Lo studio muove dalla considerazione che, nel codice di commercio del 1865 come in quello del 1882, la materia dei contratti bancari venne in considerazione quasi esclusivamente nell’ambito dell’elencazione degli atti di commercio, venendo a costituirne uno degli elementi, e dunque ai fini puramente classificatori. Mancò invece qualsivoglia velleità di fissare e disciplinare la materia nei suoi aspetti generali così come lo schema e la disciplina delle principali operazioni di banca. L’interesse e comunque, l’esigenza disciplinatrice delle operazioni bancarie iniziano ad affermarsi invece con l’avvento del nuovo secolo, ma si traducono in discipline parziali, specifiche e frammentarie, quali quelle dirette a regolare quelle operazioni che, poi, verranno denominate crediti speciali; quelle disciplinanti i depositi presso la Cassa dei depositi e prestiti e presso le Casse di risparmio postali ed i conti correnti postali; quelle sull’ammortamento dei titoli rappresentativi di depositi bancari; quelle sulla cessione della provvista negli sconti delle cambiali tratte; ed infine quelle sui libretti di deposito (art. 22 - 29). Nemmeno la legge bancaria del 1933 si spinge fino al punto di disciplinare le operazioni bancarie, limitandosi solo a prevedere la possibilità che la Banca d’Italia, nel nome del prevalente e pubblico interesse alla liquidità delle imprese e del sistema bancario nel suo complesso, detti istruzioni in ordine ad alcuni aspetti dell’operatività negoziale delle banche. Il turning point si verifica con il codice civile del 1942, che, all’interno del Libro quarto, introduce un gruppo di disposizioni, contenute nel Capo XVII intitolato Dei contratti bancari, destinate a regolare quelle che, al tempo, erano le principali operazioni bancarie o comunque le principali operazioni svolte dalla banca; ciò facendo trasforma schemi socialmente già affermatisi in tipi contrattuali. Le fattispecie previste e regolate all’interno del capo citato attirano l’attenzione degli studiosi per due fondamentali ragioni: la prima è che esse appaiono prima facie quali adattamenti alle peculiari esigenze di chi contratta professionalmente, di fattispecie contrattuali già note e disciplinate; la seconda è che il tratto accomunante la gran parte di quegli adattamenti è visto nella destinazione degli stessi in direzione di (una più vigorosa, rispetto a quanto assicurato dal diritto comune) tutela della prontezza e della sicurezza di ottenere il rimborso delle somme concesse a prestito. Non trovarono invece il benché minimo riconoscimento gli accorati ed autorevoli (ASQUINI) inviti a “calmierare” lo strapotere contrattuale delle banche: e che ciò non fu di certo il risultato di sottovalutazione, scarsa professionalità o di altre ragioni, ma del preciso disegno di chi voleva che le relazioni banca-cliente rimanessero governate dal mercato, lo si ricava dalla lettura delle contigue e contemporanee norme in materia di contratto di assicurazione, parte delle quali fu dichiarata espressamente inderogabile se non a vantaggio dell’assicurato. La tutela della liquidità del sistema bancario – già consacrata, come si è visto, nella legge bancaria – venne vista dunque come la ratio sottostante a quel gruppo di norme e, in definitiva sostanza, ciò che giustificò l’introduzione di un trattamento normativo derogatorio e di netto favore per il concedente credito. E’ naturale pertanto ricercare - per individuare, differenziare e circoscrivere – la realtà economica meritevole del trattamento privilegiato, e tale realtà venne – pur a seguito di dibattiti e polemiche molto accese - e viene ancora generalmente indicata nel contratto bancario, ossia in quella serie di operazioni (tipiche ma anche atipiche) dirette a realizzare l’attività di intermediazione nel credito, l’attività bancaria. E’ il viluppo, il collegamento intimo e necessitato tra operazioni di raccolta del risparmio e operazioni di concessione del credito; è l’esigenza di tutelare l’intero meccanismo che, sostengono i più, dà la ragione dell’introduzione di un diritto speciale, il quale perciò può essere applicato solo a chi raccolga denaro per concederlo in prestito o a chi conceda credito con il denaro raccolto tra il pubblico. Il malaccorto uso, da parte del sistema bancario, del potere contrattuale concesso dalla rinunzia legislativa di fungere da elemento calmieratore, combinato alla politica anticoncorrenziale della Banca d’Italia e dalla sua scelta di privilegiare la stabilità spingono negli anni novanta il legislatore ad intervenire pesantemente, in nome dell’esigenza di trasparenza, sull’intera