L’art. 47 Cost., nonostante la posizione apparentemente marginale nel testo costituzionale e la particolare concisione delle sue formule, contiene un principio cardine della “costituzione economica”: esso disciplina sia il risparmio che, correlato al credito, entra a far parte della liquidità monetaria, sia il risparmio che non rifluisce nella liquidità (il risparmio «in tutte le sue forme») (co. 1), del quale vengono poi favorite alcune particolari destinazioni, considerate socialmente rilevanti (co. 2). La «tutela del risparmio» di cui al co. 1 consiste innanzitutto nella difesa del valore della moneta nel rapporto dinamico risparmio-credito. Si tratta di una funzione centrale nel sistema costituzionale, sia perché la moneta – insieme alla valuta e alla finanza pubblica – è uno dei fattori dell’equilibrio economico, espressamente costituzionalizzato, sia perché la stabilità monetaria rappresenta il presupposto essenziale per l’applicazione di altre disposizioni costituzionali (es. artt. 36, 41, 53, 81). La norma, così intesa, trova conferma anche nel diritto comunitario: il mantenimento della stabilità dei prezzi costituisce infatti l’obiettivo principale della politica monetaria europea, nella convinzione che un’inflazione bassa e stabile sia una condizione necessaria – anche se non sufficiente – per garantire una crescita economica sostenibile. Sul piano soggettivo, la tutela del risparmio viene a coincidere con la tutela del “risparmiatore”, inteso come consumatore di prodotti e servizi bancari, finanziari e assicurativi, fornendo una specifica copertura costituzionale alla regolamentazione di tali mercati nella misura in cui essa tenda a difendere la posizione del “contraente debole”. Stabilendo che la Repubblica «disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito», il co. 1 rappresenta, al tempo stesso, la norma fondamentale dell’ordinamento creditizio. Se è vero che esso costituzionalizza il principio del controllo pubblico del credito, legittimando il precedente oligopolio amministrato degli istituti bancari, è anche vero che esso consente diverse soluzioni organizzative, essendo indifferente rispetto alla composizione – pubblica, privata o mista – del settore. Ne deriva che la recente privatizzazione degli istituti di credito non può considerarsi di per sé illegittima, ferma restando, in ogni caso, la possibilità di una loro nazionalizzazione ex art. 43 qualora ne ricorrano i presupposti. Negli ultimi anni la struttura di vertice del sistema creditizio nazionale è stata profondamente modificata, soprattutto a causa del trasferimento della sovranità monetaria a livello comunitario conseguente all’istituzione della moneta unica europea. Con la nascita dell’Unione economica e monetaria (UEM) l’1 gennaio 1999 e l’introduzione della moneta unica europea dall’1 gennaio 2002 la funzione monetaria – emissione della moneta e governo della liquidità – è stata infatti sottratta alle banche centrali degli Stati membri e trasferita a un complesso organizzativo sovranazionale: il Sistema europeo di banche centrali (SEBC), composto dalla Banca centrale europea (BCE) e dalle Banche centrali nazionali (BCN). Si è realizzata in questo modo la definitiva rinuncia dello Stato italiano al potere di controllo sulla propria moneta – che costituisce una delle più tipiche manifestazioni della sovranità – e il suo conferimento a un livello ordinamentale superiore di tipo sostanzialmente “federale”. La norma contenuta al co. 2 indica un particolare favor costituzionale per l’utilizzazione del risparmio al fine di acquisire la titolarità di alcuni beni (abitazione, proprietà diretta coltivatrice e investimento azionario, sia diretto sia indiretto, nei grandi complessi produttivi del Paese). La parte relativa all’azionariato popolare è stata a lungo trascurata dal legislatore e ha suscitato scarso interesse da parte della dottrina e della giurisprudenza. Essa ha iniziato a ricevere qualche applicazione solo in tempi recenti, per effetto, da un lato, della disciplina dei servizi di gestione collettiva del risparmio e, dall’altro, delle disposizioni tendenti a realizzare il modello della public company nella privatizzazione delle grandi imprese pubbliche, e appare destinata ad acquisire sempre maggiore rilievo. In un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza l’accesso del risparmio popolare al capitale azionario delle imprese rappresenta infatti una delle principali forme di partecipazione dei cittadini all’organizzazione economica del Paese (art. 3 co. 2) e, dunque, un fondamentale strumento di “democrazia economica”.

