Uno dei problemi posti dai libri liturgico-musicali a stampa riguarda il significato ritmico delle note e i criteri che ne guidavano l’esecuzione. Per chiarire la questione risultano di fondamentale importanza le informazioni offerte dai teorici, per quanto non sistematiche, ancora meno univoche e generalmente estranee a esigenze di natura metodologica. Le informazioni raccolte da una cinquantina di trattati che datano dalla fine del sec. XV al 1698 finiscono per delineare due interpretazioni ritmiche del canto piano: una orientata a vincolare il canto piano al principio del tempo unico e indivisibile, l’altra favorevole a fissare il valore ritmico secondo precisi rapporti di durata. In realtà, già la riflessione dei teorici del Cinquecento (Tinctoris, Cannuzi, Rossetto, Lanfranco, Zarlino) intesa ad affermare il concetto di tempo intero e indivisibile finisce per tradursi il più delle volte nel tentativo di piegare quel principio alle strutture temporali di tipo binario che sembrano meglio garantire un ritmo regolare e stabile. Questa tendenza si accentua e viene resa più esplicita dalla trattistica del periodo barocco (Cerone, Caposele, Picerli, Dionigi, Sacchi, Erculeo) che, pur attraverso un accentuato eclettismo e un lessico derivato dalla “musica mensurata”, guida l’interpretazione ritmica del canto piano verso le successioni regolari e ripetitive della battuta.
Aspetti ritmici del canto piano
LOVATO, ANTONIO
1999
Abstract
Uno dei problemi posti dai libri liturgico-musicali a stampa riguarda il significato ritmico delle note e i criteri che ne guidavano l’esecuzione. Per chiarire la questione risultano di fondamentale importanza le informazioni offerte dai teorici, per quanto non sistematiche, ancora meno univoche e generalmente estranee a esigenze di natura metodologica. Le informazioni raccolte da una cinquantina di trattati che datano dalla fine del sec. XV al 1698 finiscono per delineare due interpretazioni ritmiche del canto piano: una orientata a vincolare il canto piano al principio del tempo unico e indivisibile, l’altra favorevole a fissare il valore ritmico secondo precisi rapporti di durata. In realtà, già la riflessione dei teorici del Cinquecento (Tinctoris, Cannuzi, Rossetto, Lanfranco, Zarlino) intesa ad affermare il concetto di tempo intero e indivisibile finisce per tradursi il più delle volte nel tentativo di piegare quel principio alle strutture temporali di tipo binario che sembrano meglio garantire un ritmo regolare e stabile. Questa tendenza si accentua e viene resa più esplicita dalla trattistica del periodo barocco (Cerone, Caposele, Picerli, Dionigi, Sacchi, Erculeo) che, pur attraverso un accentuato eclettismo e un lessico derivato dalla “musica mensurata”, guida l’interpretazione ritmica del canto piano verso le successioni regolari e ripetitive della battuta.File | Dimensione | Formato | |
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