dinamica dell’operazione contrattuale della banca. Ma ciò che interessa di più all’autore è segnalare l’inizio, con quegli interventi legislativi, di una fase di perdita d’identità del contratto bancario. Questo, inteso come sopra abbiamo fatto (operazione attuatrice dell’attività di intermediazione nel credito), si scolora nell’accomunazione – ai fini della tutela della trasparenza – al contratto della banca, ossia a quel contratto con il quale la banca offre al cliente i propri servizi, non necessariamente coincidenti con quelli bancari in senso stretto potendosi aprire a quelli in senso lato finanziari. Con ciò, secondo l’autore, è provato che la bancarietà del contratto non è la ratio dell’introduzione delle norme sulla trasparenza (neppure quella bancaria), questa dovendosi individuare più a monte, probabilmente nelle modalità dell’agire negoziale della banca o dell’intermediario finanziario (un’agire negoziale notoriamente in serie, in condizioni di asimmetria organizzativa ed informativa e comunque su materia di difficile “afferrabilità” del parte del cliente). Conclude l’autore che il riconoscimento di un’effettiva autonomia – ma, perfino, di un’identità - del contratto bancario, resta dunque condizionato alla condivisione dell’esistenza di un’effettiva esigenza di disciplinare in modo particolare l’attività contrattuale di intermediazione nel credito, e – in sostanza – all’accettazione della tesi dottrinale (cd. soggettiva) che ritiene elemento necessario per l’applicazione della disciplina contenuta nel Capo XVII del Libro quarto del codice civile la presenza della banca nel ruolo di contraente ed esecutrice della prestazione “caratteristica”. L’autore esprime la propria convinzione che la ratio dell’introduzione di un diritto “speciale” sia null’altro che lo svolgimento di una determinata operazione in forma d’impresa (e, dunque, con serialità), senza che assuma rilievo diverso da quello statistico il collegamento (per chi scrive, meramente eventuale) con un’operazione di raccolta della provvista o con altra di destinazione della provvista raccolta; in quel caso, allora più che di perdita di identità del contratto bancario dovrebbe parlarsi di una sua radicale mancanza di identità.

Il contratto bancario tra tutela della liquidità  e trasparenza

DE POLI, MATTEO
2004

Abstract

Lo studio muove dalla considerazione che, nel codice di commercio del 1865 come in quello del 1882, la materia dei contratti bancari venne in considerazione quasi esclusivamente nell’ambito dell’elencazione degli atti di commercio, venendo a costituirne uno degli elementi, e dunque ai fini puramente classificatori. Mancò invece qualsivoglia velleità di fissare e disciplinare la materia nei suoi aspetti generali così come lo schema e la disciplina delle principali operazioni di banca. L’interesse e comunque, l’esigenza disciplinatrice delle operazioni bancarie iniziano ad affermarsi invece con l’avvento del nuovo secolo, ma si traducono in discipline parziali, specifiche e frammentarie, quali quelle dirette a regolare quelle operazioni che, poi, verranno denominate crediti speciali; quelle disciplinanti i depositi presso la Cassa dei depositi e prestiti e presso le Casse di risparmio postali ed i conti correnti postali; quelle sull’ammortamento dei titoli rappresentativi di depositi bancari; quelle sulla cessione della provvista negli sconti delle cambiali tratte; ed infine quelle sui libretti di deposito (art. 22 - 29). Nemmeno la legge bancaria del 1933 si spinge fino al punto di disciplinare le operazioni bancarie, limitandosi solo a prevedere la possibilità che la Banca d’Italia, nel nome del prevalente e pubblico interesse alla liquidità delle imprese e del sistema bancario nel suo complesso, detti istruzioni in ordine ad alcuni aspetti dell’operatività negoziale delle banche. Il turning point si verifica con il codice civile del 1942, che, all’interno del Libro quarto, introduce un gruppo di disposizioni, contenute nel Capo XVII intitolato Dei contratti bancari, destinate a regolare quelle che, al tempo, erano le principali operazioni bancarie o comunque le principali operazioni svolte dalla banca; ciò facendo trasforma schemi socialmente già affermatisi in tipi contrattuali. Le fattispecie previste e regolate all’interno del capo citato attirano l’attenzione degli studiosi per due fondamentali ragioni: la prima è che esse appaiono prima facie quali adattamenti alle peculiari esigenze di chi contratta professionalmente, di fattispecie contrattuali già note e disciplinate; la seconda è che il tratto accomunante la gran parte di quegli adattamenti