La sentenza resa dalla Corte suprema statunitense nel caso Hamdan v. Rumsfeld del 29 giugno 2006 poteva dirsi inscritta nelle premesse poste dallo stesso giudice con le prime decisioni sul tema della guerra al terrorismo internazionale, emanate nel giugno 2004. In quella occasione, fu dichiarata l'inderogabilità del principio di separazione fra i poteri anche nelle situazioni di crisi e il diritto dei sospetti terroristi catturati dai militari statunitensi di poter chiedere la revisione giudiziaria della propria detenzione (Hamdi v. Rumsfeld, 542 U.S. 507; Rasul v. Bush, 542 U.S. 466; Rumsfeld v. Padilla, 542 U.S. 426. A distanza di due anni, la Corte ha tratto con maggior decisione le conseguenze di quei principi, dichiarando illegittime le commissioni militari istituite dall'Esecutivo per processare i combattenti nemici detenuti presso la base navale americana della Baia di Guantanamo a Cuba. Per i giudici, questi particolari tribunali mancano del potere di procedere perché organizzati ed operanti secondo regale in contrasto con le leggi americane e il diritto bellico internazionale. A prima vista, si potrebbe pensare ad una bocciatura senza appello delle politiche seguite dall'amministrazione dopo gli attentati dell'11 settembre. Le avvertenze espresse a questo riguardo nel 2004 si concludono oggi con l'espressione perentoria dell'illegittimità delle scelte governative. Il saggiochiarisce i limiti del caso Hamdan, che riguarda la posizione di Salim Ahmed Hamdan e di altri nove imputati, i soli detenuti tra le varie centinaia di persone recluse da anni a Guantanamo, per i quali esisteva, al momento della sentenza, una specifica determinazione presidenziale intesa a dichiarare la loro condizione di unlawfulcombatants e il deferimento in giudizio per crimini di guerra (per inciso, rivelatisi di scarso rilievo penale) davanti alle commissioni militari. Alla fine, tolte le perplessità suscitate da una decisione necessariamente limitata (a ben vedere dagli stessi principi democratici), l'insegnamento che si può trarre dai giudici americani e, ancora una volta, un'avvertenza circa il fatto che la democrazia comporta un esercizio continuo di vigilanza sul rispetto delle proprie libertà, conquistate ma mai definitivamente acquisite.
Il caso Hamdan: un'altra lezione della Corte suprema statunitense sul principio dei checks and balances
BENAZZO, ANTONELLA
2006
Abstract
La sentenza resa dalla Corte suprema statunitense nel caso Hamdan v. Rumsfeld del 29 giugno 2006 poteva dirsi inscritta nelle premesse poste dallo stesso giudice con le prime decisioni sul tema della guerra al terrorismo internazionale, emanate nel giugno 2004. In quella occasione, fu dichiarata l'inderogabilità del principio di separazione fra i poteri anche nelle situazioni di crisi e il diritto dei sospetti terroristi catturati dai militari statunitensi di poter chiedere la revisione giudiziaria della propria detenzione (Hamdi v. Rumsfeld, 542 U.S. 507; Rasul v. Bush, 542 U.S. 466; Rumsfeld v. Padilla, 542 U.S. 426. A distanza di due anni, la Corte ha tratto con maggior decisione le conseguenze di quei principi, dichiarando illegittime le commissioni militari istituite dall'Esecutivo per processare i combattenti nemici detenuti presso la base navale americana della Baia di Guantanamo a Cuba. Per i giudici, questi particolari tribunali mancano del potere di procedere perché organizzati ed operanti secondo regale in contrasto con le leggi americane e il diritto bellico internazionale. A prima vista, si potrebbe pensare ad una bocciatura senza appello delle politiche seguite dall'amministrazione dopo gli attentati dell'11 settembre. Le avvertenze espresse a questo riguardo nel 2004 si concludono oggi con l'espressione perentoria dell'illegittimità delle scelte governative. Il saggiochiarisce i limiti del caso Hamdan, che riguarda la posizione di Salim Ahmed Hamdan e di altri nove imputati, i soli detenuti tra le varie centinaia di persone recluse da anni a Guantanamo, per i quali esisteva, al momento della sentenza, una specifica determinazione presidenziale intesa a dichiarare la loro condizione di unlawfulcombatants e il deferimento in giudizio per crimini di guerra (per inciso, rivelatisi di scarso rilievo penale) davanti alle commissioni militari. Alla fine, tolte le perplessità suscitate da una decisione necessariamente limitata (a ben vedere dagli stessi principi democratici), l'insegnamento che si può trarre dai giudici americani e, ancora una volta, un'avvertenza circa il fatto che la democrazia comporta un esercizio continuo di vigilanza sul rispetto delle proprie libertà, conquistate ma mai definitivamente acquisite.Pubblicazioni consigliate
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