Il lavoro mette in discussione la tralatizia configurazione del piano regolatore generale come atto amministrativo complesso, risalente alle teoriche gianniniane tuttora dominanti il panorama giurisprudenziale e solo da alcuni contraddette in dottrina. Alla luce del diritto positivo, l’autore ritiene ormai inattuale quella definizione; tanto più nella misura in cui le regioni (o le province) hanno visto progressivamente ridursi nel tempo, per effetto delle leggi regionali sopravvenute alla legge urbanistica del 1942, la possibilità di intervenire sulle scelte comunali. Il mutato assetto costituzionale, l’affermazione del principio di sussidiarietà (verticale) e la scissione del piano regolatore in due distinti livelli di pianificazione (piano strutturale e piano operativo) dimostrano che lo strumento principe della pianificazione urbanistica ha cessato da tempo di essere il frutto di una concorrente volontà del comune e della regione. Se di complessità vuole seguitare a parlarsi, bisogna dunque immaginare che le concorrenti volontà degli enti coinvolti nel procedimento di formazione siano in realtà destinate ad investire aspetti diversi del piano, legati agli interessi rispettivamente affidati alla cura dell’una o dell’altra amministrazione. Un ulteriore motivo di perplessità a configurare ancora il piano come atto complesso deriva dal diverso grado di partecipazione dei privati alle fasi di adozione e approvazione, rispettivamente demandate al comune e alla regione. A tale riguardo, anzi, si rileva una insoddisfacente valorizzazione dei principi della partecipazione e del contraddittorio, che finisce per influire sulla stessa imparzialità delle scelte operate dell’amministrazione. Non deve stupire, allora, che abbiano preso piede forme di concertazione ed accordi extra ordinem, che lungi dal favorire una partecipazione diffusa ed una effettiva trasparenza nella genesi delle scelte, hanno piegato le esigenze della pianificazione alle necessità contingenti e agli appetiti dei competitori più forti. Seguono alcune proposte concrete di modifica delle norme relative al procedimento di approvazione del piano, volte a coniugare le ragioni della partecipazione e della valutazione di tutti gli interessi coinvolti, garantendo il contraddittorio anche rispetto alle modifiche d’ufficio ovvero alle modifiche apportate in corso d’opera (anche in accoglimento di eventuali osservazioni), con la necessità di ridurre i tempi di conclusione del procedimento.
Sul ruolo dei soggetti pubblici e privati nel procedimento di formazione del p.r.g.
CALEGARI, ALESSANDRO
2006
Abstract
Il lavoro mette in discussione la tralatizia configurazione del piano regolatore generale come atto amministrativo complesso, risalente alle teoriche gianniniane tuttora dominanti il panorama giurisprudenziale e solo da alcuni contraddette in dottrina. Alla luce del diritto positivo, l’autore ritiene ormai inattuale quella definizione; tanto più nella misura in cui le regioni (o le province) hanno visto progressivamente ridursi nel tempo, per effetto delle leggi regionali sopravvenute alla legge urbanistica del 1942, la possibilità di intervenire sulle scelte comunali. Il mutato assetto costituzionale, l’affermazione del principio di sussidiarietà (verticale) e la scissione del piano regolatore in due distinti livelli di pianificazione (piano strutturale e piano operativo) dimostrano che lo strumento principe della pianificazione urbanistica ha cessato da tempo di essere il frutto di una concorrente volontà del comune e della regione. Se di complessità vuole seguitare a parlarsi, bisogna dunque immaginare che le concorrenti volontà degli enti coinvolti nel procedimento di formazione siano in realtà destinate ad investire aspetti diversi del piano, legati agli interessi rispettivamente affidati alla cura dell’una o dell’altra amministrazione. Un ulteriore motivo di perplessità a configurare ancora il piano come atto complesso deriva dal diverso grado di partecipazione dei privati alle fasi di adozione e approvazione, rispettivamente demandate al comune e alla regione. A tale riguardo, anzi, si rileva una insoddisfacente valorizzazione dei principi della partecipazione e del contraddittorio, che finisce per influire sulla stessa imparzialità delle scelte operate dell’amministrazione. Non deve stupire, allora, che abbiano preso piede forme di concertazione ed accordi extra ordinem, che lungi dal favorire una partecipazione diffusa ed una effettiva trasparenza nella genesi delle scelte, hanno piegato le esigenze della pianificazione alle necessità contingenti e agli appetiti dei competitori più forti. Seguono alcune proposte concrete di modifica delle norme relative al procedimento di approvazione del piano, volte a coniugare le ragioni della partecipazione e della valutazione di tutti gli interessi coinvolti, garantendo il contraddittorio anche rispetto alle modifiche d’ufficio ovvero alle modifiche apportate in corso d’opera (anche in accoglimento di eventuali osservazioni), con la necessità di ridurre i tempi di conclusione del procedimento.Pubblicazioni consigliate
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