Il ferro è un metallo essenziale nei confronti dell’uomo. Sebbene le patologie provocate da una sua carenza siano piuttosto comuni, quelle provocate da un eccessivo assorbimento del metallo possono essere molto più gravi [1–2]. Tra queste, la più comune è la beta-talassemia major, nella quale un difetto genetico ereditario comporta la necessità di frequenti infusioni sanguigne e quindi immissione di ferro, con conseguente esito fatale per il paziente. La beta-talassemia è diffusa in particolare nell’area del Sud-Est Asia e nel Mediterraneo; solo in Italia si contano circa 7000 pazienti. L’unica terapia attualmente disponibile per la cura della talassemia (e delle altre patologie prodotte da un eccessivo assorbimento di ferro nell’organismo) è basata sulla somministrazione di un opportuno farmaco, in grado di chelare selettivamente il metallo e rimuoverlo dall’organismo malato (“chelation therapy” [1-4]). Il chelante attualmente utilizzato è il desferal, il quale ha consentito di aumentare la vita media dei pazienti da 2-3 anni ad una trentina o più. Tuttavia esso provoca alcuni effetti tossici collaterali e possiede una serie di svantaggi, quali l’elevato costo e l’inefficacia se assunto oralmente. La ricerca biomedica è molto attiva nella sperimentazione di leganti alternativi al desferal. I risultati finora ottenuti sono da considerarsi significativi ma non ancora soddisfacenti [4]. Nell’ambito della “chelation therapy”, il nostro gruppo di ricerca ha recentemente posto la propria attenzione su una nuova classe di legante, gli acidi 3,4-idrossipiridincarbossilici (HPC), i quali hanno un basso peso molecolare (condizione necessaria per l’efficacia dell’assunzione orale [4]) e sembrano possedere caratteristiche di bassa tossicità [5–6]. Essi presentano inoltre i requisiti strutturali per formare complessi forti col metallo. In una prima fase di lavoro si è studiata la formazione di complessi tra il ferro e alcuni di questi leganti, gli acidi 3-idrossi-4-piridincarbossilico (3H4P) e 4-idrossi-3-piridincarbossilico (4H3P), con lo scopo di determinare il numero, la stechiometria e le costanti di formazione delle specie che si formano in soluzione. Le misure sono state condotte mediante potenziometria, in ambiente acquoso a forza ionica 0.6 m di (Na)Cl ed alla temperatura di 25 °C. I dati potenziometrici sono stati integrati a pH acidi da dati spettrofotometrici UV. Per il sistema Al-3H4P è stato ottenuto un solido, la cui composizione è risultata coincidente con quella di una delle specie in soluzione. In una seconda fase del lavoro si è inoltre studiata l’effettiva efficacia del chelante a legare il ferro(III) in condizioni prossime a quelle fisiologiche, e simulate “in vitro”. I risultati ottenuti nei due studi mostrano come la stabilità dei complessi metallo-legante sia significativa, sebbene non ancora sufficiente ad eguagliare quella del desferal. L’efficacia chelante “in vitro” è in particolar modo ridotta dalla scarsa lipofilicità sia del legante che dei complessi che si formano. Come prospettiva, sono in corso le sintesi dei derivati metilati di 3H4P e 4H3P, che dovrebbero portare ad un aumento della forza complessante e della lipofilicità. Bibliografia 1.Kontoghiorghes G.J., Analyst, 1995, 120, 845-851 2.Martell A.E., Motekaitis R.J., Sun Y., Ma R., Welch M.J., Pajeau T., Inorg. Chim. Acta, 1999, 291, 238 3.R.A. Yokel, A.K. Datta, E.G. Jackson, J. Pharm. Exp. Therap. 1991, 257, 100 4.Faa G., Crisponi G., Coord. Chem. Rev., 1999, 184, 291 5.Foye W.O., Kauffman J.M., Chim. Ther. 1967, 2, 462 6.Spear K., Johnson C., Gschwend H.W., PCT Int. Appl. WO 94 20, 527 (1993)
Nuovi possibili farmaci chelanti per ferro(III): gli acidi 3-idrossi-4-piridincarbossilico e 4-idrossi-3-piridincarbossilico. Studio termodinamico
