha avuto il lavoro del sottoufficiale Ugo Ojetti, giornalista di professione, specificamente addetto a mediare i rapporti fra comandi militari, Ministero della pubblica istruzione ed organi ad esso connessi. La sua natura di poligrafo – continuamente tentata dalle malie del contributo politico o, quanto meno, gestionale – trova nell’occasione bellica un insostituibile crogiuolo, ove attitudini diverse fondono l’una nell’altra. Da Udine (dov’è il Comando Supremo), coordina direttamente la difesa di edifici e raccolte d’arte e storia delle terre conquistate, poiché nelle aree operative e nelle retrovie l’opzione militare dominante il territorio – e con esso il patrimonio – gli fornisce notevole autonomia. Durante quest’esperienza pratica contemporaneamente geografie e contesti socio-culturali assai diversi: città, campagne, aree archeologiche pubbliche e patrimoni privati, case popolari e palazzi nobiliari, paesani, sacerdoti, generali e soldati. Come emerge dalla corrispondenza, ha il compito di effettuare sopralluoghi nelle zone vicine al fronte e nei territori occupati, di verificare la presenza di oggetti d’arte ed eventualmente organizzarne la schedatura o l’asportazione cautelativa, avviando, allo stesso tempo, il controllo dei danni su opere, strutture museali, archivistiche e didattiche: in alcuni casi si limita a prender nota di ciò che vede; in altri sarà personalmente incaricato di avviare restauri o di scortare oltre Appennino le casse di oggetti tolti dalle sedi originarie. Dopo lo shock della Strafexpedition prepara il piano di sgombero per l’intero nord-Italia: nell’inverno ’16-’17 parteciperà personalmente alle rimozioni dalla provincia di Udine, occupandosi con particolare attenzione e lungimiranza di libri e archivi. Gli spetta anche di promuovere la revisione dell’organico nei musei, come accade ad Aquileia già nell’estate 1915; deve poi coordinare le forze civili e militari, in caso di rinvenimenti archeologici fortuiti: a Cervignano, sempre nel ’15, impiantando i pali di sostegno d’una baracca per il “Parco automobilistico della 3° Armata”, salta fuori un pavimento a mosaico. Ancora si occuperà di stilare un promemoria sugli oggetti d’arte, in vista dell’invasione di Gorizia. Ben presto – certo influenzato dal direttore del “Corriere”, Luigi Albertini – inizia ad affiancare l’azione per la tutela alla riflessione sulle necessità di organizzare e diffondere informazioni mirate. Nel novembre 1915, prefigura “quel che dovrebbe essere l’Ufficio Stampa” ai vertici dell’organizzazione militare, allo scopo di promuovere sia l’immagine di Cadorna che l’estetica – tecnica, logistica e persino naturalistica – della guerra stessa. Nei primi mesi del 1916 teorizzerà la propaganda attraverso cinema, giornali e fotografia, parallelamente progettando la collana di album Treves, intitolati La Guerra e in larga parte dedicati alle terre irredente o appena riconquistate. Insomma, oltre alla conservazione, guarda alla coniazione e distribuzione a livello nazionale e internazionale di “informazioni”, varie per contenuto e mordente. Una contiguità d’impegni che si fa presto contaminazione, al punto che ne esce un tipo di comunicazione bifronte, dove opere d’arte e necessità politiche profittano/soffrono dei medesimi vettori e codici diffusivi.

