La governance si presenta per il fine di legittimazione della democrazia come un punto di arrivo ad un tempo necessario ed impossibile. A differenza di altre forme di regolazione politica generate sui presupposti dell’individualismo moderno, la democrazia richiede che si rinnovi continuamente la sostituzione legittimante del sé privato con il soggetto pubblico: il riconoscimento legittimante del cittadino democratico deve potersi sempre replicare come autoriconoscimento, che riconduce il contenuto del comando politico alla propria stessa identità. Il processo democratico, appunto in quanto rappresentativo, è per questo necessariamente anche contraddittorio: esige infatti che si celebri la finzione in virtù della quale ai cittadini concreti si sostituisce la loro astratta rappresentazione pubblica, ma nel contempo pretende però che i cittadini neghino questa sostituzione identificando la propria soggettività autentica con l’immagine astratta di sé che si produce attraverso il meccanismo formale del voto. In questo modo ambiguo e contraddittorio la governance risulta già da sempre presente nei destini di un regime politico democratico, dal momento che la democrazia individualista moderna si trova comunque nella necessità di dare risposta ad una domanda di partecipazione che essa medesima ha reso ineludibile. Spostando il punto focale della politica dall’interrogativo su chi comanda alla domanda «che senso ha ciò che è comandato per noi?», le pratiche di partecipazione possono aprirsi a una dimensione concretamente politica, nel diverso senso indicato già da Arendt come «agire di concerto». Il rischio maggiore da cui debbono rifuggire i “partecipanti” è quello di concorrere a realizzare ciò che Rancière ha chiamato «l’ideale di una corrispondenza tra Stato gestionale e Stato di diritto».
Governance e legittimazione. Sulla pubblica utilità del privato
FIASCHI, GIOVANNI
2008
Abstract
La governance si presenta per il fine di legittimazione della democrazia come un punto di arrivo ad un tempo necessario ed impossibile. A differenza di altre forme di regolazione politica generate sui presupposti dell’individualismo moderno, la democrazia richiede che si rinnovi continuamente la sostituzione legittimante del sé privato con il soggetto pubblico: il riconoscimento legittimante del cittadino democratico deve potersi sempre replicare come autoriconoscimento, che riconduce il contenuto del comando politico alla propria stessa identità. Il processo democratico, appunto in quanto rappresentativo, è per questo necessariamente anche contraddittorio: esige infatti che si celebri la finzione in virtù della quale ai cittadini concreti si sostituisce la loro astratta rappresentazione pubblica, ma nel contempo pretende però che i cittadini neghino questa sostituzione identificando la propria soggettività autentica con l’immagine astratta di sé che si produce attraverso il meccanismo formale del voto. In questo modo ambiguo e contraddittorio la governance risulta già da sempre presente nei destini di un regime politico democratico, dal momento che la democrazia individualista moderna si trova comunque nella necessità di dare risposta ad una domanda di partecipazione che essa medesima ha reso ineludibile. Spostando il punto focale della politica dall’interrogativo su chi comanda alla domanda «che senso ha ciò che è comandato per noi?», le pratiche di partecipazione possono aprirsi a una dimensione concretamente politica, nel diverso senso indicato già da Arendt come «agire di concerto». Il rischio maggiore da cui debbono rifuggire i “partecipanti” è quello di concorrere a realizzare ciò che Rancière ha chiamato «l’ideale di una corrispondenza tra Stato gestionale e Stato di diritto».Pubblicazioni consigliate
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