Il d.lgs. n. 155/06 (“Disciplina dell’impresa sociale”) è certamente in linea con la tendenza legislativa ad introdurre discipline speciali che derogano ai principi codicistici in materia di esercizio dell’attività di impresa, in virtù del necessario adeguamento alla rapida evoluzione della realtà economica. Questo decreto, come ogni provvedimento, presenta luci ed ombre. La possibilità di utilizzo dell’impresa anche da parte di associazioni e quindi l’opportunità anche per il settore non profit di svolgere, a determinate condizioni, attività economiche, il consentire il formale ingresso delle società lucrative nel mondo del “sociale”, a condizione però che osservino alcune tipicità che lo caratterizzano, vanno considerate opportunità penalizzate dall’evidente incertezza interpretativa da attribuirsi a norme tecnicamente imprecise, che renderà difficile il coordinamento tra diritto comune e legislazione speciale. Il legislatore ha voluto consentire che l’impresa sociale venga esercitata utilizzando forme giuridiche quali società di capitali, cooperative ed enti personificati - solitamente caratterizzate dallo scopo lucrativo – per perseguire finalità di interesse generale e ha dato l’opportunità alle società di persone e agli enti non personificati - esercitanti l’impresa sociale - di avvalersi del regime di autonomia patrimoniale perfetta. Non essendovi stata la previsione di un “nuovo” ente, creato ad hoc, ne consegue che, purché l’attività economica organizzata abbia ad oggetto, in via stabile e principale, la produzione e lo scambio di beni o servizi di utilità sociale, tutte le organizzazioni private, comprese le società, possono essere titolari di impresa sociale. Ciò comporta inevitabili problemi di coordinamento e di compatibilità tra le norme civilistiche che regolano le varie tipologie organizzative e le deroghe indiscutibilmente contenute nella disciplina speciale dell’impresa sociale.
Impresa sociale: prime riflessioni del giuscommercialista.
SEGA, DANIELA;MASCHIO, ELIANA
2007
Abstract
Il d.lgs. n. 155/06 (“Disciplina dell’impresa sociale”) è certamente in linea con la tendenza legislativa ad introdurre discipline speciali che derogano ai principi codicistici in materia di esercizio dell’attività di impresa, in virtù del necessario adeguamento alla rapida evoluzione della realtà economica. Questo decreto, come ogni provvedimento, presenta luci ed ombre. La possibilità di utilizzo dell’impresa anche da parte di associazioni e quindi l’opportunità anche per il settore non profit di svolgere, a determinate condizioni, attività economiche, il consentire il formale ingresso delle società lucrative nel mondo del “sociale”, a condizione però che osservino alcune tipicità che lo caratterizzano, vanno considerate opportunità penalizzate dall’evidente incertezza interpretativa da attribuirsi a norme tecnicamente imprecise, che renderà difficile il coordinamento tra diritto comune e legislazione speciale. Il legislatore ha voluto consentire che l’impresa sociale venga esercitata utilizzando forme giuridiche quali società di capitali, cooperative ed enti personificati - solitamente caratterizzate dallo scopo lucrativo – per perseguire finalità di interesse generale e ha dato l’opportunità alle società di persone e agli enti non personificati - esercitanti l’impresa sociale - di avvalersi del regime di autonomia patrimoniale perfetta. Non essendovi stata la previsione di un “nuovo” ente, creato ad hoc, ne consegue che, purché l’attività economica organizzata abbia ad oggetto, in via stabile e principale, la produzione e lo scambio di beni o servizi di utilità sociale, tutte le organizzazioni private, comprese le società, possono essere titolari di impresa sociale. Ciò comporta inevitabili problemi di coordinamento e di compatibilità tra le norme civilistiche che regolano le varie tipologie organizzative e le deroghe indiscutibilmente contenute nella disciplina speciale dell’impresa sociale.Pubblicazioni consigliate
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