Note sull'attività udinese di Ugo Ojetti: 1915-1918

NEZZO, MARTA
2008

Abstract

Il tema della distruzione/conservazione dei monumenti è stato oggetto, durante la prima guerra mondiale, di una decisa e consapevole strumentalizzazione ad opera di tutte le parti in causa, sia pur con declinazioni geograficamente e culturalmente diversificate. In Italia, in particolare, il fenomeno non s’è dato come affondo unitario, ma – forse anche per la gestione policentrica della propaganda nostrana – ha presentato notevoli oscillazioni critiche, ideologiche e opportunistiche. Nella concertazione suasoria legata alle necessità della tutela, larga parte ha avuto il lavoro del sottoufficiale Ugo Ojetti, giornalista di professione, specificamente addetto a mediare i rapporti fra comandi militari, Ministero della pubblica istruzione ed organi ad esso connessi. La sua natura di poligrafo – continuamente tentata dalle malie del contributo politico o, quanto meno, gestionale – trova nell’occasione bellica un insostituibile crogiuolo, ove attitudini diverse fondono l’una nell’altra. Da Udine (dov’è il Comando Supremo), coordina direttamente la difesa di edifici e raccolte d’arte e storia delle terre conquistate, poiché nelle aree operative e nelle retrovie l’opzione militare dominante il territorio – e con esso il patrimonio – gli fornisce notevole autonomia. Durante quest’esperienza pratica contemporaneamente geografie e contesti socio-culturali assai diversi: città, campagne, aree archeologiche pubbliche e patrimoni privati, case popolari e palazzi nobiliari, paesani, sacerdoti, generali e soldati. Come emerge dalla corrispondenza, ha il compito di effettuare sopralluoghi nelle zone vicine al fronte e nei territori occupati, di verificare la presenza di oggetti d’arte ed eventualmente organizzarne la schedatura o l’asportazione cautelativa, avviando, allo stesso tempo, il controllo dei danni su opere, strutture museali, archivistiche e didattiche: in alcuni casi si limita a prender nota di ciò che vede; in altri sarà personalmente incaricato di avviare restauri o di scortare oltre Appennino le casse di oggetti tolti dalle sedi originarie. Dopo lo shock della Strafexpedition prepara il piano di sgombero per l’intero nord-Italia: nell’inverno ’16-’17 parteciperà personalmente alle rimozioni dalla provincia di Udine, occupandosi con particolare attenzione e lungimiranza di libri e archivi. Gli spetta anche di promuovere la revisione dell’organico nei musei, come accade ad Aquileia già nell’estate 1915; deve poi coordinare le forze civili e militari, in caso di rinvenimenti archeologici fortuiti: a Cervignano, sempre nel ’15, impiantando i pali di sostegno d’una baracca per il “Parco automobilistico della 3° Armata”, salta fuori un pavimento a mosaico. Ancora si occuperà di stilare un promemoria sugli oggetti d’arte, in vista dell’invasione di Gorizia. Ben presto – certo influenzato dal direttore del “Corriere”, Luigi Albertini – inizia ad affiancare l’azione per la tutela alla riflessione sulle necessità di organizzare e diffondere informazioni mirate. Nel novembre 1915, prefigura “quel che dovrebbe essere l’Ufficio Stampa” ai vertici dell’organizzazione militare, allo scopo di promuovere sia l’immagine di Cadorna che l’estetica – tecnica, logistica e persino naturalistica – della guerra stessa. Nei primi mesi del 1916 teorizzerà la propaganda attraverso cinema, giornali e fotografia, parallelamente progettando la collana di album Treves, intitolati La Guerra e in larga parte dedicati alle terre irredente o appena riconquistate. Insomma, oltre alla conservazione, guarda alla coniazione e distribuzione a livello nazionale e internazionale di “informazioni”, varie per contenuto e mordente. Una contiguità d’impegni che si fa presto contaminazione, al punto che ne esce un tipo di comunicazione bifronte, dove opere d’arte e necessità politiche profittano/soffrono dei medesimi vettori e codici diffusivi.
2008
Conservazione e tutela dei beni culturali in una terra di frontiera: il Friuli Venezia Giulia fra Regno d'Italia e Impero Asburgico (1850-1918)
Conservazione e tutela dei beni culturali in una terra di frontiera: il Friuli Venezia Giulia fra Regno d'Italia e Impero Asburgico (1850-1918)
9788889846599
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