Affrontare il problema della partecipazione nei procedimenti di tutela del patrimonio culturale apre a riflessioni delicate sulla concezione del relativo potere spettante alla p.A.; la tendenziale assolutezza degli interessi che le sono affidati e la discrezionalità tecnica che connota le sue valutazioni, munite di un forte tasso di opinabilità, sembrano infatti porre la stessa Amministrazione in una posizione di forte unilateralità ed estraneità rispetto alla comunità degli amministrati. In questo quadro la partecipazione dei soggetti interessati, tanto in chiave difensiva che collaborativa, appare altrettanto estranea se non addirittura di ostacolo al dettato normativo. Questa situazione di forte separazione trova conferma anche nelle difficili vicende normative e giurisprudenziali della comunicazione di avvio dei procedimenti impositivi del vincolo culturale diretto e indiretto e del procedimento statale di annullamento del nulla osta paesaggistico, comunicazione cui può essere attribuita soprattutto una funzione ‘formale-strumentale’ di avvenuta procedimentalizzazione di un potere, il cui esercizio, proprio per la forte unilateralità e forza autolegittimante dell’amministrazione, sembrava esso stesso porsi al di fuori del procedimento. E’ da chiedersi però se non possa e debba conoscersi alla partecipazione un rilievo più marcatamente sostanziale in una prospettiva di affermazione della centralità del procedimento e della sua integrazione-complementarietà rispetto al processo. Il contesto in cui si colloca tale quesito è estremamente complesso per le tematiche che esso evoca e che vanno dalla configurazione della discrezionalità tecnica in questa materia, o comunque di una eventuale riserva all’amministrazione dell’attività di valutazione, al sindacato c.d. debole del giudice amministrativo su di essa, sindacato che se non ammette una sostituzione in giudizio della valutazione effettuata nel procedimento non dovrebbe nemmeno limitarsi ad un mero controllo estrinseco dell’iter logico seguito dall’Amministrazione. A tale quesito tuttavia si potrebbe dare una prima risposta configurando la partecipazione proprio come lo strumento volto a consentire un contraddittorio con l’amministrazione su questioni tecniche, anche in sostituzione di quel confronto che non viene considerato ammissibile nel processo, per cui di fronte all’introduzione nel procedimento di fatti nuovi o di una diversa qualificazione di fatti noti, verrebbe meno quella sorta di riserva in via esclusiva della selezione dei fatti rilevanti alla p.A., costretta, non a sostituire una diversa valutazione alla propria, bensì ad esporre in modo congruo e adeguato le ragioni per cui tra più valutazioni opinabili, in astratto tutte compatibili con la rappresentazione dei fatti ritenga preferibile quella addotta a fondamento della propria decisione; in tal modo passando dalla riserva di valutazione tecnica all’amministrazione tout court, alla riserva della scelta, motivata, tra più valutazioni opinabili. Andrà però infine valutata anche la possibilità di ampliare lo spazio della decisione in una prospettiva di maggiore effettività della partecipazione e di una più ampia legittimazione della decisione finale, postulando l’uso di una maggiore discrezionalità, non solo tecnica, in capo alla p.A. , chiamata a pronunciarsi anche alla luce di ulteriori parametri presenti nell’ordinamento, i quali permettano – soprattutto in sede di tutela dei beni culturali privati - un contraddittorio più ampio, poi soggetto al controllo giurisdizionale sulla congruità del provvedimento finale, che coinvolga fin dall’inizio anche il futuro del bene, il problema della sua conservazione e del suo uso.
La (misura della) partecipazione nei procedimenti di tutela del patrimonio culturale. 'Assolutezza' degli interessi e 'procedimentalizzazione' dei poteri: le ragioni di una difficile coesistenza sotto l'egida della discrezionalità tecnica della p.A.
MARZARO, PATRIZIA
2007
Abstract
Affrontare il problema della partecipazione nei procedimenti di tutela del patrimonio culturale apre a riflessioni delicate sulla concezione del relativo potere spettante alla p.A.; la tendenziale assolutezza degli interessi che le sono affidati e la discrezionalità tecnica che connota le sue valutazioni, munite di un forte tasso di opinabilità, sembrano infatti porre la stessa Amministrazione in una posizione di forte unilateralità ed estraneità rispetto alla comunità degli amministrati. In questo quadro la partecipazione dei soggetti interessati, tanto in chiave difensiva che collaborativa, appare altrettanto estranea se non addirittura di ostacolo al dettato normativo. Questa situazione di forte separazione trova conferma anche nelle difficili vicende normative e giurisprudenziali della comunicazione di avvio dei procedimenti impositivi del vincolo culturale diretto e indiretto e del procedimento statale di annullamento del nulla osta paesaggistico, comunicazione cui può essere attribuita soprattutto una funzione ‘formale-strumentale’ di avvenuta procedimentalizzazione di un potere, il cui esercizio, proprio per la forte unilateralità e forza autolegittimante dell’amministrazione, sembrava esso stesso porsi al di fuori del procedimento. E’ da chiedersi però se non possa e debba conoscersi alla partecipazione un rilievo più marcatamente sostanziale in una prospettiva di affermazione della centralità del procedimento e della sua integrazione-complementarietà rispetto al processo. Il contesto in cui si colloca tale quesito è estremamente complesso per le tematiche che esso evoca e che vanno dalla configurazione della discrezionalità tecnica in questa materia, o comunque di una eventuale riserva all’amministrazione dell’attività di valutazione, al sindacato c.d. debole del giudice amministrativo su di essa, sindacato che se non ammette una sostituzione in giudizio della valutazione effettuata nel procedimento non dovrebbe nemmeno limitarsi ad un mero controllo estrinseco dell’iter logico seguito dall’Amministrazione. A tale quesito tuttavia si potrebbe dare una prima risposta configurando la partecipazione proprio come lo strumento volto a consentire un contraddittorio con l’amministrazione su questioni tecniche, anche in sostituzione di quel confronto che non viene considerato ammissibile nel processo, per cui di fronte all’introduzione nel procedimento di fatti nuovi o di una diversa qualificazione di fatti noti, verrebbe meno quella sorta di riserva in via esclusiva della selezione dei fatti rilevanti alla p.A., costretta, non a sostituire una diversa valutazione alla propria, bensì ad esporre in modo congruo e adeguato le ragioni per cui tra più valutazioni opinabili, in astratto tutte compatibili con la rappresentazione dei fatti ritenga preferibile quella addotta a fondamento della propria decisione; in tal modo passando dalla riserva di valutazione tecnica all’amministrazione tout court, alla riserva della scelta, motivata, tra più valutazioni opinabili. Andrà però infine valutata anche la possibilità di ampliare lo spazio della decisione in una prospettiva di maggiore effettività della partecipazione e di una più ampia legittimazione della decisione finale, postulando l’uso di una maggiore discrezionalità, non solo tecnica, in capo alla p.A. , chiamata a pronunciarsi anche alla luce di ulteriori parametri presenti nell’ordinamento, i quali permettano – soprattutto in sede di tutela dei beni culturali privati - un contraddittorio più ampio, poi soggetto al controllo giurisdizionale sulla congruità del provvedimento finale, che coinvolga fin dall’inizio anche il futuro del bene, il problema della sua conservazione e del suo uso.Pubblicazioni consigliate
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.