Già all’indomani dell’“esilio” parigino del Riformatore del teatro italiano, Carlo Goldoni, la cultura italiana venne maturando un vero e proprio “complesso dell’abbandono”, pronto a lamentare un repentino imbarbarimento delle platee, direttamente proporzionale all’obliterazione del prodotto goldoniano. Dopo aver già fornito materiali documentari e spunti di riflessione critica sul valore tutto strumentale della polemica che condusse alla definizione del “mito della proscrizione”, l’autrice del presente contributo indaga i vari modi con cui l’avventura parigina del Riformatore venne, nelle sue diverse fasi, percepita e sottoposta ad elaborazione sulla scena culturale italiana: riscontrando, a fronte dell’atrabiliare quanto prevedibile ostilità di un Baretti, una sintomatica ambiguità di atteggiamenti e di valutazioni proprio su quello che avrebbe dovuto essere il fronte dei sodali e degli apologeti (dagli amici illuministi ad Albergati, passando per Cesarotti e giungendo sino alla più engagée pubblicistica di fine secolo – nonché, a suo tempo, entusiasta apologeta del nostro – rappresentata dalla “bottega” Caminer). Solo nello spazio reale e vivo del teatro l’esilio del “Molière italiano” sembra non essersi consumato, giacché non solo l’opera ma la personalità stessa di Goldoni mostrava di saper parlare con intensità e continuità alla pratica e all’immaginario attorico.
Tra mitografia e rimozione: il multiforme esilio del «Molière italiano»
SCANNAPIECO, ANNA
2007
Abstract
Già all’indomani dell’“esilio” parigino del Riformatore del teatro italiano, Carlo Goldoni, la cultura italiana venne maturando un vero e proprio “complesso dell’abbandono”, pronto a lamentare un repentino imbarbarimento delle platee, direttamente proporzionale all’obliterazione del prodotto goldoniano. Dopo aver già fornito materiali documentari e spunti di riflessione critica sul valore tutto strumentale della polemica che condusse alla definizione del “mito della proscrizione”, l’autrice del presente contributo indaga i vari modi con cui l’avventura parigina del Riformatore venne, nelle sue diverse fasi, percepita e sottoposta ad elaborazione sulla scena culturale italiana: riscontrando, a fronte dell’atrabiliare quanto prevedibile ostilità di un Baretti, una sintomatica ambiguità di atteggiamenti e di valutazioni proprio su quello che avrebbe dovuto essere il fronte dei sodali e degli apologeti (dagli amici illuministi ad Albergati, passando per Cesarotti e giungendo sino alla più engagée pubblicistica di fine secolo – nonché, a suo tempo, entusiasta apologeta del nostro – rappresentata dalla “bottega” Caminer). Solo nello spazio reale e vivo del teatro l’esilio del “Molière italiano” sembra non essersi consumato, giacché non solo l’opera ma la personalità stessa di Goldoni mostrava di saper parlare con intensità e continuità alla pratica e all’immaginario attorico.Pubblicazioni consigliate
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