La diffusione raggiunta negli ultimi decenni da parte dei computers, le cui immense potenzialità sono rappresentate principalmente dalla possibilità di accumulare dati in misura pressoché illimitata, di aggregarli e di trasformarli a piacere, nonché di comunicarli in modo assai rapido anche a destinatari molto lontani, ha evidenziato l’esigenza di un’adeguata risposta del nostro ordinamento a tutela della riservatezza della persona e delle informazioni che ad essa si riferiscono. La disponibilità di una ingente mole di dati sull’individuo nonché sui gruppi sociali, e la conseguente creazione di moltissime banche dati, da parte dei soggetti più diversi - aziende commerciali, professionisti, associazioni, partiti politici, enti pubblici - ha finito per implicare gravi ingerenze nella sfera privata dell’individuo. Per vero, può ben darsi che la raccolta dei singoli dati attinenti alla vita privata ed alle relazioni sociali della persona avvenga in modo lecito. Ciò nonostante, desta preoccupazione il risultato cui potrebbe portare lo sfruttamento delle capacità del computer e delle reti telematiche alle quali questo è collegabile. Infatti, intrecciando tra di loro diverse informazioni non è escluso che si possa approdare ad un controllo molto ampio del patrimonio di dati personali di un determinato soggetto, per esempio con informazioni di carattere anagrafico, patrimoniale, fiscale, medico. Pare, dunque, corretta la conclusione cui taluno è indotto, secondo la quale “l’elaborazione si rivela mezzo idoneo non tanto alla pubblicizzazione, quanto alla ricostruzione della vita privata del soggetto”. Il moltiplicarsi delle banche dati ha fatto emergere, quindi, la contraddizione fra la necessità del traffico scientifico, finanziario e commerciale di disporre in tempi ristretti di un insieme di dati, e l'interesse del singolo al rispetto della propria riservatezza: insieme alle informazioni riguardanti la data di nascita o il nome – che si possono indicare come neutre o comuni – circolano anche i cosiddetti dati sensibili, quelli cioè relativi alle convinzioni filosofiche e religiose, alle opinioni politiche e sindacali, alle condizioni di salute ed alla vita sessuale, nonché quelli idonei a rivelare l’origine razziale o etnica, dei quali di norma ciascuno intenderebbe negare la divulgazione al pubblico. La tutela della privacy, nella sua duplice accezione di “right to be let alone” e di diritto al controllo dei propri dati personali, si è imposta, pertanto, quale uno dei temi di maggior attualità nel dibattito dottrinale degli ultimi decenni, da cui è significativamente emerso l’inquadramento della riservatezza tra i beni giuridici a valenza costituzionale: essa, precisamente, trova riconoscimento all’articolo 2 della Carta Costituzionale che “garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. E’ proprio da tale riconoscimento quale bene garantito in Costituzione che discende la legittimazione dell’impiego dell’apparato sanzionatorio penale a presidio della riservatezza. La pubblicazione prende le mosse da una succinta ricognizione degli interventi normativi che si sono interessati della privacy prima della legge n. 675/1996. Si tratta, in particolare, della legge 20 maggio 1970 n.300, “Statuto dei lavoratori”, che all’art. 38, in relazione agli artt. 4 e 8, concede tutela alla riservatezza dei lavoratori principalmente sul luogo di lavoro e durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, nonché della legge 1° aprile 1981 n. 121, sul “Nuovo Ordinamento della Pubblica Sicurezza”. Quest’ultima, oltre ad una disposizione ora abrogata, contenuta nell’art. 8, che sanzionava l'inottemperanza all'obbligo di denuncia dell'esistenza di un archivio magnetico contenente dati personali, contempla la previsione di cui all’art. 12 che punisce il pubblico ufficiale quando comunica o fa uso di dati e informazioni in violazione di detta legge. Si accenna alla legge n. 547/1993 sulla criminalità informatica, le cui direttrici di tutela lambiscono anche il campo delle banche dati personali, il quale consiste spesso in articolati sistemi informatici e telematici, protetti dalla legge ora citata. Infine, l'analisi si rivolge ad alcuni profili essenziali della legge n. 675/1996 sulla “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento di dati personali” – anche alla luce della recente novella di cui al d. lgs. n. 467/2001 – ponendo mente tanto alle norme di disciplina sul trattamento di dati personali quanto alle sanzioni penali, che si collocano in posizione di stretta dipendenza dalle prime, con le molte conseguenti questioni interpretative che ha innescato l’impostazione data all’apparato difensivo da parte del legislatore.
