La letteratura inglese tra il seicento e il primo settecento conosce spesso la descrizione del giardino come non solo ecfrastica ma anche metaforica e allegorica: procedure buone per tutta una serie di usi che vanno dall’appagamento estetico individuale alla raccolta del consenso ideologico-politico attorno a un’idea ‘orticulturale’ dell’ordine sociale e statuale, spesso assediato dall’esterno (non si dimentichi l’insularità, fattore tante volte enfatizzato nel tardo cinquecento e fino all’epoca delle grandi rivoluzioni come una condizione di privilegio minacciato dalla violenza della storia contemporanea) ma soprattutto da una condizione interna all’uomo di fallibilità e degradazione, che trova il suo mito di fondazione nella precarietà della condizione edenica, in particolare in una cultura come quella inglese, nel seicento del tutto giudaico-cristiana, che sulla perdita dell’Eden avrebbe prodotto il massimo ed estremo poema epico. È facile individuare, nelle scuole poetiche del tempo, la corrispondenza tra le descrizioni del giardino e i tipi di giardino – rinascimentale, manieristico, barocco, neoclassico, infine con venature che si sarebbero definite romantiche – effettivamente presenti nelle varie fasi dell’evoluzione culturale. A questo versante poetico, e al parallelo versante filosofico che elabora i topoi culturali dei giardini di Ciro e di Epicuro, si affianca, in prosa, la prescrittività del celebre saggio di Bacon Of Gardens (1625), il cui influsso si coglie dappertutto in testi più tardi di ogni genere, perché percepito come raccolta di loci in parte communes in parte abbastanza individuali quando non idiosincratici sul modo pratico di integrare il giardino nel complesso di una dimora nobiliare, e più, come parte creatrice, nella progettazione del paesaggio civile. A generalizzare il senso di un’esperienza non solo letteraria ma appunto civile si pongono alcuni interventi saggistici, in gran parte dovuti ad Addison, compresi nello Spectator (1711-14), il principale periodico del primo settecento, che soprattutto in una sostanziosa digressione contenuta nella serie intitolata The Pleasures of Imagination (giugno-luglio 1712), avrebbe accolto il giardinaggio tra le arti capaci di generare piacere estetico e fine Taste. E Alexander Pope, l’altro grande protagonista della letteratura inglese del primo settecento, avrebbe in prosa e in rima individuato nel buon gusto, nell’urbanità e nel rifiuto di ogni eccesso topiario, statuario e architettonico nella progettazione ed esecuzione del giardino, la cifra (ancora una volta) civile dell’inveramento moderno dell’antico precetto Naturam sequi, non solo però da essa apprendendo ma a essa insegnando a essere se stessa, in definitiva a ‘imitare l’arte’ secondo il futuro (apparente) paradosso di Wilde, ma anche secondo il precetto baconiano e l’aesthetica in nuce di Addison. Questa esplorazione, in buona sostanza, fornisce tracce e raccoglie testi letterari che affiancano e culturalmente motivano la grande trasformazione, non solo tecnica ma concettuale, dell’hortus conclusus in landscape garden visibile già in soglia al primo ‘secolo inglese’ nell’arte del giardinaggio occidentale.
Il giardino estetico nel primo settecento inglese
MELCHIONDA, MARIO
2006
Abstract
La letteratura inglese tra il seicento e il primo settecento conosce spesso la descrizione del giardino come non solo ecfrastica ma anche metaforica e allegorica: procedure buone per tutta una serie di usi che vanno dall’appagamento estetico individuale alla raccolta del consenso ideologico-politico attorno a un’idea ‘orticulturale’ dell’ordine sociale e statuale, spesso assediato dall’esterno (non si dimentichi l’insularità, fattore tante volte enfatizzato nel tardo cinquecento e fino all’epoca delle grandi rivoluzioni come una condizione di privilegio minacciato dalla violenza della storia contemporanea) ma soprattutto da una condizione interna all’uomo di fallibilità e degradazione, che trova il suo mito di fondazione nella precarietà della condizione edenica, in particolare in una cultura come quella inglese, nel seicento del tutto giudaico-cristiana, che sulla perdita dell’Eden avrebbe prodotto il massimo ed estremo poema epico. È facile individuare, nelle scuole poetiche del tempo, la corrispondenza tra le descrizioni del giardino e i tipi di giardino – rinascimentale, manieristico, barocco, neoclassico, infine con venature che si sarebbero definite romantiche – effettivamente presenti nelle varie fasi dell’evoluzione culturale. A questo versante poetico, e al parallelo versante filosofico che elabora i topoi culturali dei giardini di Ciro e di Epicuro, si affianca, in prosa, la prescrittività del celebre saggio di Bacon Of Gardens (1625), il cui influsso si coglie dappertutto in testi più tardi di ogni genere, perché percepito come raccolta di loci in parte communes in parte abbastanza individuali quando non idiosincratici sul modo pratico di integrare il giardino nel complesso di una dimora nobiliare, e più, come parte creatrice, nella progettazione del paesaggio civile. A generalizzare il senso di un’esperienza non solo letteraria ma appunto civile si pongono alcuni interventi saggistici, in gran parte dovuti ad Addison, compresi nello Spectator (1711-14), il principale periodico del primo settecento, che soprattutto in una sostanziosa digressione contenuta nella serie intitolata The Pleasures of Imagination (giugno-luglio 1712), avrebbe accolto il giardinaggio tra le arti capaci di generare piacere estetico e fine Taste. E Alexander Pope, l’altro grande protagonista della letteratura inglese del primo settecento, avrebbe in prosa e in rima individuato nel buon gusto, nell’urbanità e nel rifiuto di ogni eccesso topiario, statuario e architettonico nella progettazione ed esecuzione del giardino, la cifra (ancora una volta) civile dell’inveramento moderno dell’antico precetto Naturam sequi, non solo però da essa apprendendo ma a essa insegnando a essere se stessa, in definitiva a ‘imitare l’arte’ secondo il futuro (apparente) paradosso di Wilde, ma anche secondo il precetto baconiano e l’aesthetica in nuce di Addison. Questa esplorazione, in buona sostanza, fornisce tracce e raccoglie testi letterari che affiancano e culturalmente motivano la grande trasformazione, non solo tecnica ma concettuale, dell’hortus conclusus in landscape garden visibile già in soglia al primo ‘secolo inglese’ nell’arte del giardinaggio occidentale.Pubblicazioni consigliate
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