L’articolo analizza le prime questioni delle “Disputationes theologicae” (1665) di Bartolomeo Mastri da Meldola OM, dedicate al problema della scientificità della teologia. L’obiettivo polemico della ricerca del Mastri, uno dei principali rappresentanti della scuola scotista, è la posizione tomista, successivamente difesa ed elaborata da Tommaso De Vio (“Caietanus”), secondo cui la teologia è una scienza “subalternata”, ossa una scienza che accoglie i propri principi da una scienza di livello superiore: se la teologia costruita dall’uomo “in statu viae” non può essere considerata scienza perché manca del requisito fondamentale dell’evidenza, per Tommaso e i tomisti essa può accogliere i propri principi dalla scienza (ossia dalla conoscenza evidente di Dio) che hanno i beati. Mastri concorda con tutti gli scotisti, i quali negano che la teologia sia scienza, e s’impegna soprattutto a mostrare quale sia la vera ragione per cui Giovanni Duns Scoto ha negato che la teologia possa essere scienza. La discussione viene condotta ponendo la teologia al vaglio della più rigorosa definizione di scienza che (secondo l’insegnamento di Aristotele in An. post. I, 2 ed Eth. VI, 4 e 7) contiene 4 condizioni: 1) “conoscenza certa, senza alcun inganno o esitazione; 2) di un oggetto necessario (...); 3) che sia causata da una causa evidente all’intelletto; 4) che la dipendenza (...) da questa causa evidente sia dimostrata tramite una rigorosa deduzione sillogistica” (p. 601). Per Mastri la teologia non è scienza, perché essa è basata sulla fede che (secondo I Cor. 13, 12) è necessariamente oscura. La fede cristiana (o “fides divina”) è differente dalla fede umana pura, identica all’opinione: essa, infatti, si differenza dalla scienza perché manca dell’evidenza, ma anche dall’opinione perché è più certa, essendo fondata sulla rivelazione e sulla fede in Dio, il quale non può affermare nulla di falso. In altri termini, sono vani i tentativi dei tomisti di innalzare la teologia al rango di scienza appellandosi al suo carattere “subalternato” (l’evidenza deve essere proprio in colui che conosce, e non in qualcun altro, come il beato, da cui il teologo potrebbe accettare i principi) e anche quelli di teologi come Enrico di Gand, che vorrebbero assegnare al teologo un particolare lume infuso direttamente da Dio, e che lo differenzierebbe dai comuni credenti. Al contrario, per Mastri “la teologia è costruita dal teologo, ‘acquisita per studium cum ingegno et lumine naturali, et aliarum scientiarum adminiculo’”.

Bartolomeo Mastri e la teologia

QUINTO, RICCARDO
2006

Abstract

L’articolo analizza le prime questioni delle “Disputationes theologicae” (1665) di Bartolomeo Mastri da Meldola OM, dedicate al problema della scientificità della teologia. L’obiettivo polemico della ricerca del Mastri, uno dei principali rappresentanti della scuola scotista, è la posizione tomista, successivamente difesa ed elaborata da Tommaso De Vio (“Caietanus”), secondo cui la teologia è una scienza “subalternata”, ossa una scienza che accoglie i propri principi da una scienza di livello superiore: se la teologia costruita dall’uomo “in statu viae” non può essere considerata scienza perché manca del requisito fondamentale dell’evidenza, per Tommaso e i tomisti essa può accogliere i propri principi dalla scienza (ossia dalla conoscenza evidente di Dio) che hanno i beati. Mastri concorda con tutti gli scotisti, i quali negano che la teologia sia scienza, e s’impegna soprattutto a mostrare quale sia la vera ragione per cui Giovanni Duns Scoto ha negato che la teologia possa essere scienza. La discussione viene condotta ponendo la teologia al vaglio della più rigorosa definizione di scienza che (secondo l’insegnamento di Aristotele in An. post. I, 2 ed Eth. VI, 4 e 7) contiene 4 condizioni: 1) “conoscenza certa, senza alcun inganno o esitazione; 2) di un oggetto necessario (...); 3) che sia causata da una causa evidente all’intelletto; 4) che la dipendenza (...) da questa causa evidente sia dimostrata tramite una rigorosa deduzione sillogistica” (p. 601). Per Mastri la teologia non è scienza, perché essa è basata sulla fede che (secondo I Cor. 13, 12) è necessariamente oscura. La fede cristiana (o “fides divina”) è differente dalla fede umana pura, identica all’opinione: essa, infatti, si differenza dalla scienza perché manca dell’evidenza, ma anche dall’opinione perché è più certa, essendo fondata sulla rivelazione e sulla fede in Dio, il quale non può affermare nulla di falso. In altri termini, sono vani i tentativi dei tomisti di innalzare la teologia al rango di scienza appellandosi al suo carattere “subalternato” (l’evidenza deve essere proprio in colui che conosce, e non in qualcun altro, come il beato, da cui il teologo potrebbe accettare i principi) e anche quelli di teologi come Enrico di Gand, che vorrebbero assegnare al teologo un particolare lume infuso direttamente da Dio, e che lo differenzierebbe dai comuni credenti. Al contrario, per Mastri “la teologia è costruita dal teologo, ‘acquisita per studium cum ingegno et lumine naturali, et aliarum scientiarum adminiculo’”.
2006
"Rem in seipsa cernere". Saggi sul pensiero filosofico di Bartolomeo Mastri (1602-1673). Atti del convegno di studi sul pensiero filosofico di Bartolomeo Mastri da Meldola (1602-1673), Meldola-Bertinoro, 20-22 settembre 2002
9788871155340
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