Rilievi sulla tutela penale della privacy dopo la legge n. 675/1996
ZAMBUSI, ANGELO
2004
Abstract
La diffusione raggiunta negli ultimi decenni da parte dei computers, le cui immense potenzialità sono rappresentate principalmente dalla possibilità di accumulare dati in misura pressoché illimitata, di aggregarli e di trasformarli a piacere, nonché di comunicarli in modo assai rapido anche a destinatari molto lontani, ha evidenziato l’esigenza di un’adeguata risposta del nostro ordinamento a tutela della riservatezza della persona e delle informazioni che ad essa si riferiscono. La disponibilità di una ingente mole di dati sull’individuo nonché sui gruppi sociali, e la conseguente creazione di moltissime banche dati, da parte dei soggetti più diversi - aziende commerciali, professionisti, associazioni, partiti politici, enti pubblici - ha finito per implicare gravi ingerenze nella sfera privata dell’individuo. Per vero, può ben darsi che la raccolta dei singoli dati attinenti alla vita privata ed alle relazioni sociali della persona avvenga in modo lecito. Ciò nonostante, desta preoccupazione il risultato cui potrebbe portare lo sfruttamento delle capacità del computer e delle reti telematiche alle quali questo è collegabile. Infatti, intrecciando tra di loro diverse informazioni non è escluso che si possa approdare ad un controllo molto ampio del patrimonio di dati personali di un determinato soggetto, per esempio con informazioni di carattere anagrafico, patrimoniale, fiscale, medico. Pare, dunque, corretta la conclusione cui taluno è indotto, secondo la quale “l’elaborazione si rivela mezzo idoneo non tanto alla pubblicizzazione, quanto alla ricostruzione della vita privata del soggetto”. Il moltiplicarsi delle banche dati ha fatto emergere, quindi, la contraddizione fra la necessità del traffico scientifico, finanziario e commerciale di disporre in tempi ristretti di un insieme di dati, e l'interesse del singolo al rispetto della propria riservatezza: insieme alle informazioni riguardanti la data di nascita o il nome – che si possono indicare come neutre o comuni – circolano anche i cosiddetti dati sensibili, quelli cioè relativi alle convinzioni filosofiche e religiose, alle opinioni politiche e sindacali, alle condizioni di salute ed alla vita sessuale, nonché quelli idonei a rivelare l’origine razziale o etnica, dei quali di norma ciascuno intenderebbe negare la divulgazione al pubblico. La tutela della privacy, nella sua duplice accezione di “right to be let alone” e di diritto al controllo dei propri dati personali, si è imposta, pertanto, quale uno dei temi di maggior attualità nel dibattito dottrinale degli ultimi decenni, da cui è significativamente emerso l’inquadramento della riservatezza tra i beni giuridici a valenza costituzionale: essa, precisamente, trova riconoscimento all’articolo 2 della Carta Costituzionale che “garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. E’ proprio da tale riconoscimento quale bene garantito in Costituzione che discende la legittimazione dell’impiego dell’apparato sanzionatorio penale a presidio della riservatezza. La pubblicazione prende le mosse da una succinta ricognizione degli interventi normativi che si sono interessati della privacy prima della legge n. 675/1996. Si tratta, in particolare, della legge 20 maggio 1970 n.300, “Statuto dei lavoratori”, che all’art. 38, in relazione agli artt. 4 e 8, concede tutela alla riservatezza dei lavoratori principalmente sul luogo di lavoro e durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, nonché della legge 1° aprile 1981 n. 121, sul “Nuovo Ordinamento della Pubblica Sicurezza”. Quest’ultima, oltre ad una disposizione ora abrogata, contenuta nell’art. 8, che sanzionava l'inottemperanza all'obbligo di denuncia dell'esistenza di un archivio magnetico contenente dati personali, contempla la previsione di cui all’art. 12 che punisce il pubblico ufficiale quando comunica o fa uso di dati e informazioni in violazione di detta legge. Si accenna alla legge n. 547/1993 sulla criminalità informatica, le cui direttrici di tutela lambiscono anche il campo delle banche dati personali, il quale consiste spesso in articolati sistemi informatici e telematici, protetti dalla legge ora citata. Infine, l'analisi si rivolge ad alcuni profili essenziali della legge n. 675/1996 sulla “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento di dati personali” – anche alla luce della recente novella di cui al d. lgs. n. 467/2001 – ponendo mente tanto alle norme di disciplina sul trattamento di dati personali quanto alle sanzioni penali, che si collocano in posizione di stretta dipendenza dalle prime, con le molte conseguenti questioni interpretative che ha innescato l’impostazione data all’apparato difensivo da parte del legislatore.Pubblicazioni consigliate
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