ABSTRACT - Il saggio fornisce un quadro generale della produzione storico-filosofica britannica lungo tutto l’Ottocento. Negli ultimi due decenni del Settecento in Gran Bretagna si era registrata una qualche curiosità per la filosofia tedesca, in particolare per Kant, indotta anche dal diffuso interesse per la grande letteratura tedesca del periodo. Il clima però era destinato a cambiare molto rapidamente; con l’inizio del nuovo secolo si registrano in Gran Bretagna una netta e repentina chiusura e una diffusa ostilità verso la nuova filosofia proveniente dal continente, e in particolare dalla Germania. Il nuovo atteggiamento era il prodotto dell’isolazionismo e del conservatorismo conseguente alla Rivoluzione e al diffuso timore di un possibile contagio giacobino, e poi alla lunga guerra con la Francia napoleonica; ma la diffidenza per la filosofia (e, più in generale, per la cultura) tedesca venne alimentata anche dalla preoccupazione per i possibili sviluppi in senso anticristiano, se non addirittura ateo, della filosofia di Kant (come sembrava dimostrare la posizione di Fichte nel celebre Atheismusstreit del 1799). Unica eccezione, del tutto isolata, rimase quella di S.T. Coleridge, uno dei pochi in Gran Bretagna nei primi due decenni del secolo ad avere una conoscenza diretta del pensiero kantiano e post-kantiano e autore di una storia della filosofia (rimasta però inedita) che si ispirava ad una sorta di kantismo platonizzante e che utilizzava come fonte la monumentale Geschichte der Philosophie del kantiano Tennemann; ma per il resto la produzione storico-filosofica dei primi due decenni del secolo, ad es. i lavori di Dugald Stewart e di James Mackintosh (e poi ancora, nei decenni successivi, la produzione storiografica di William Hamilton, che fu allievo del primo) si ispirava a tradizioni di pensiero autoctone, quali l’empirismo lockiano, da un lato, e, dall’altro, la filosofia del ‘senso comune’ della scuola scozzese. Il clima culturale in Gran Bretagna cambia significativamente solo a partire dagli anni Trenta; si assiste alla ripresa dell’interesse per Kant, grazie anche all’opera del già citato Coleridge, al quale si ispira ad esempio la fortunata opera storica di Frederik Denison Maurice); inizia poi a circolare la filosofia eclettica di V. Cousin e della sua scuola, che influenza numerosi storici della filosofia, come Robert Blakey e John Daniel Morell. Anche Hegel comincia a ricevere attenzione: dapprima attraverso George H. Lewes e la sua compagna Marian Evans (più nota con lo pseudonimo di George Eliot), e poi soprattutto con Benjamin Jowett, che fra il 1842 e il 1849 compie numerosi viaggi in Germania, dove entra in contatto con lo storico hegeliano Johann Eduard Erdmann. L’idealismo inglese prende le mosse da Jowett, e dalla sua lunga attività al Balliol College ad Oxford, più che - come comunemente si crede - da James H. Stirling. Negli ultimi decenni del secolo si assiste al fondersi delle tendenze neo-hegeliane con quelle di tipo spiritualistico, influenzate da Lotze, nell’attività storiografica di fortunati autori come Robert Adamson, William Ritchie Sorley e John Theodore Merz; a tali orientamenti si oppongono le ricerche d’ispirazione empiristico-utilitaristiche di George Grote, che fu allievo di James Stuart Mill e studioso di Platone, e di Leslie Stephen, la cui vasta produzione nell’ambito della history of ideas mostra sensibili tracce del naturalismo darwiniano.

Tradizione empiristica e idealismo nella storiografia filosofica dell'Ottocento britannico

MICHELI, GIUSEPPE
2004

Abstract

ABSTRACT - Il saggio fornisce un quadro generale della produzione storico-filosofica britannica lungo tutto l’Ottocento. Negli ultimi due decenni del Settecento in Gran Bretagna si era registrata una qualche curiosità per la filosofia tedesca, in particolare per Kant, indotta anche dal diffuso interesse per la grande letteratura tedesca del periodo. Il clima però era destinato a cambiare molto rapidamente; con l’inizio del nuovo secolo si registrano in Gran Bretagna una netta e repentina chiusura e una diffusa ostilità verso la nuova filosofia proveniente dal continente, e in particolare dalla Germania. Il nuovo atteggiamento era il prodotto dell’isolazionismo e del conservatorismo conseguente alla Rivoluzione e al diffuso timore di un possibile contagio giacobino, e poi alla lunga guerra con la Francia napoleonica; ma la diffidenza per la filosofia (e, più in generale, per la cultura) tedesca venne alimentata anche dalla preoccupazione per i possibili sviluppi in senso anticristiano, se non addirittura ateo, della filosofia di Kant (come sembrava dimostrare la posizione di Fichte nel celebre Atheismusstreit del 1799). Unica eccezione, del tutto isolata, rimase quella di S.T. Coleridge, uno dei pochi in Gran Bretagna nei primi due decenni del secolo ad avere una conoscenza diretta del pensiero kantiano e post-kantiano e autore di una storia della filosofia (rimasta però inedita) che si ispirava ad una sorta di kantismo platonizzante e che utilizzava come fonte la monumentale Geschichte der Philosophie del kantiano Tennemann; ma per il resto la produzione storico-filosofica dei primi due decenni del secolo, ad es. i lavori di Dugald Stewart e di James Mackintosh (e poi ancora, nei decenni successivi, la produzione storiografica di William Hamilton, che fu allievo del primo) si ispirava a tradizioni di pensiero autoctone, quali l’empirismo lockiano, da un lato, e, dall’altro, la filosofia del ‘senso comune’ della scuola scozzese. Il clima culturale in Gran Bretagna cambia significativamente solo a partire dagli anni Trenta; si assiste alla ripresa dell’interesse per Kant, grazie anche all’opera del già citato Coleridge, al quale si ispira ad esempio la fortunata opera storica di Frederik Denison Maurice); inizia poi a circolare la filosofia eclettica di V. Cousin e della sua scuola, che influenza numerosi storici della filosofia, come Robert Blakey e John Daniel Morell. Anche Hegel comincia a ricevere attenzione: dapprima attraverso George H. Lewes e la sua compagna Marian Evans (più nota con lo pseudonimo di George Eliot), e poi soprattutto con Benjamin Jowett, che fra il 1842 e il 1849 compie numerosi viaggi in Germania, dove entra in contatto con lo storico hegeliano Johann Eduard Erdmann. L’idealismo inglese prende le mosse da Jowett, e dalla sua lunga attività al Balliol College ad Oxford, più che - come comunemente si crede - da James H. Stirling. Negli ultimi decenni del secolo si assiste al fondersi delle tendenze neo-hegeliane con quelle di tipo spiritualistico, influenzate da Lotze, nell’attività storiografica di fortunati autori come Robert Adamson, William Ritchie Sorley e John Theodore Merz; a tali orientamenti si oppongono le ricerche d’ispirazione empiristico-utilitaristiche di George Grote, che fu allievo di James Stuart Mill e studioso di Platone, e di Leslie Stephen, la cui vasta produzione nell’ambito della history of ideas mostra sensibili tracce del naturalismo darwiniano.
2004
Storia delle storie generali della filosofia, vol. 5: Il secondo Ottocento
9788884555786
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