DI MARCO, VALERIO;TAPPARO, ANDREA;BOMBI, GIUSEPPE GIORGIO
2002
Abstract
Il ferro è un metallo essenziale nei confronti dell’uomo. Sebbene le patologie provocate da una sua carenza siano piuttosto comuni, quelle provocate da un eccessivo assorbimento del metallo possono essere molto più gravi [1–2]. Tra queste, la più comune è la beta-talassemia major, nella quale un difetto genetico ereditario comporta la necessità di frequenti infusioni sanguigne e quindi immissione di ferro, con conseguente esito fatale per il paziente. La beta-talassemia è diffusa in particolare nell’area del Sud-Est Asia e nel Mediterraneo; solo in Italia si contano circa 7000 pazienti. L’unica terapia attualmente disponibile per la cura della talassemia (e delle altre patologie prodotte da un eccessivo assorbimento di ferro nell’organismo) è basata sulla somministrazione di un opportuno farmaco, in grado di chelare selettivamente il metallo e rimuoverlo dall’organismo malato (“chelation therapy” [1-4]). Il chelante attualmente utilizzato è il desferal, il quale ha consentito di aumentare la vita media dei pazienti da 2-3 anni ad una trentina o più. Tuttavia esso provoca alcuni effetti tossici collaterali e possiede una serie di svantaggi, quali l’elevato costo e l’inefficacia se assunto oralmente. La ricerca biomedica è molto attiva nella sperimentazione di leganti alternativi al desferal. I risultati finora ottenuti sono da considerarsi significativi ma non ancora soddisfacenti [4]. Nell’ambito della “chelation therapy”, il nostro gruppo di ricerca ha recentemente posto la propria attenzione su una nuova classe di legante, gli acidi 3,4-idrossipiridincarbossilici (HPC), i quali hanno un basso peso molecolare (condizione necessaria per l’efficacia dell’assunzione orale [4]) e sembrano possedere caratteristiche di bassa tossicità [5–6]. Essi presentano inoltre i requisiti strutturali per formare complessi forti col metallo. In una prima fase di lavoro si è studiata la formazione di complessi tra il ferro e alcuni di questi leganti, gli acidi 3-idrossi-4-piridincarbossilico (3H4P) e 4-idrossi-3-piridincarbossilico (4H3P), con lo scopo di determinare il numero, la stechiometria e le costanti di formazione delle specie che si formano in soluzione. Le misure sono state condotte mediante potenziometria, in ambiente acquoso a forza ionica 0.6 m di (Na)Cl ed alla temperatura di 25 °C. I dati potenziometrici sono stati integrati a pH acidi da dati spettrofotometrici UV. Per il sistema Al-3H4P è stato ottenuto un solido, la cui composizione è risultata coincidente con quella di una delle specie in soluzione. In una seconda fase del lavoro si è inoltre studiata l’effettiva efficacia del chelante a legare il ferro(III) in condizioni prossime a quelle fisiologiche, e simulate “in vitro”. I risultati ottenuti nei due studi mostrano come la stabilità dei complessi metallo-legante sia significativa, sebbene non ancora sufficiente ad eguagliare quella del desferal. L’efficacia chelante “in vitro” è in particolar modo ridotta dalla scarsa lipofilicità sia del legante che dei complessi che si formano. Come prospettiva, sono in corso le sintesi dei derivati metilati di 3H4P e 4H3P, che dovrebbero portare ad un aumento della forza complessante e della lipofilicità. Bibliografia 1.Kontoghiorghes G.J., Analyst, 1995, 120, 845-851 2.Martell A.E., Motekaitis R.J., Sun Y., Ma R., Welch M.J., Pajeau T., Inorg. Chim. Acta, 1999, 291, 238 3.R.A. Yokel, A.K. Datta, E.G. Jackson, J. Pharm. Exp. Therap. 1991, 257, 100 4.Faa G., Crisponi G., Coord. Chem. Rev., 1999, 184, 291 5.Foye W.O., Kauffman J.M., Chim. Ther. 1967, 2, 462 6.Spear K., Johnson C., Gschwend H.W., PCT Int. Appl. WO 94 20, 527 (1993)Pubblicazioni consigliate
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