Articolo 47 della Costituzione

GIAMPIERETTI, MARCO
2008

Abstract

L’art. 47 Cost., nonostante la posizione apparentemente marginale nel testo costituzionale e la particolare concisione delle sue formule, contiene un principio cardine della “costituzione economica”: esso disciplina sia il risparmio che, correlato al credito, entra a far parte della liquidità monetaria, sia il risparmio che non rifluisce nella liquidità (il risparmio «in tutte le sue forme») (co. 1), del quale vengono poi favorite alcune particolari destinazioni, considerate socialmente rilevanti (co. 2). La «tutela del risparmio» di cui al co. 1 consiste innanzitutto nella difesa del valore della moneta nel rapporto dinamico risparmio-credito. Si tratta di una funzione centrale nel sistema costituzionale, sia perché la moneta – insieme alla valuta e alla finanza pubblica – è uno dei fattori dell’equilibrio economico, espressamente costituzionalizzato, sia perché la stabilità monetaria rappresenta il presupposto essenziale per l’applicazione di altre disposizioni costituzionali (es. artt. 36, 41, 53, 81). La norma, così intesa, trova conferma anche nel diritto comunitario: il mantenimento della stabilità dei prezzi costituisce infatti l’obiettivo principale della politica monetaria europea, nella convinzione che un’inflazione bassa e stabile sia una condizione necessaria – anche se non sufficiente – per garantire una crescita economica sostenibile. Sul piano soggettivo, la tutela del risparmio viene a coincidere con la tutela del “risparmiatore”, inteso come consumatore di prodotti e servizi bancari, finanziari e assicurativi, fornendo una specifica copertura costituzionale alla regolamentazione di tali mercati nella misura in cui essa tenda a difendere la posizione del “contraente debole”. Stabilendo che la Repubblica «disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito», il co. 1 rappresenta, al tempo stesso, la norma fondamentale dell’ordinamento creditizio. Se è vero che esso costituzionalizza il principio del controllo pubblico del credito, legittimando il precedente oligopolio amministrato degli istituti bancari, è anche vero che esso consente diverse soluzioni organizzative, essendo indifferente rispetto alla composizione – pubblica, privata o mista – del settore. Ne deriva che la recente privatizzazione degli istituti di credito non può considerarsi di per sé illegittima, ferma restando, in ogni caso, la possibilità di una loro nazionalizzazione ex art. 43 qualora ne ricorrano i presupposti. Negli ultimi anni la struttura di vertice del sistema creditizio nazionale è stata profondamente modificata, soprattutto a causa del trasferimento della sovranità monetaria a livello comunitario conseguente all’istituzione della moneta unica europea. Con la nascita dell’Unione economica e monetaria (UEM) l’1 gennaio 1999 e l’introduzione della moneta unica europea dall’1 gennaio 2002 la funzione monetaria – emissione della moneta e governo della liquidità – è stata infatti sottratta alle banche centrali degli Stati membri e trasferita a un complesso organizzativo sovranazionale: il Sistema europeo di banche centrali (SEBC), composto dalla Banca centrale europea (BCE) e dalle Banche centrali nazionali (BCN). Si è realizzata in questo modo la definitiva rinuncia dello Stato italiano al potere di controllo sulla propria moneta – che costituisce una delle più tipiche manifestazioni della sovranità – e il suo conferimento a un livello ordinamentale superiore di tipo sostanzialmente “federale”. La norma contenuta al co. 2 indica un particolare favor costituzionale per l’utilizzazione del risparmio al fine di acquisire la titolarità di alcuni beni (abitazione, proprietà diretta coltivatrice e investimento azionario, sia diretto sia indiretto, nei grandi complessi produttivi del Paese). La parte relativa all’azionariato popolare è stata a lungo trascurata dal legislatore e ha suscitato scarso interesse da parte della dottrina e della giurisprudenza. Essa ha iniziato a ricevere qualche applicazione solo in tempi recenti, per effetto, da un lato, della disciplina dei servizi di gestione collettiva del risparmio e, dall’altro, delle disposizioni tendenti a realizzare il modello della public company nella privatizzazione delle grandi imprese pubbliche, e appare destinata ad acquisire sempre maggiore rilievo. In un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza l’accesso del risparmio popolare al capitale azionario delle imprese rappresenta infatti una delle principali forme di partecipazione dei cittadini all’organizzazione economica del Paese (art. 3 co. 2) e, dunque, un fondamentale strumento di “democrazia economica”.
2008
Commentario breve alla Costituzione
9788813288204
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