è visto nella destinazione degli stessi in direzione di (una più vigorosa, rispetto a quanto assicurato dal diritto comune) tutela della prontezza e della sicurezza di ottenere il rimborso delle somme concesse a prestito. Non trovarono invece il benché minimo riconoscimento gli accorati ed autorevoli (ASQUINI) inviti a “calmierare” lo strapotere contrattuale delle banche: e che ciò non fu di certo il risultato di sottovalutazione, scarsa professionalità o di altre ragioni, ma del preciso disegno di chi voleva che le relazioni banca-cliente rimanessero governate dal mercato, lo si ricava dalla lettura delle contigue e contemporanee norme in materia di contratto di assicurazione, parte delle quali fu dichiarata espressamente inderogabile se non a vantaggio dell’assicurato. La tutela della liquidità del sistema bancario – già consacrata, come si è visto, nella legge bancaria – venne vista dunque come la ratio sottostante a quel gruppo di norme e, in definitiva sostanza, ciò che giustificò l’introduzione di un trattamento normativo derogatorio e di netto favore per il concedente credito. E’ naturale pertanto ricercare - per individuare, differenziare e circoscrivere – la realtà economica meritevole del trattamento privilegiato, e tale realtà venne – pur a seguito di dibattiti e polemiche molto accese - e viene ancora generalmente indicata nel contratto bancario, ossia in quella serie di operazioni (tipiche ma anche atipiche) dirette a realizzare l’attività di intermediazione nel credito, l’attività bancaria. E’ il viluppo, il collegamento intimo e necessitato tra operazioni di raccolta del risparmio e operazioni di concessione del credito; è l’esigenza di tutelare l’intero meccanismo che, sostengono i più, dà la ragione dell’introduzione di un diritto speciale, il quale perciò può essere applicato solo a chi raccolga denaro per concederlo in prestito o a chi conceda credito con il denaro raccolto tra il pubblico. Il malaccorto uso, da parte del sistema bancario, del potere contrattuale concesso dalla rinunzia legislativa di fungere da elemento calmieratore, combinato alla politica anticoncorrenziale della Banca d’Italia e dalla sua scelta di privilegiare la stabilità spingono negli anni novanta il legislatore ad intervenire pesantemente, in nome dell’esigenza di trasparenza, sull’intera dinamica dell’operazione contrattuale della banca. Ma ciò che interessa di più all’autore è segnalare l’inizio, con quegli interventi legislativi, di una fase di perdita d’identità del contratto bancario. Questo, inteso come sopra abbiamo fatto (operazione attuatrice dell’attività di intermediazione nel credito), si scolora nell’accomunazione – ai fini della tutela della trasparenza – al contratto della banca, ossia a quel contratto con il quale la banca offre al cliente i propri servizi, non necessariamente coincidenti con quelli bancari in senso stretto potendosi aprire a quelli in senso lato finanziari. Con ciò, secondo l’autore, è provato che la bancarietà del contratto non è la ratio dell’introduzione delle norme sulla trasparenza (neppure quella bancaria), questa dovendosi individuare più a monte, probabilmente nelle modalità dell’agire negoziale della banca o dell’intermediario finanziario (un’agire negoziale notoriamente in serie, in condizioni di asimmetria organizzativa ed informativa e comunque su materia di difficile “afferrabilità” del parte del cliente). Conclude l’autore che il riconoscimento di un’effettiva autonomia – ma, perfino, di un’identità - del contratto bancario, resta dunque condizionato alla condivisione dell’esistenza di un’effettiva esigenza di disciplinare in modo particolare l’attività contrattuale di intermediazione nel credito, e – in sostanza – all’accettazione della tesi dottrinale (cd. soggettiva) che ritiene elemento necessario per l’applicazione della disciplina contenuta nel Capo XVII del Libro quarto del codice civile la presenza della banca nel ruolo di contraente ed esecutrice della prestazione “caratteristica”. L’autore esprime la propria convinzione che la ratio dell’introduzione di un diritto “speciale” sia null’altro che lo svolgimento di una determinata operazione in forma d’impresa (e, dunque, con serialità), senza che assuma rilievo diverso da quello statistico il collegamento (per chi scrive, meramente eventuale) con un’operazione di raccolta della provvista o con altra di destinazione della provvista raccolta; in quel caso, allora più che di perdita di identità del contratto bancario dovrebbe parlarsi di una sua radicale mancanza di identità.
2004
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